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Trieste alla Last Dance, Brindisi in semifinale

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PALLACANESTRO TRIESTE – BRINDISI   77 – 79

Allianz Pallacanestro Trieste: Da Ros 2, Henry 22, Cavaliero 11, Alviti 2, Coronica, Upson 6, Doyle 7, Fernandez 4, Delìa 8, Grazulis 9, Laquintana 6, Arnaldo ne. All. Dalmasson

Happy Casa Brindisi: Willis 15, Thompson 13, Gaspardo 5, Harrison 5, Bostic 10, Visconti ne, Cattapan ne, Bell 3, Udom 3, Zanelli 6, Perkins 19, Guido ne. All. Vitucci

Parziali: 20-25; 41-47; 59-63

Arbitri: Paternicò, Vicino, Nicolini

Arriva una sconfitta anche in Gara3, ma uscire così fa molto meno male

Al termine di una partita che gli ospiti conducono quasi per intero, ma con vantaggi mediamente mai superiori ai due possessi, resta un po’ di amarezza per tutto quello che questa serie avrebbe potuto essere e che invece non è stato. Almeno, però, negli occhi di tutti rimarrà un ultimo match degno del palcoscenico in cui va in scena. I biancorossi lottano su ogni pallone, difendendo con il sangue agli occhi, gettandosi generosamente a rimbalzo anche in attacco o tuffandosi per terra aggredendo le caviglie degli avversari per conquistare un pallone, pasticciando e commettendo errori banali ma tenendo in vita il risultato fino agli ultimi 15 secondi. Vitucci suona la nona sinfonia contro Dalmasson, che probabilmente non avrà mai l’occasione di batterlo sedendo sulla panchina che l’ha visto condottiero per 11 stagioni. Brindisi vince meritatamente 3-0 e vola in semifinale, faticando un po’ di più in Gara 3 soprattutto per merito di Trieste, ma dimostrando di valere ampiamente il secondo posto con il quale ha concluso la stagione regolare. Ai pugliesi va il grande applauso di chi è capace di notare l’esaltante strada fatta dalla “Cenerentola” (per budget) fra i top team del campionato italiano, quella che si è ribellata ad un roster che in pochi pronosticavano a questi livelli, rivelandosi partita dopo partita la sorpresa più bella dell’anno. Ora andrà a contendere alla Virtus Bologna (che si è sbarazzata con un “bugiardo” 3-0 della DeLonghi Treviso) l’accesso alla finale scudetto, in una sfida tutta da gustare per gli amanti della pallacanestro.

La sconfitta, però, stasera passa in secondo piano. E’ la serata degli applausi e dei saluti, la serata in cui va celebrata una stagione strana, giocata per intero lontano dall’amato Red Wall, costellata di problemi di salute e di calendario, punteggiata da momenti di tensione palpabile, ma ciò nonostante ricca di soddisfazioni, con l’Allianz costantemente attestata fra le prime otto forze della Serie A, che le ha fruttato la partecipazione alle Final Eight di febbraio ed un posto privilegiato nella griglia della post season. Una stagione che ha permesso a Trieste di togliersi soddisfazioni importanti ed inaspettate, come le fragorose vittorie a Milano e Bologna, e che ha anche visto la maturazione di un giocatore italiano che potrà essere un ottimo prospetto in chiave azzurra, quel Davide Alviti che ora sarà certamente oggetto di attenzioni particolari da parte di club di prima fascia. Una stagione, come afferma il presidente Ghiacci al termine della partita, che è stata la più difficile nella storia del basket, e ciò nonostante ha riservato il miglior piazzamento per Trieste da vent’anni a questa parte.

