Flop five
5. L’ultimo minuto del derby di ritorno ad Udine: vi sono racchiusi uno schema sull’ultima azione che avrebbe potuto essere decisiva a favore di Trieste, ma che Filloy, presumibilmente per cercare di servire Vildera, utilizza per scheggiare gli incisivi di due ingnari anziani coniugi di Mereto di Tomba seduti in terza fila. Ed inoltre, la rottura del menisco di Justin Reyes, punto di inizio e principale causa di uno dei peggiori periodi di down per la Pallacanestro Trieste negli ultimi dieci anni. A mitigare la delusione per la sconfitta ci penserà la società friulana, autrice di un capolavoro di autolesionismo mediatico, che mette in vendita la maglietta “con il leggendario schema che ha portato Clark a realizzare il canestro della vittoria nel derby contro Trieste”. A posteriori, una chicca imperdibile per i collezionisti di entrambe le sponde baskettare della regione.
4. I meno di 2000 spettatori di media che assistono (o meglio, i 4500 che non lo fanno, tra loro anche numerosi abbonati) alla sconfitta contro la Luiss Roma ed alle successive non certo memorabili sfide con Treviglio e Vigevano. Il Red Wall, fra febbraio e marzo, è un pallido e sbiadito ricordo, così come l’autoproclamato status di basket city. Il destino restituirà tutto con ampi interessi, ma in quelle meste ed umide serate di fine inverno anche i 1700 presenti si chiedevano affascinati quale fosse stata la forza invisibile che li avesse spinti ad alzarsi dal divano per autoinfliggersi spettacoli sportivi di un livello simil-UISP con l’aggiunta di un contorno ambientale davvero poco stimolante. Quei 1700, però, sono ora fra i pochissimi a potersi considerare a pieno diritto fra i “padroni” della promozione.
3. La lezione subita in casa per mano della Fortitudo a fine ottobre, alla prima vera difficoltà di livello superiore alla quale veniva messa di fronte la “squadra di Serie A che gioca in A2” che però doveva ancora dimostrare di essere tale. La prima rivale storica affrontata dopo la retrocessione, un palazzetto gremito ma poco disposto a sopportare e perdonare, la frustrazione che arrivava da lontano, i dubbi sollevati dalle prime uscite stagionali, vittoriose ma poco convincenti, si traducono in una dimostrazione di impotenza totale sul campo, messa a nudo in modo impietoso dal cinismo della squadra felsinea guidata da Attilio Caja. Il ventello sulle spalle con il quale Trieste esce dal campo a testa china sotto una sonora pioggia di fischi (per evitare di citare episodi isolati di “dissenso” che meriterebbero una categoria a parte) costituisce il primo scossone, la prima iniezione di pessimismo, il primo episodio di esplicito dissenso che mette al centro il GM e, soprattutto, il coach. I primi mesi dell’anno nuovo porteranno dubbi e delusioni ancora più profondi, ma quel 65-84 è la prima avvisaglia del fatto che il percorso verso la gloria, ammesso che fosse ancora realizzabile, sarebbe senza dubbio stato caratterizzato da travaglio e sofferenza.
2. La sconfitta di Latina. La squadra, nella versione messa in campo durante la prima metà della fase ad orologio, sembra allo sbando, non mostra gli sperati progressi tecnici che dovrebbero portarla al top poco più di un mese dopo, ma soprattutto sembra sfiduciata, impaurita, persino demotivata. La debacle patita a Cisterna di Latina, sul campo dell’ultima in classifica, e di gran lunga la peggiore squadra dell’intera A2, getta l’intero ambiente nel pessimismo e nella rassegnazione più profondi. E’ senza dubbio il punto più basso, a livello sportivo, toccato dalla squadra da agosto in poi. Come se non bastasse, a peggiorare la già pesante situazione ci si mette anche un improvvido ricorso avanzato da un dirigente della Pallacanestro Trieste finalizzato, ad onor del vero, solo ad evidenziare le carenze strutturali della nuova arena laziale, ma agli occhi di tutti sembra una scorciatoia per sovvertire il sacrosanto quanto amaro risultato del campo.
