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Trieste si ripete: semifinale ad un passo

Tempo di lettura: 7 minuti

(Photo credit: Sito Ufficiale Pallacanestro Trieste)

REALE MUTUA TORINO – PALLACANESTRO TRIESTE 84-87

Reale Mutua Torino: Kennedy 20, Thomas 11, Vencato 8, Ghirlanda, Schina 8, Fea ne, Poser 22, Rhao ne, Petruzzi ne, De Vico 10, Cusin 2, Pepe 3. Allenatore: F. Ciani. Assistenti: A. Iacozza. M. Siragusa.

Pallacanestro Trieste: Bossi 5, Filloy 8, Rolli ne, Reyes 18, Deangeli, Ruzzier 14, Candussi 12, Vildera 9, Ferrero 3, Menalo 5, Brooks 13. Allenatore: J. Christian. Assistenti: M. Carretto, F. Nanni, N. Schlitzer.

Parziali: 18-24 / 26-22 / 21-24/ 19-17

Progressivi: 18-24 / 44-46 / 65-70 / 84-87

La Pallacanestro Trieste che non ti aspetti: cinica ai limiti della spietatezza, dopo aver condotto per 38 minuti, davanti ad avversari ormai all’angolo ma che si rifiutano categoricamente di arrendersi e gettano sul parquet letteralmente tutto ciò che hanno arrivando ad un passo dal pareggio nella serie, piazza tre colpi clamorosi quando più conta con i suoi uomini migliori e rimarca ciò che già domenica sera appariva incontrovertibile: questa squadra sa vincere anche le partite tese ed equilibrate, facendo le scelte giuste nei finali punto a punto, ed è tornata a farlo anche in trasferta su campi pesanti nel momento cruciale della stagione. Scelte giuste in campo, ma anche nella conduzione tecnica, improvvisamente illuminata come se avesse assorbito come una spugna tutta la negatività, i difetti e gli errori commessi durante la stagione regolare, filtrandoli ed espellendoli rimanendone purificata. Beninteso, sono poche le novità tecnico tattiche proposte, come era prevedibile e previsto. Trieste non snatura il suo gioco, basato principalmente su un flow apparentemente libero da schemi predefiniti in attacco, però ora lo esegue in modo credibile, con gli uomini giusti impiegati al momento giusto, anche con quintetti apparentemente sconcertanti nella loro composizione, con percentuali esiziali soprattutto se giochi in trasferta partite dal pathos così intenso. La squadra, dopo periodi di sbandamento evidenziato a più riprese durante la stagione regolare, che facevano addirittura presupporre uno scollamento fra campo e panchina, scollamento di comunicazione ma anche di interpretazione del modo di intendere la pallacanestro, è tornata a seguire ed eseguire diligentemente ciò che Jamion Christian decide per lei. Un episodio su tutti: mancano quattro minuti alla fine, la partita viaggia su esigui vantaggi alternati, la palla avanza verso l’attacco, Justin Reyes palleggia a quattro metri dal coach che chiama lo schema per lui, un “gomito basso” (qualunque cosa possa voler dire) che evidentemente si prefigge di portare in isolamento il portoricano uno contro uno in posizione frontale oltre l’arco. Esecuzione del “gomito basso” perfetta, Reyes, con un solo avversario davanti, finta la penetrazione, si ferma sull’arco e piazza la bomba del +1. E’ solo un esempio (più indicativo degli altri perchè eseguito in un momento di difficoltà con il pallone che pesa una tonnellata ed un punto da recuperare nel momento di massimo sforzo torinese), che però dimostra come il meccanismo, per la prima volta dopo sei mesi, funzioni finalmente come quello di un orologio svizzero -magari uno Swatch anziché un Rolex, ma sempre di precisione stiamo parlando.