E’ la serata degli applausi, degli abbracci e dei saluti. E di un po’ di lacrime

Saluti, dicevamo. Innanzitutto quelli di un giocatore che è sempre stato un simbolo per la città, per l’amore che ha sempre dimostrato per questa maglia anche da lontano dopo il fallimento, ed ancora di più per l’orgoglio che ha dimostrato nell’indossarla nuovamente dopo il suo ritorno a casa quattro anni fa. Daniele Cavaliero non ha ancora deciso il suo futuro, perlomeno non ha fatto comunicazioni ufficiali. L’abbraccio finale vero, sentito, commosso, di amicizia pura con il Lobito, Matteo Da Ros e Andrea Coronica ed i ringraziamenti con la voce rotta in sala stampa possono essere però interpretati come qualcosa più di un segnale: Daniele lascia ai suoi “fratelli”, come li ha definiti, il testimone di questo suo enorme sentimento di attaccamento alla squadra ed alla città. Vale la pena ascoltare le sue parole dalla sua voce in sala stampa:

L’ultima volta di ED?

Anche coach Dalmasson, contro Brindisi, ogni probabilità ha condotto per l’ultima volta dalla panchina la Pallacanestro Trieste. Il coach: personaggio talvolta difficile, non propenso a particolari slanci empatici, quasi mai in sintonia con la stampa, spesso in conflitto con i giocatori, specie quelli incapaci o poco disponibili a comprenderne la filosofia. Ma nello sport contano i risultati. Eugenio Dalmasson ha condotto il club raccogliendolo in Serie B e lo ha portato per due volte, da settimo, ai playoff scudetto. In mezzo, undici anni vissuti spesso senza sapere nemmeno se si sarebbe arrivati a fine stagione, disponendo di stranieri improbabili e di roster costituiti da un pugno di giovani ed un paio di veterani. Ma anche di grandissime soddisfazioni, delle finali in A2, della Supercoppa, dell’esaltante promozione del 2018, dell’amore mai veramente sopito di una città per il basket riesploso prepotente in questo decennio anche grazie a lui. Pure nel suo caso non c’è nulla di ufficiale, ma è praticamente certo che le strade fra lui e la Pallacanestro Trieste si separeranno fra pochi giorni. Anche al coach non possono che andare i ringraziamenti di una città e di un club nella cui storia occuperà sempre un posto indelebile. Ora la dirigenza avrà l’improbo compito di sceglierne il successore, con l’altissimo rischio di sbagliare in ogni caso: alla luce di quello che Dalmasson è riuscito a realizzare a Trieste, puntare sulla continuità potrebbe essere l’opzione più rassicurante.

Anche gli americani all’ultima recita

Myke Henry, top scorer con 22 punti

E’ la sera dei saluti, con ogni probabilità, anche per gran parte del pacchetto degli stranieri, di certo per tutti e tre gli americani, che nella serata finale rispolverano un po’ della voglia e della determinazione che avevano lasciato a Trieste in Gara 1 e Gara 2. Tutti e tre sono buoni giocatori, con caratteristiche diverse fra loro, dotati di buona tecnica ma troppo incostanti nel rendimento, affetti da lunghi periodi di abulia senza reazioni, salvo poi estrarre assi dalla manica inaspettati e divertenti per gli esteti della pallacanestro. Per assurdo, il più affidabile dei tre è anche il meno celebrato, quello da cui forse ci si aspettava meno, quel DeVonte Upson troppo filiforme per combattere sotto canestro con i pesi massimi che popolano il pitturato nel campionato italiano ma che, invece, spesso è riuscito da solo a sobbarcarsi la responsabilità di sopperire alla totale latitanza della più grande delusione dell’anno, quell’Ike Udanoh giunto a Trieste in estate come il crack del mercato triestino e migrato mestamente a Strasburgo dopo solo una manciata di partite. Forse troppo poco per pensare ad una sua riconferma, ma tutto sommato sarà quello che probabilmente lascerà il ricordo migliore.

Tornerà la tua gente a cantare?

E’ ancora presto per fare valutazioni, o meglio previsioni sul futuro della società e della squadra, specie in attesa di comunicazioni ufficiali, che peraltro non tarderanno molto ad arrivare. Questa è la serata degli applausi e dei saluti: godiamoci ancora per oggi le luci della ribalta, che si riaccenderanno sul parquet dell’Allianz Dome e su questi ragazzi in canottiera rossa solo fra cinque mesi. Si spera, per allora, davanti alla loro gente tornata a cantare.