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Trieste vola: terzo sigillo consecutivo, sbancato il Taliercio

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(Photo credit: pagina Facebook ufficiale Pallacanestro Trieste)

Reyer Venezia – Pallacanestro Trieste 2004: 72-81

Pallacanestro Trieste 2004: Gaines 6, Pacher, Davis 7, Spencer, Deangeli 4, Ruzzier 15, Campogrande 3, Vildera 6, Bartley 21, Lever 6, Bossi NE. Coach: Legovich. Assistenti: Maffezzoli, Vicenzutto. 

Reyer Venezia: Spissu 8, Parks 9, Freeman 7, Sima NE, Moraschini 1, De Nicolao 1, Granger 6, Chillo NE, Brooks 17, Willis 5, Watt 9, Tessitori 9. Coach: De Raffaele. Assistenti: Bianchi, Billio, Tucci.

Arbitri: Lanzarini, Quarta, Marziali. 

Parziali: 18-20 / 42-36 / 54-61 / 72-81. 

Progressivi: 18:20 / 18-22 / 18-19 / 18-20.

E’ una Pallacanestro Trieste autoritaria, convinta dei propri mezzi, sicura nell’attuare il piano partita e abile nel destabilizzare quello di De Raffaele quella che va meritatamente a prendersi il prestigioso scalpo della Reyer a casa sua. E’ una vittoria che per una volta va letta oltre i numeri, le percentuali, le valutazioni, anche se le cifre vanno tutte a raccontare, a posteriori, di una superiorità tutto sommato abbastanza netta, di una vittoria, in altre parole, assolutamente meritata.

E’ una prestazione, però, frutto della crescita esponenziale del gruppo, che oggi è come un calabrone: troppo grosso e con le ali troppo piccole per volare, ma lui non lo sa. E così la squadra di Marco Legovich non sa dei propri limiti tecnici, di quelli fisici, non sa nulla di budget e di power ranking. Ma vola, eccome se lo fa: si presenta al Taliercio con la giusta faccia tosta, decisa a sovvertire un pronostico che sulla carta la vedeva a dir poco sfavorita in ognuno dei ruoli in campo. Ma Legovich oggi dispone di rotazioni profondissime, che gli permettono di mantenere pressoché costante il rendimento della squadra nell’arco dei 40 minuti, consentendo di far rifiatare gli uomini più affidabili per preservarli lucidi e non limitati dai falli per il finale di partita. Trieste difende benissimo ed in modo costante per tutti e quattro i quarti, sebbene cambiando spesso soluzioni, utilizzando a lungo quella zona matchup divenuta ormai un marchio di fabbrica di coach Legovich: concede qualcosa, consapevolmente, per il tiro dall’arco, anche se i tiri non contestati della Reyer da tre punti si contano su metà dita di una mano (per l’esattezza, due). In compenso, grazie soprattutto ad uno Spencer che si conferma essere il fratello forte del giocatore abulico e spaesato di inizio stagione, chiude letteralmente la porta nel pitturato addirittura ad un irriconoscibile ed indispettito Mitchell Watt, con Venezia che in attacco non riesce ad incidere nemmeno con il centro della nazionale Amedeo Tessitori. Spencer realizza la quarta doppia doppia consecutiva, catturando la bellezza di 14 rimbalzi con l’85% al tiro. Il risultato sono quattro quarti vinti con la Reyer tenuta esattamente a 18 punti, e Trieste che riesce a limitare i danni anche nel momento di maggiore sforzo veneziano a cavallo fra terza e quarta frazione.

Al capolavoro difensivo si aggiunge anche una prestazione offensiva sorretta senza dubbio dall’ennesima prestazione sopra le righe di un immarcabile Frank Bartley, di nuovo sopra i 20 punti, che fallisce (probabilmente per stanchezza) alcuni tiri liberi che sarebbero potuti costare cari, ma compensando la prestazione rivedibile dalla lunetta con la solita trazione integrale, che lo rende imprendibile per la prima linea difensiva della Reyer. Se si aggiunge che la squadra di De Raffaele si esibisce per i primi 25 minuti in una prestazione difensiva indolente, che tenta di pressare solo sul portatore di palla, ma una volta saltata la prima linea è costantemente in ritardo sugli aiuti, è disattenta sul tagliafuori, non riesce ad arginare l’energia dell’attacco triestino, non riesce mai ad intuire da dove arriveranno i fendenti, si spiega una percentuale triestina da due che si avvicina al 65% con 8 rimbalzi offensivi tramutati in altrettante seconde chance. L’anima del nuovo mood biancorosso, l’autore di questa trasformazione, è senza dubbio Michele Ruzzier, uscito evidentemente arricchito dall’esperienza bolognese, durante la quale avrà pure giocato poco, ma ha potuto abbeverarsi quotidianamente a fonti di elisir cestistico dal valore inestimabile. Michele dà ordine e sicurezza, detta i ritmi con una precisione svizzera, aggiunge anche pericolosità offensiva sia da fuori che in penetrazione (esemplificativa l’inconsistenza difensiva di Marco Spissu e Andrea De Nicolao, entrambi sistematicamente battuti nell’uno contro uno non solo, come prevedibile, da Davis e Bartley, ma anche dal play triestino).