Certo, per un allenatore in panchina ce ne vuole anche uno in campo. I playoff, le situazioni difficili, i momenti cruciali delle partite, ma anche quelli di maggiore difficoltà, anche quelli in cui i giocatori in maglia bianca commettono errori banali dando coraggio agli avversari ed allo sparuto quanto silenzioso pubblico sabaudo, sono territorio di caccia per il grande vecchio, colui che queste situazioni nella sua infinita carriera le ha probabilmente vissute decine di volte, uno che gli attributi per prendersi le responsabilità in prima persona li possiede in abbondanza, ma che trova anche il modo di rimproverare, o incoraggiare, o catechizzare i compagni in campo in una sorta di (flemmatico) moto perpetuo: Ariel Filloy, ben oltre statistiche che suggerirebbero il contrario, è il vero additivo nel motore triestino, l’uomo in grado di accendere la miccia, l’uomo a cui dare la palla perché sai che, a meno di un minuto dalla fine con un punto da recuperare, non rinuncerà al tiro, non cercherà un compagno, non delegherà il destino ad altri ma si prenderà la tripla dall’angolo che spezza definitivamente il morale agli avversari. Quella bomba Ariel Filloy avrebbe potuto facilmente sbagliarla, ma si può star certi che nella testa di Michele Ruzzier, mentre penetrava fintando l’attacco al ferro, quello scarico nell’angolo verso le mani dell’argentino era già money in the bank.

In ultima analisi, la differenza in una partita nella quale le squadre in definitiva si equivalgono (con Trieste che comunque la conduce per gran parte del suo svolgimento) consiste tutta nel rendimento degli uomini più esperti, i “go to men”, che tradiscono Ciani nella seconda metà di quarta frazione, quando Thomas e Kennedy, che pur non demeritano in generale, spariscono letteralmente dal campo, così come si inceppa la vena realizzativa da fuori di Vencato (che fallisce le ultime tre triple tentate, prese da oltre sette metri e mezzo in modo poco lucido e fuori ritorno) e quella, peraltro piuttosto fortunosa quando non avventurosa, di Simone Pepe, al quale viene affidato il tiro del pareggio finale che si traduce in un inverecondo air ball. Dall’altro lato del campo, Filloy prima, Reyes poi, ed infine, nell’ultimo minuto, le bombe dello stesso Filloy e quella definitiva e spezza gambe di Brooks a 19” dalla fine, azioni partite entrambe dalle mani di Michele Ruzzier (sempre più anima e cervello di questa squadra), fanno capire come l’affidabilità sia un lusso che Jamion Christian si sia potuto godere a differenza del coach avversario, trovatosi con pochissimi punti di riferimento quando più ne avrebbe avuto la necessità.

Eli Brooks ha appena segnato la tripla decisiva (Photo Credit: sito ufficiale Pallacanestro Trieste)

Ovviamente anche in Gara2 non tutto fila liscio, del resto aspettarsi che un coach esperto come Franco Ciani non faccia tesoro degli errori commessi nella prima partita e non cerchi di porvi rimedio con aggiustamenti chirurgici sarebbe stata un’ingenuità clamorosa. Ed infatti la cura difensiva destinata al match winner di domenica sera Eli Brooks è particolarmente feroce, e riesce a tenere fuori dai giochi per più di mezza partita la guardia ex Michigan, almeno finché decide che è ora di accendere il diesel e salutare la compagnia. Era anche prevedibile la reazione (anche di orgoglio) di un Keondre Kennedy più dannoso che nullo in Gara1, ed il treccioluto esterno di Torino si riscatta con gli interessi, colpendo da ogni parte del campo. Sull’altro fonte, lo stesso Justin Reyes, che realizza 20 punti con alcuni lampi di classe cristallina (oltre alla bomba descritta più sopra, di importanza capitale), sembra di gran lunga meno esplosivo rispetto ad inizio stagione, non domina più in elevazione, si fa soffiare rimbalzi in difesa da giocatori più piccoli di lui, continua ad intestardirsi troppo spesso in iniziative personali e vagamente egocentriche quando, con la difesa a collassare su di lui, potrebbe facilmente innescare i compagni liberi. Però, se la squadra metabolizza in tal modo queste sue prestazioni sotto standard, mettendo a frutto le soluzioni e gli equilibri che suo malgrado ha dovuto ricercare nei lunghi mesi passati senza il suo giocatore migliore, questo deve essere preso come il rovescio positivo della medaglia: è ormai assodato che Trieste non è più Reyes-dipendente. Ciò nonostante, che si tratti di un fisiologico down fisico dopo due mesi e mezzo lontano dal campo o il conscio tentativo di preservarsi per gli impegni che lo attendono nei prossimi mesi, nel prosieguo di questi playoff ci sarà prima o poi bisogno di un Justin Reyes che faccia di nuovo il Justin Reyes come l’abbiamo conosciuto. Inoltre, permane qualche amnesia difensiva, sorprendentemente ed a differenza di Gara1, proprio nel pitturato. Jamion Christian schiera in quintetto ed a più riprese i suoi pesi massimi, ma subisce sistematicamente i tagli dei lunghi torinesi, che ricevono sotto canestro quasi sempre in isolamento od accoppiati a chi non può difendere su di loro. Vencato, specie quando accoppiato a Filloy o Bossi, è libero di penetrare creando situazioni di grande vantaggio che gli permettono di chiudere personalmente o scaricare verso compagni liberi. E poi la caterva assolutamente imprevedibile di rimbalzi offensivi concessi, spesso a causa di tagliafuori mal eseguito, che costano seconde e terze chance o, nel migliore dei casi, un fallo commesso. La superiorità tattica dei lunghi triestini non può concedere 15 rimbalzi offensivi ad avversari mediamente più piccoli, rimbalzi che si trasformano in un numero eccessivo di possessi aggiuntivi concessi, molto spesso costati carissimo. Un po’ meglio in Gara2, invece, la difesa sulla transizione primaria, se non altro c’è il tentativo di arginare con le buone o con le cattive le conclusioni troppo semplici degli avversari in veloce ribaltamento di fronte: c’è ancora, tuttavia, del lavoro da fare in tal senso. Infine, sono ben 15 le palle perse, davvero troppe anche alla luce del fatto che nella altalenante fase ad orologio una delle poche voci statistiche nelle quali Trieste eccelleva era proprio la limitazione dei turnover. Probabilmente è un effetto secondario, una scoria del gioco veloce e del tipo di costruzione delle azioni, ma tornare sotto la doppia cifra appare un compito perlomeno essenziale, specie se alla palla persa si abbina un contropiede, con tutte le ben note conseguenze del caso.

