Ci siamo quasi. O meglio, quasi ci risiamo. Quello che con termine calzante vista la provenienza della controparte viene definito “closing” potrebbe finalmente avvenire entro pochissimi giorni. Il pacchetto di maggioranza del capitale sociale della Pallacanestro Trieste sta per cambiare proprietario attraversando l’Oceano Atlantico, dando il via ad un lustro di benessere e serenità. Eppure una vaga, ma tutto sommato neanche tanto vaga, sensazione di déjà vu non riusciamo proprio a scrollarcela di dosso, con relativo brivido freddo che ci scorre lungo la schiena. L’acquisto delle quote sociali da parte di munifici nuovi proprietari di provenienza più o meno esotica, con il relativo carico di danari e progetti altisonanti, in effetti, non è per nulla una novità a queste latitudini. C’è un sottile fil rouge che lega i precedenti “proprietari forti” della Pallacanestro Trieste, che è anche il motivo che ci provoca il brivido di cui sopra: il modo in cui sono tutti finiti. L’era Stefanel per un decennio fu foriera di trionfi e lacrime, illusioni e delusioni. Ma finì nel modo traumatico che chiunque si definisca seguace della pallacanestro a Trieste non può dimenticare. A fine anni ’90 la vicenda Frank Garza, per cittadinanza (sperabilmente solo per quella) assimilabile alla prossima proprietà, finì nell’estate 2000 con il titolo sportivo offerto per due settimane ad altre quattro città. Lo scandalo Alma lasciò sbigottita la città nel marzo di appena tre anni fa, e sebbene il disimpegno della società interinale partenopea sia avvenuto per motivi esogeni alla gestione locale e non per la volontà di abbandonare a sé stesso il “giocattolo” sportivo, rischiò di riportare la pallacanestro triestina all’età della pietra ed agli appassionanti derby con Conegliano e Chirignago.
Lungi da noi l’intenzione di menare gramo in un momento così delicato e tutto sommato foriero di grande ottimismo. Siamo i primi a tifare affinché quella che ormai è divenuta una telenovela possa giungere alla sua auspicata conclusione, e che sia l’inizio di una nuova lunga vita di prosperità. Non possiamo far finta di non ricordarci, però, come e da chi la società fu sempre salvata, sopravvivendo alle catastrofiche e traumatiche conclusioni di tali roboanti avventure. Fu proprio Trieste, in definitiva, a salvare sempre sé stessa. Con difficoltà, recalcitrando, nascondendosi, negandosi al telefono, talvolta millantando o ingannando, ma alla fine, sempre e comunque, assecondando il bene dello sport cittadino, magari mantenendolo nella mediocrità ma almeno consentendone la sopravvivenza. Dopo Stefanel arrivò in soccorso (caso più unico che raro, anzi proprio unico nella storia dello sport alabardato) l’impresa giuliana dal marchio forse più famoso nel mondo, la Illycaffè. Post Garza le risorse erano poche e frammentate, ma rigorosamente locali, raccolte dal presidente Federico Pacorini, che convinse la Telit (impresa triestina allora leader in Italia per la produzione di telefonini) ad affiancare il proprio nome alle imprese di McRae e soci: quelle risorse permisero 4 anni di basket di medio livello, fallendo quando il tiro fu eccessivamente ed imprudentemente alzato. Infine, è ancora di attualità quello che successe quando il presidente Scavone fu arrestato ed il capitale sociale della Pallacanestro Trieste azzerato. A parte la (doverosa) rinuncia al rimborso delle quote concessa da Alma, la continuità non venne mai meno grazie a quelli che attualmente, con qualche aggiustamento, sono i soci “uscenti” e che allora erano “superstiti”: non proprio triestini di nascita, ma comunque imprenditori fortemente radicati sul territorio. Furono loro ad evitare il dissolvimento, anche riuscendo ad avvicinare e convincere i manager di uno sponsor pesante di livello globale. La triestinità, dunque, è il valore che più di ogni altro, anche in questo momento di (pre)euforia per le incombenti novità, deve essere preservato ad ogni costo, affinché tali novità possano essere considerate veramente “sostenibili”. Per evitare che fra cinque anni, quando lo Zio Sam si imbarcherà sul Saturnia per tornarsene a New York, i cronisti che in quel momento seguiranno le vicende della Pallacanestro Trieste non debbano descrivere scenari di devastazione e rimproverare la città per “non aver fatto nulla” in vista della fine dell’avventura a stelle e strisce. Facciamo i nomi? Attualmente i principali soci del club sono Marco Bono, Luca Farina, Settimo RE, Gianfranco Cergol, IS Copy e Trieste Basket Srl. Quest’ultima, amministrata e rappresentata da Lorenzo Pacorini, è una società partecipata da gran parte della buona imprenditoria triestina: Monticolo & Foti, Cofir, Cervesi, Meccano, Several, Esteco, Orion, Bastiani, M-Cube, Enerlife, Gap, Harpo, Spaziouau, Policlinico Triestino, Korman, Farmacie Neri, più una lunghissima schiera di altre imprese che ne detengono quote anche microscopiche (fra le quali anche le società che fanno capo a Bono e Cergol), ma ugualmente rappresentative della volontà di rendersi garanti della promozione e del sostegno alla pallacanestro a Trieste, come del resto sancito dalla mission con la quale il “consorzio” era stato costituito. Ecco, una entità così rappresentativa e ben rappresentata, che già porta il nome della città nella sua ragione sociale, potrebbe confermare il suo ruolo di traghettatore, mantenere il famoso “piede nell’uscio della porta” resistendo alle comprensibili tentazioni di disimpegno, mantenendo un ruolo magari meno pesante a livello patrimoniale ma dall’altissimo valore simbolico. Non conosciamo, né presumibilmente potremo conoscere fino a firme avvenute il contenuto economico ed i dettagli tecnici della prossima operazione societaria, e tutto sommato non è fondamentale conoscerli. E’ plausibile, però, che i possessori delle percentuali maggiori di quote le cedano completamente, uscendo dalla compagine sociale, magari potendoci rientrare attraverso la partecipazione in Trieste Basket, che avrebbe così la forza per mantenere una quota anche minima, anche fortemente minoritaria, ma pur sempre presente come ultimo baluardo alabardato nella nuova realtà. In ultima analisi, è indispensabile che il nome di Trieste mantenga il suo valore anche nel futuro del club che ne indossa le insegne, evitando di diventare una semplice merce di scambio. Per il resto, benvenuto Zio Sam, non vediamo l’ora di conoscerti. Però, please…cerca di convivere con nostro Zio Uccio, è un po’ burbero e molto avaro, ma alla fine è una brava persona…