1. La contestazione di inizio marzo durante la partita contro Treviglio, totalmente indipendente dall’andamento del match (peraltro vittorioso), preordinata ed ampiamente annunciata dopo i rovesci contro Roma e Latina, verbalmente violenta nei toni, nella tempistica, nei contenuti. L’entrata in palazzetto della curva solo alla fine del primo quarto, i cori di dileggio e fintamente ironici, ma soprattutto le esplicite offese personali hanno l’effetto di aprire una frattura che sembra un canyon fra squadra e pubblico (frattura mai del tutto rimarginata, nemmeno dopo il trionfo), ed anche quello, inedito, di generare una sorta di contestazione della contestazione, con parte degli spettatori a dissentire apertamente e sonoramente da metodi e contenuti usati dai tifosi più accesi. Al grido di “Ho visto lei che fischia lui, che fischia lei che fischia me” la fan base triestina si fraziona in una miriade di fazioni rivali iperverbose, che intasano i social di spazzatura -corredata anche da post intrisi di body shaming di livello demenziale- di cui si sarebbe potuto facilmente e felicemente fare a meno.
Top five
5. L’inaugurazione del playground di Valmaura il 19 aprile. La squadra è presente al completo, la domenica prima era arrivata la sconfitta casalinga contro l’Urania Milano, dopo due giorni era in programma la trasferta a Rieti che avrebbe potuto blindare il quinto posto o aprire le porte a qualunque scenario ben peggiore. Mike Arcieri indica quel giorno come il vero turning point della stagione, il giorno in cui tutto è cambiato, dando l’avvio alla rivincita più inaspettata, esaltante ed incredibile della storia della Pallacanestro Trieste. Cosa sia successo quella settimana all’interno dello spogliatoio biancorosso rimarrà la leggenda meglio custodita della stagione.
4. Il rientro di Justin Reyes il 30 marzo contro Vigevano, due mesi e mezzo dopo l’infortunio al ginocchio costato 7 sconfitte in 10 partite, contestazioni e sfiducia dell’ambiente, oltre ad una posizione in classifica non consona alle ambizioni. Quel giorno il tassello più importante torna a posto, così come torna coraggio e convinzione nei compagni (Ferrero in quella partita realizza 23 punti…). Il percorso di recupero fisico, a fine marzo, deve ancora completarsi, ma il ritorno in campo di Reyes si dimostrerà l’innesco ed il combustibile del pirotecnico finale di stagione biancorosso.
3. Gara 2 di finale a Desio. Trieste ha già vinto la prima partita in trasferta, concedendo il bis si assicurerebbe due match point in casa. La partita è tesa ed equilibrata, a meno di un minuto dalla fine Trieste è avanti di quattro con la palla in mano, ma è ancora lontanissima dal potersi considerare al sicuro. Justin Reyes, con 32 punti sul tabellino personale, è l’onnipotente protagonista della partita, il go-to man designato anche per l’azione che potrebbe decidere l’intera stagione. Il partoricano palleggia all’altezza della lunetta, tutto il mondo si aspetta il suo uno contro uno, compresa l’intera difesa canturina che collassa su di lui. Ma lui, invece, intuisce la presenza di Francesco Candussi totalmente libero nell’angolo sinistro oltre l’arco dei tre punti (o meglio, è perfettamente a conoscenza della posizione del compagno in quel momento), gli piazza l’assist più inaspettato. Candussi riceve il pallone e, senza pensarci, scaglia la bomba della vittoria. +7, game set and match. E’ l’azione simbolo della versione vincente da playoffs della Pallacanestro Trieste: imprevedibilità, altruismo, gioco di squadra, fiducia in sé stessi e nei propri compagni, coraggio, attributi, responsabilità distribuite. Reyes quel pallone, ad ottobre, non lo avrebbe mai e poi mai passato…
2. La poker face di Michael Arcieri e di Jamion Christian dopo la sconfitta, con annessa -ed ormai consueta- pioggia di fischi al termine dell’inopinata quanto meritata sconfitta casalinga contro la Luiss Roma, arrivata dopo essere stati in vantaggio anche di 20 punti nel secondo tempo. Dinanzi all’incalzare sempre più spazientito dei giornalisti presenti in sala stampa, il mantra è sempre quello, ripetuto all’inverosimile: “Dobbiamo lavorare per migliorare. Abbiamo sbagliato l’esecuzione, non la costruzione del gioco. Abbiamo programmato la stagione per arrivare al completo, sani, al massimo della forma e con la quadratura tecnica ad inizio di maggio, per gara 1 dei playoff, fino ad allora proseguiremo il nostro processo di crescita. Amiamo i nostri giocatori e l’impegno che ci mettono in ogni allenamento”. Seee…. dateci Repesa… vogliamo Ramondino, se non interveniamo sul mercato non serve nemmeno partecipare ai playoff. E’ il 10 febbraio, un tempo decisamente ben poco sospetto….
