(Photo courtesy sito LBA)
TRIESTE 85 VERONA 77 (24-12, 41-24, 57-55)
PALLACANESTRO TRIESTE: Ruzzier 10 (5/8, 0/3), Bartley 13 (2/10, 1/2), Deangeli (0/1, 0/1), Lever 12 (4/4, 1/1), Terry 15 (6/6). Bossi 16 (4/5 da 3), Campogrande 15 (0/2, 4/7), Stumbris 2 (1/1), Vildera, Spencer 2 (0/1). Ne: Rolli. All. Legovich.
TEZENIS VERONA: Cappelletti 18 (4/5, 2/3), Anderson 11 (1/5, 3/10), Davis 21 (3/8, 4/6), SImon 9 (4/9, 0/2), Langevine 2 (1/4). Casarin 3 (0/2), Bortolani (0/1 da 3), Sanders 1 (0/1 da 3), Pini 2 (1/2), Johnson 10 (4/7, 0/1) Ne: Udom, Rosselli. All. Ramagli.
ARBITRI: Lanzarini, Attard, Bettini.
NOTE: T.l. Tri 19/28, Ver 14/20, Rimb: Tri 36 (Terry 11), Ver 34 (Johnson 7), Ass: Tri 16 (Ruzzier 7), Ver 12 (Cappelletti 5). Fallo tecnico Cappelletti (26’20”, 39-48). Spettatori 6027.
Missione mezza compiuta. Trieste è ancora viva e vegeta e risolve se non altro metà del problema spedendo in A2 Verona al termine di una partita drammatica, giocata davanti ad una polveriera pronta ad esplodere ad ogni canestro biancorosso o ad accompagnare letteralmente i propri giocatori a soffocare ogni azione offensiva gialloblu. Stavolta, al di là delle soluzioni tecniche, Trieste è più brava soprattutto sotto l’aspetto emotivo, gestisce benissimo l’ansia, monetizza l’energia che scende dagli spalti e, soprattutto, non si abbandona allo scoramento nel momento di massima difficoltà, dopo che, coronando una incredibile rimonta partita dal -20, Verona si gioca il tutto per tutto ed impatta sul 60 pari con l’appoggio da sotto di Davis quando mancano 8 minuti alla fine. In altre occasioni, ed in situazioni diverse, la squadra si sarebbe letteralmente sciolta, arrendendosi all’ineluttabile conquista dell’inerzia della partita da parte degli avversari, come successo ad esempio a Sassari e Pesaro. Invece, proprio nella partita più importante, con la paura ad attanagliare gambe e braccia, i ragazzi di Legovich reagiscono in modo veemente, subiscono ancora qualcosa di troppo in difesa più per la forza della disperazione con la quale Verona si rifiuta di arrendersi che per errori propri, ma trovano due protagonisti assoluti, inaspettati quanto letali: Luca Campogrande e Stefano Bossi si spartiscono lo scettro di MVP, il primo sbloccandosi in attacco in quella che è la specialità della casa ma soprattutto mettendo in scena una prestazione difensiva mostruosa, fatta di accanimento agonistico, voglia, motivazione, intensità tali da annullare totalmente la temuta produzione offensiva di Anderson. Il secondo con una serie leggendaria da tre nel momento di massima difficoltà (“Daniele Cavaliero mi ha detto che tutto sommato stiamo giocando a basket…. siamo qui per divertirci”), con due bombe nell’ultimo quarto di una ignoranza cestistica -e dall’importanza- indescrivibile.
La cronaca della partita va nettamente scissa fra primo e secondo tempo. Nella prima metà Trieste difende in modo feroce sui pericolosi piccoli avversari bloccandone letteralmente la produzione offensiva, facendo invece fruttare la propria evidente superiorità sotto canestro. Il vantaggio si dilata progressivamente, fino a raggiungere i venti punti rasserenando e trascinando gli oltre 6000 dell’Allianz Dome. Il secondo quarto si chiude sul +17 con un mini recupero gialloblu nel finale, ma l’inerzia e lo stato di confusione in cui sembra versare la squadra di Ramagli non lasciano presagire nulla di ciò che avverrà nella terza frazione: Trieste entra contratta e farraginosa in attacco, Verona trova coraggio con un 7-0 iniziale e mette in atto il massimo sforzo, che ha il duplice effetto di demolire le sicurezze biancorosse ricucendo completamente il gap con quarto da 32 punti, ma anche di far vertiginosamente precipitare le energie (e dunque la lucidità) in vista dei minuti finali. Ed infatti, la precisione nei momenti decisivi torna a scendere, l’intensità difensiva ad abbassare la guardia quel tanto che basta a Campogrande, Bartley e Bossi a colpire in modo devastante e definitivo.