Per Gara 3, che si giocherà nuovamente in notturna, è sperabile che il metro arbitrale torni ad essere leggermente meno fiscale rispetto a quello usato a Torino dalla terna in grigio, che perlomeno è stata equanime nel dar fiato ai fischietti una volta ogni pochi secondi: 53 falli complessivi e 58 tiri liberi sono davvero troppi, rischiano di spezzettare eccessivamente il gioco abbattendo la qualità dello spettacolo, tolgono la possibilità di difendere con intensità favorendo artificialmente gli attacchi, innervosiscono giocatori e panchine (che poi si sfogano con proteste sempre più plateali e brutte da vedere, peraltro a loro volta punite con falli tecnici) e rischiano di far durare l’evento più di due ore complessive. Non si può pretendere che in un quarto di finale playoff con in palio un risultato così importante i giocatori si affrontino usando il fioretto: da che mondo è mondo i playoff sono duri, i colpi sono talvolta proibiti, le sportellate sono la regola, le mani addosso e le intimidazioni li rendono il momento più godibile della stagione. Rovinarlo per voler interpretare il regolamento come bravi scolari non ha alcun senso.

Attenzione: la serie non è ancora conclusa, anche se Trieste, con i due break al suo attivo, potrebbe già riuscirci venerdì sera. Non è nemmeno il caso di consigliare prudenza alla squadra, dal momento che la quantità di acqua che verrà gettata sul fuoco da GM e staff tecnico nei prossimi giorni si avvicinerà a quella contenuta in una piscina olimpionica. Torino arriverà a Trieste senza ormai nulla da perdere, giocherà leggera e senza pressioni, non ha problemi fisici (se non un evidente affaticamento generale, uno stato di forma visivamente e progressivamente più approssimativo) e tenterà il tutto per tutto. Aver rovesciato il vantaggio del fattore campo, sebbene il Pala Asti non sia esattamente l’arena del Partizan Belgrado, avrà un suo peso e diverrà un plus determinante esclusivamente se il Pala Trieste, da venerdì sera, tornerà a fare il Pala Trieste. E’ ora che le fazioni pro e contro l’allenatore e la società, le infinite sfumature nelle quali la tifoseria ha finito per frazionarsi, tornino ad essere un muro incrollabile, magari di colore rosso. Almeno per questo finale di stagione, con la squadra che effettivamente sembra aver inaugurato il famoso, tanto atteso “nuovo campionato”, è ora che il popolo biancorosso torni a remare compatto ed unanime nella stessa direzione.

Intanto, Forlì domina agevolmente anche Gara2 in casa ed ora la serie si sposta a Vigevano. Difficile immaginare che i romagnoli non siano la prima semifinalista, potenzialmente la prossima, eventuale, avversaria di Trieste.