Ma non è solo con una difesa clamorosa ed un attacco paziente e ben congegnato che Trieste riesce nell’impresa. Del resto non sarebbero bastati in un confronto impari alla vigilia, con De Raffaele che oltretutto può contare su giocatori di primissima fascia lì dove Trieste è quasi totalmente scoperta. Ma se Willis e Bramos incappano in una giornata di scarsissima vena, non è così per Jordan Parks e Allerik Freeman: dopo che Trieste, che chiude sul +6 la prima metà di partita, rientra in campo con un piglio deciso e sorprende i padroni di casa con un tramortente break portandosi addirittura sul +18 a 13 minuti dalla sirena finale, sono proprio loro due a suonare la carica per il clamoroso e prodigioso recupero. Nel breve volgere di cinque minuti a cavallo fra terza e quarta frazione guidano un break che riporta la Reyer a -3 sul 60-63, con la palla in mano per il possibile pareggio. E’ qui che la versione triestina di inizio campionato avrebbe deposto le armi, abbassando la testa e battezzando perso l’incontro, con l’inerzia totalmente nelle mani degli avversari ed un palazzetto a sospingere quasi fisicamente la squadra di casa verso una inevitabile vittoria. Ma la Trieste neoamericana è ormai matura anche dal punto di vista mentale. Legovich non chiama nemmeno time out per fermare l’emorragia, li conserva per il finale, sa che la sua squadra è in grado di reggere emotivamente, di ammortizzare l’urto, di non farsene travolgere. Ed il miracolo, puntualmente, avviene: Trieste serra le fila, raschia il fondo del barile delle energie difensive, cerca di ragionare in attacco senza affrettare tiri, non si abbatte dopo un paio di falli in attacco commessi che costano altrettante gite in lunetta per Venezia a gioco fermo. E’ qui, quando il gioco si fa duro, che i duri cominciano a giocare sul serio. Bartley prende per mano la squadra in attacco risultando peraltro insuperabile in difesa, Gaines realizza un tiro impossibile subendo fallo, il guastatore Deangeli piazza un tiro dall’angolo nel finale che viene giudicato da due ma che vale come una bomba, Spencer è una furia devastante, cattura rimbalzi, schiaccia decollando dal centro dell’area imbeccato da Ruzzier, piazza assist, blocca per le penetrazioni dei compagni, si getta letteralmente fra le gambe dei piccoli lagunari alla ricerca della rubata. In un contropiede susseguente ad una palla recuperata Trieste si riversa in massa nell’area avversaria, va a concludere dopo che il pallone è passato per le mani addirittura di quattro giocatori senza toccare terra: è la misura della voglia, della concentrazione, del rifiuto ad arrendersi, dell’intenzione di mandare un messaggio chiaro agli avversari. L’inerzia si ribalta nuovamente, Trieste si riprende per la coda una partita che pareva poterle ingiustamente sfuggirle, il Taliercio torna a tacere, tranne che nel minuscolo acquario destinato ai tifosi triestini, giunti nuovamente in massa in Veneto. Nel finale Ruzzier e Davis gestiscono i ritmi, Venezia deve accelerarli ma non ha nemmeno la lucidità per il classico gioco dei falli, e comunque quando lo fa Ruzzier è infallibile dalla lunetta, Trieste è imprendibile.

Legovich, dopo aver vinto la vittoria dei nervi con Caja ed aver impartito una severa lezione a Marcelo Nicola, si prende anche la grande soddisfazione di superare nella preparazione tecnica ed emotiva dell’incontro e nell’esecuzione del piano partita un altro grande allenatore pluridecorato come Walter De Raffaele. Nelle prossime due partite casalinghe affronterà Cesare Pancotto ed Ettore Messina: altri due esami di laurea per un coach sempre meno sorpresa e sempre più realtà consolidata del basket italiano. E, per fortuna, triestino.

A proposito delle prossime due partite: l’entusiasmo dei tifosi in trasferta a Verona, Treviso e Mestre ora va trasferita, e moltiplicata per 20, anche all’Allianz Dome. Questa squadra lo merita, non fosse altro per l’energia, la motivazione, l’attaccamento alla missione, la voglia di non mollare mai. E poi contro Napoli domenica prossima saranno presenti altri due dei nuovi soci, quelli più addentro alla questione prettamente tecnica. Offrire al palazzetto il colpo d’occhio che li ha convinti a scegliere Trieste sarebbe il miglior kickoff per l’ambizioso progetto che sta nascendo sotto San Giusto.

Intanto, la festa per la vittoria a Venezia è un po’ rovinata dalla vittoria di Reggio Emilia su una Milano sembrata totalmente allo sbando dal punto di vista mentale (l’Olimpia sarà a sua volta a Trieste fra due settimane) e di Treviso su una Brescia che offre gentilmente sul piatto d’argento agli avversari la vittoria all’ultimo secondo: risultato, quest’ultimo, che dà una dimensione diversa al +19 maturato da Trieste al Palaverde, e consente alla stessa Trieste di raggiungere proprio Brescia in classifica. Eh sì, perché è ora di cominciare a guardare anche verso l’alto: la Pallacanestro Trieste, con queste ultime tre vittorie consecutive, a 14 punti si trova appaiata a Brindisi, Brescia e Sassari (rimanendo fuori dall’ipotetica griglia playoff per la classifica avulsa, pur avendo raggiunto la quota punti necessaria), ed ha nel mirino la Reyer a 16 e, quattro punti più su, Varese e Trento. Sebbene le penultime Verona, Treviso e Scafati si trovino solo due punti più sotto, e l’ultima, Reggio Emilia, è distanziata di soli 4 punti, a fare un pensierino ai playoff non si commette un peccato mortale. E’ certamente necessario rimanere con i piedi ben piantati per terra, sposare il credo della nuova proprietà che si rifiuta di fare voli pindarici e pretende solo la salvezza come risultato imprescindibile da cui partire, ma in un campionato così equilibrato, nel quale letteralmente nessuna squadra può essere sicura di vincere una partita, continuare ad essere il calabrone che non sa di non poter volare, e vola ugualmente, deve iniettare entusiasmo in un ambiente che sta lentamente tornando quello di due anni fa.