Pallacanestro Trieste:Bossi 2, Filloy 0, Rolli ne, Reyes 19, Deangeli 3, Ruzzier 4, Camporeale ne, Campogrande 5, Candussi 17, Vildera 6, Ferrero 2, Brooks 21. Allenatore: J. Christian. Assistenti: M. Carretto, F. Nanni.
UniEuro Forlì:Allen 15, Cinciarini 11, Valentini 6, Zampini 5, Tassone 0, Johnson 17, Pascolo 2, Zilli 6, Pollone 0, Radonjic 0. Allenatore: A. Martino. Assistenti: A. Fabrizi, P. Ruggeri.
Parziali: 19-12 / 16-23 / 14-14 / 30-13
Progressivi: 19-12 / 35-35 / 49-49 / 79-62
Arbitri: A. Dionisi, N. Pellicani, A. Coraggio.
(Photo Credit: Sito Ufficiale Pallacanestro Trieste)
Esame di maturità, o per meglio dire verifica di metà anno scolastico, ampiamente superato per una Pallacanestro Trieste ancora altalenante nel rendimento nell’arco dei quaranta minuti, ma che si dimostra fredda e compatta nei momenti di maggiore difficoltà con il rientro ed il sorpasso di Forlì e le talvolta irritanti malefatte di arbitri non all’altezza del match. Ed in più si dimostra anche aggressiva, cattiva e cinica in un finale nel quale utilizza mezzi tecnici superiori rispetto ad una compagine romagnola ottima per 35 minuti nell’ingabbiare il meccanismo offensivo triestino ma davvero troppo corta per reggerne l’impatto fino alla fine. I biancorossi di Christian stavolta tornano a dilapidare in tre minuti il vantaggio di 14 punti accumulato nel secondo quarto chiudendo il primo tempo in parità, però dimostrano di essere capaci di assumere quell’atteggiamento da killer che era stato il grande assente per gran parte del girone d’andata piazzando un tramortente break proprio nel momento in cui, a cinque minuti dalla fine, la squadra di Antimo Martino si stava preparando all’ennesimo arrivo in volata, specialità nella quale finora si è dimostrata più vincente di Cipollini. Ed invece, sono 30 i punti realizzati negli ultimi dieci minuti da Trieste, con alternanza di soluzioni offensive, attacco al ferro dei due playmaker che si dimostra vincente oppure in grado di muovere la difesa in modo da liberare i tiratori sugli scarichi, compreso un Candussi che mette il punto esclamativo dai 6.75 nel momento più importante. i biancorossi utilizzano il gioco in post che fa collassare la difesa nel pitturato, aggiungendo al tabellino 12 rimbalzi offensivi che si trasformano in seconde e terze chances (troppo veloci le mani di Reyes, troppo devastante la sua elevazione per i difensori romagnoli). Aggiungiamo una difesa che torna ad essere super aggressiva sui portatori di palla impedendo a Kadim Allen sia di mettersi in proprio che di innescare i compagni (il playmaker americano è comunque protagonista del momento di maggiore brillantezza offensiva della sua squadra, ma lo fa in modo totalmente avulso dai meccanismi), e di blindare un pitturato dove la presenza di Candussi o Vildera e Reyes è veramente troppo ingombrante per credere che uno Xavier Johnson adattato a “5”, con Pascolo e Zilli a fare da comprimari, possa davvero diventare una soluzione offensiva vincente. Altro particolare da non sottovalutare è il modo in cui la squadra di Christian riesce ad adattare, finalmente, il suo gioco all’avversaria, cercando di prevederne il piano partita, specie difensivo, e sorprenderla con un gioco molto più profondo e meno perimetrale del solito. Certo, la cifra distintiva di Trieste continua ad essere quella di correre, correre tantissimo, concludere preferibilmente nei primi secondi di ogni azione in contropiede o transizione secondaria. Ma quando Antimo Martino ordina una zone-press aggressiva fin dai primi metri sotto il canestro triestino, o per lunghi tratti utilizza alchimie tattiche difensive che vanno dalla match up alla zonaccia bulgara, ci si potrebbe aspettare una gragnola di tentativi da tre punti, puntando decisamente al record stagionale di 50 tiri. Certo, un azzardo se Trieste dovesse entrare in ritmo da lontano, ma con il 20% da oltre l’arco del primo tempo non si sarebbe andati lontanissimo. Ed invece, Trieste affonda a sorpresa il colpo lì dove Martino meno se l’aspetta, nel cuore del pitturato: sono ben 42 su 79 i punti realizzati da sotto, dove i “tre” ed i “quattro” ospiti non riescono a contenere le penetrazioni dei piccoli o, tantomeno, i due lunghi biancorossi quando ricevono la palla spalle a canestro: è così, prevalentemente, che Trieste fa suo il match.
