Brindisi-Trieste 86-54
Quando non credi in te stesso, e non ritieni che avere l’ambizione di sfidare i tuoi limiti sia un valore per uno sportivo, quando alzare l’asticella dei tuoi obiettivi viene considerato un peccato di vanità anziché la sublimazione dell’amor proprio, quando ti convinci che il solo conquistare un posto fra le prime otto sia di per sé stesso già un risultato. Quando parti già sconfitto perché tanto gli altri sono più forti e non cerchi nemmeno di provarci. Quando gli americani decretano finita la stagione pensando già solo al check in che li riporterà, una buona volta, nel loro grande Paese, quando il linguaggio del corpo del coach durante i time out sembra quello di un bagnino riminese a fine settembre, il risultato è il deprimente spettacolo offerto da una squadra che con questi playoff, peraltro conquistati con merito, c’entra come il parmigiano su un’orata al forno.
Quando, poi, la sorte ti accoppia ad una squadra esattamente speculare, che trasforma in valori tutti i tuoi difetti, sobbarcarsi gli oneri di una lunga trasferta in Puglia ha l’unico vantaggio di godersi il clima estivo del Meridione anziché il plumbeo autunno perenne di questa primavera giuliana.
Raccontare la cronaca del disastro ignominioso di Gara 2 (fotocopia mal riuscita di Gara 1), magari analizzandone statistiche od aspetti tecnici, è un esercizio deprimente quanto inutile, tanto è stridente la differenza in ogni singola voce del referto, sia a livello individuale che complessivo. La squadra di Vitucci, alla ottava sinfonia in tre stagioni sulla sgangherata banda di Dalmasson (con ottime probabilità di arrivare alla Nona con annesso Inno alla Gioia entro lunedì prossimo) si dimostra semplicemente inarrivabile per convinzione, determinazione, forza e forma fisica, organizzazione, tecnica e profondità del roster. Ed anche, bisogna dirlo, per capacità del coach di preparare il match, stabilire un piano partita vincente ed avere l’autorità per farlo rispettare. Dalmasson sembra realmente arrivato alla “last dance” sul pino triestino, ma i suoi 11 anni su quella panchina avrebbero meritato un commiato appena più dignitoso.
Fra tre giorni arriva Gara 3. Verrebbe da pensare, con un concetto contro natura per un tifoso, che sia meglio sbarazzarsene in fretta (tanto la salvezza, vero ed unico obiettivo dichiarato della stagione, è bello che acquisito) e pensare da subito a rifondare un gruppo che ha bisogno di essere ricostruito, magari puntando su qualche rassicurante punto fermo ma facendo anche tesoro dei difetti strutturali evidenziati dal roster in questa stagione, a partire dalla scelta di stranieri un tantino più consapevoli di dove sono atterrati. E, magari, avere il coraggio di valorizzare giovani promettenti e dotati di attributi che Trieste ha già in casa. Per farlo, ed è doloroso ammetterlo, bisognerà ripartire da una nuova guida tecnica, tenendo sempre ed in ogni caso presente che per tentare di trattenere per almeno un’altra stagione uno sponsor prestigioso, vincente ed abituato ad essere leader nel suo campo come Allianz sarà indispensabile mostrare un atteggiamento ben diverso da quello privo di dignità e rispetto esibito nelle desolanti esibizioni di questa inutile quanto poco onorata post season 2021.