1. I 17 secondi finali del derby casalingo contro Udine. La sfida infinita contro gli storici rivali friulani, che torna dopo cinque anni, è forse uno dei pochissimi eventi, se non l’unico, in grado di indorare la pillola amara costituita dalla retrocessione. La partita del 5 novembre al Palatrieste, però, fa di tutto per ricordare a tutti cosa significa aver abbandonato la Serie A per giocare in una lega di un livello tecnico e fisico di tre categorie inferiore: errori ed orrori tecnici, palle gettate in tribuna, air ball, mani addosso, difese esasperate ed assenza pressoché totale di spettacolo. Si arriva all’ultima azione sul 54 pari, Trieste comincia l’azione da sotto il suo canestro, a portare la palla oltre metà campo ed iniziare lo schema finale è Eli Brooks. Solo che non c’è alcuno schema finale: Brooks palleggia, sfrutta un paio di blocchi, ma non può penetrare né trovare linee pulite di passaggio. Ad un secondo dalla sirena interrompe la sua solitaria scorribanda e si alza da posizione frontale con la mano di un difensore in faccia, del resto non può fare altro per non finire la partita palleggiando. La parabola è alta, la direzione sembra azzeccata, ma il tiro è decisamente troppo lungo. Il pallone impatta violentemente, e senza pre dichiarazione, sul tabellone proprio mentre il contorno rosso che decreta la fine del tempo a disposizione si illumina. E, dopo aver sbattuto sul cristallo, si accomoda dolcemente in fondo alla retina. Oddio, dolcemente solo per i tifosi triestini, che possono liberare tutta la loro beffarda gioia mentre l’ex capitano di Michigan University viene sommerso dai compagni. A memoria, ed escludendo naturalmente le partite di finale contro Cantù, è l’unico episodio in grado di suscitare entusiasmo convinto durante l’intera stagione, una tripla de tabela non dichiarata da manuale.
Menzioni speciali che meriterebbero il n.1: le 6 vittorie consecutive in trasferta nei playoff, ed in particolare Gara 1 a Forlì e Gara 2 a Desio. Il cappello da cowboy con cui Giovanni Vildera ha chiuso l’ultima partita: il most improved player probabilmente dell’intera A2. Il manipolo di tifosi della Curva Nord presenti a Trapani, 3400 km di trasferta dopo 7 sconfitte consecutive fuori casa (fra cui Cividale e Latina). I canestri negli ultimi minuti a Forlì, Desio e Trieste in finale di un Ariel Filloy letteralmente in grado di tirare fuori il meglio quando la pressione ed il peso della responsabilità paralizzerebbero chiunque altro. Gara 4 di finale di Michele Ruzzier, che un posto nel preolimpico azzurro se lo sarebbe anche meritato.
Ma il top dei numeri 1 è di gran lunga la conquista del diritto di poter richiudere per sempre tali ricordi in un cassetto. Ricordi non sempre piacevoli, al netto dell’esito finale, con qualche punta di esaltazione ma appartenenti comunque ad una stagione da archiviare in fretta come l’incidente di percorso che in effetti è stata.