Trieste, dal canto suo, per la prima volta nelle sue vittorie più importanti non trova un protagonista assoluto: le responsabilità sono distribuite equamente, certo le prestazioni di Candussi, Brooks e (in parte) Reyes sono quelle che generano le statistiche migliori, ma ognuno dei 10 giocatori scesi in campo contro Forlì stavolta porta il suo contributo imprescindibile in ogni momento. Continuano le rotazioni vorticose, con alcuni giocatori specialisti difensivi che vengono avvicendati in pochi istanti, esaurito il loro compito da guastatori, e viceversa. Ma è qualcosa alla quale ormai il pubblico triestino ha fatto l’abitudine, e non sorprende più nessuno, sebbene talvolta alcuni quintetti privi di “5” con tre piccoli contemporaneamente in campo, o lo scarso minutaggio concesso a Luca Campogrande, che la sua la dice ampiamente anche in difesa, a cui viene preferito un Ariel Filloy in evidente difficoltà sui due lati del campo, continuino a spiazzare più di qualcuno. Bisogna però dare atto a Jamion Christian che partita dopo partita dimostra di conoscere sempre più ogni singolo particolare dei suoi giocatori, ed una spiegazione -o perlomeno un fine- anche alle soluzioni meno comprensibili in conclusione c’è sempre.
L’andamento del match ha il tipico andamento ondulatorio nel rendimento al quale ormai siamo abituati (o rassegnati?). Trieste parte bene, difende in modo decente nel primo quarto limitando Johnson e Allen, si prende qualche punto di vantaggio, che dilata fino a + 14 a metà secondo quarto quando è lasciata libera di dettare i propri ritmi, evidentemente non consoni alla squadra romagnola che predilige una pallacanestro più compassata e ragionata. Ma quando Martino propone la zona per la prima volta, l’ingranaggio offensivo triestino si grippa completamente, non riuscendo spesso nemmeno a trovare il tiro. In tre minuti il match viene rimesso su binari di estremo equilibrio, e ci resterà (nonostante la non migliore serata del trio in grigio, a tratti completamente nel pallone) fino ai fatidici cinque minuti finali, nei quali il fosforo di Michele Ruzzier e l’iniziativa (più gli attributi) di Eli Brooks innescano lo scatto vincente. Finisce, finalmente, con il ritorno del giro di campo dei giocatori per salutare il pubblico dopo un paio di partite da “separati in casa”: è un segnale apparentemente insignificante, ma invece dal significato simbolico estremamente importante.
La squadra di coach Christian, passata attraverso le forche caudine di tre brutte sconfitte consecutive in ottobre, di cui una capace di creare un canyon con il pubblico, dopo essersi dimostrata alla ricerca di sé stessa per un mese, indecisa ed incapace di imporsi, in altre parole un oggetto misterioso per sé stessa e per chi ne segue le gesta, finisce la prima metà di stagione regolare al secondo posto, soli due punti sotto l’assoluta protagonista di inizio campionato, la Fortitudo Bologna, dopo aver vinto gli scontri diretti con Udine e Forlì ma anche con la prospettiva di doverle affrontare (così come Bologna) in trasferta fra dicembre, gennaio ed inizio febbraio. Un bilancio, dunque, il linea con le aspettative del club, così come secondo previsioni è il percorso di progressivo miglioramento del gioco e di consapevolezza sempre maggiore nei propri mezzi. Tra l’altro, è imprescindibile iniziare a considerare l’importanza dei risultati negli scontri diretti ed anche della differenza canestri, ed in questo senso è ammirevole la decisione di non alzare il piede dall’acceleratore contro Forlì anche nel momento in cui appariva ormai evidente dove sarebbero finiti i due punti in palio. Altre squadre, anche avversarie dirette di Trieste, iniziano in questo periodo a piazzare colpi di mercato più o meno importanti, ma su questo aspetto, come prevedibile, tutto tace in casa triestina: non è escluso che qualche prospetto sia seguito e tenuto d’occhio nel caso si dovesse presentare qualche buona opportunità, ma la sensazione è che il club, ed in particolare Michael Arcieri e Jamion Christian, siano assolutamente convinti della bontà delle loro scelte, e stravolgere un roster imperfetto ma in costante crescita non è certo una loro priorità. L’endorsement finale del GM a Francesco Candussi, con le lodi sulla sua crescita umana oltre (anzi, più) che tecnica ne è l’esempio più evidente.
Ultima nota, il pubblico: gli appelli della società, la call to action del coach, lo scontro al vertice, le quattro vittorie consecutive, due derby portati a casa. Nulla di tutto ciò e valso da sprone per convincere una grandissima fetta di tifosi da tastiera ad alzarsi dal divano, evitando peraltro di subire il pessimo servizio streaming di LNP Pass, e tornare una buona volta a palazzo, al netto della concorrenza della finale di Coppa Davis. Il colpo d’occhio contro Forlì -valutabile in poco più di 3000 presenti- non era certo quello delle grandi occasioni, ed a parte la curva ed i minuti finali, pareva perlopiù di assistere ad uno spettacolo teatrale. Se si vorrà trasformare il Palatrieste in un fattore sulla strada della promozione, in una imprescindibile iniezione di energia suppletiva per i giocatori, ci vorrà ben altro. In alternativa, lamentarsi è un esercizio fine a sé stesso.