Se in partite come queste a fare normalmente la differenza è l’intangible, quello che gli americani individuano al di fuori dei numeri e delle statistiche desumibili dai tabellini per spiegare un risultato, stasera una rapida scorsa allo score può invece aiutare a spiegare in che modo Trieste sia riuscita a domare l’impegno più difficile degli ultimi cinque anni: 6 uomini in doppia cifra, solo due oltre i 30 minuti di impiego (Bartley 33 e Terry 31). 53% di triple segnate sulle 19 tentate, 54% complessivo al tiro. 36 rimbalzi conquistati contro 34 e -soprattutto- solo 8 palle perse. Unica nota stonata la percentuale ai tiri liberi abbondantemente sotto il 70% che sarebbe potuta costare cara. La parte intangibile, invece, va letta nella millimetrica redistribuzione delle responsabilità, soluzione indispensabile quando il tuo playmaker straniero titolare è definitivamente fuori dai giochi ed il tuo terminale offensivo principale è anche l’unico credibile e dunque si attira sistematicamente le attenzioni particolari di ogni difesa in ogni singola partita. E così Legovich può permettersi di ruotare quattro lunghi in tutte le combinazioni immaginabili, usufruendo in particolare del momento di grazia tecnico, mentale e fisico di un Lever arma totale e dell’esuberanza fisica, non arginabile da umani normali, di un Emanuel Terry che quando è lasciato libero di giocare nel suo ruolo preferito si dimostra lungo di livello superiore. Quando loro rifiatano c’è comunque Spencer a cancellare la vallata ai velleitari attacchi al ferro solitari dei piccoli veronesi ed un Vildera che quando si tratta di fare a sportellate non si tira di certo fuori dalla pugna. E, soprattutto, tira fuori dal cilindro due conigli inattesi quanto esiziali, un Luca Campogrande che, analogamente a quanto successo nella passata stagione finisce in prepotente crescendo di rendimento ed uno Stefano Bossi che, dopo decenni nei quali (per scelta) nessun giocatore viene incitato individualmente, riesce nell’impresa di far scandire dalla curva il proprio nome: una prestazione come la sua è una sintesi di coraggio, attributi, orgoglio e qualità. La sua capacità di scaldarsi immediatamente quando viene chiamato ad alzarsi dalla panca a partita in corso per far rifiatare Michele Ruzzier (al quale peraltro gioca anche affiancato in un ruolo di “2” nel quale deve reinventarsi) lo rende il vero “microonde” a disposizione del coach. E poi, è un raro caso di profeta in patria, esattamente come il compagno di reparto vera anima e leader nemmeno tanto occulto di un gruppo che conduce come un vero maestro d’orchestra gestendo tempi e ritmi, ed accendendo i lunghi nei giochi a due. Un mix che si sintetizza in una squadra che può disporre solo di tre americani ed un lettone esordiente in A a trent’anni arrivato da due settimane, ma che è capace di mascherare con l’energia e la voglia di vincere l’evidente brevità delle rotazioni anche contro squadre che, come Verona, sono passate in corsa al 6+6, ed oltretutto con una goffa pretattica annunciano fuori servizio un loro importante giocatore straniero (Xavier Johnson) salvo poi schierarlo regolarmente fra i 12. Certo, quello triestino è un maquillage che non può reggere a lungo (e non lo ha di certo fatto nelle ultime settimane), e bisogna verificare se è in grado di farlo lontano dal frastuono di casa, ma ormai l’epilogo è vicino e lo sforzo mentale deve essere tutto concentrato su un’unica partita, l’ultimo ostacolo prima dell’atteso sospiro di sollievo: la trasferta sull’infernale (per Trieste) campo di Brindisi. C’è da sperare che l’onda lunga della vittoria su Verona, la motivazione, il morale ed il sostegno della città possano far durare il boost ancora per sei giorni, anche perché se una metà della missione è compiuta, l’altra metà è tutta da realizzare: l’inopinata sconfitta della Virtus in casa di Treviso e la netta vittoria di Varese su Scafati, che pongono definitivamente in salvo la squadra della Marca e quella lombarda riducendo a quattro le candidate a raggiungere Verona in A2, tengono ancora in ambasce il club triestino, che potrà essere certo di salvarsi senza dipendere da altri risultati esclusivamente vincendo in Puglia. In caso contrario, fra le 13 combinazioni di risultati, arrivi da soli, a quattro, tre o due squadre, Trieste sarebbe retrocessa solo in un caso, e cioè un arrivo a pari punti con la sola Reggio Emilia. Insomma, altri 40 minuti thrilling che terranno i tifosi triestini incollati a computer, smart TV e radio. Il presidente De Meo, in un italiano perfetto che non presta il fianco a fraintendimenti, rassicura sulla permanenza di CSG (magari con la rimodulazione del programma di crescita) in qualunque caso, ma al momento l’unica opzione percorribile, in quanto ancora perfettamente raggiungibile, è la permanenza in Serie A.
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