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Si separano le strade di Eugenio Dalmasson e della Pallacanestro Trieste

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Come ampiamente anticipato, la Pallacanestro Trieste annuncia oggi di aver esercitato la clausola di uscita dal contratto “1+1” che la legava al suo storico coach mestrino. Si chiude così un’epoca sulla panchina biancorossa, un decennio abbondante costellato di trionfi, promozioni, sconfitte, tensioni, gioie e centinaia di pagine scritte a proposito della famosa “filosofia dalmassoniana”. Un periodo, ed un uomo, che resterà scolpito per sempre nella memoria di chi è vicino alle vicende della compagine del basket triestino.

Queste le parole del Presidente Mario Ghiacci:

Non è mai facile prendere queste decisioni e tantomeno lo è oggi per noi che tanto abbiamo condiviso con Eugenio Dalmasson, ma siamo gente di sport e sappiamo che i cicli arrivano a una fine, e il nostro compito di dirigenti comprende la necessità di capire quando un ambiente ha bisogno di un ricambio alla guida. Oggi prendiamo una decisione che va letta nel pieno rispetto e la stima professionale nei confronti di Eugenio, per quanto ha fatto per questa squadra e per tutta la Pallacanestro Trieste. Sarebbe riduttivo augurargli buona fortuna per il suo futuro professionale: quello che auguro a qualsiasi società che lo ingaggerà è di ottenere da lui il rapporto che qui ha saputo instaurare in una dimensione sportiva ed educativa. Termina dopo una stagione importante il più lungo rapporto di una squadra della Serie A italiana con il suo allenatore. I rapporti di lunga durata hanno sempre il compito di mostrare la consistenza e la serietà dei soggetti che li mettono in atto. Un nuovo ciclo ora è pronto a iniziare: nelle prossime settimane condivideremo i nostri obiettivi e le persone che sceglieremo per raggiungerli. Guardiamo avanti con “agguerrita fiducia”, pronti ad affrontare il mercato e la nuova stagione, contando in particolare sul fatto che il programma vaccinale sta dando i suoi frutti, il contesto sta mutando in positivo e i palazzetti iniziano pian piano a riaprire

La svolta

I rapporti del coach con la società, non è un segreto, non erano più improntati all’idillio già da mesi. Curiosamente, le due partite che costituiscono l’ago della bilancia nella decisione presa dal club coincidono con due pesanti sconfitte sul campo di Trento: nel dicembre 2019, al termine della peggior debacle dal ritorno in serie A, Dalmasson fu già ad un passo dall’esonero con Jasmin Repesa pronto a firmare il subentro, poi rientrato al termine di una riunione chiarificatrice e programmatica con la dirigenza. Nuovamente, in questa stagione la prestazione assurda della squadra sul campo della Dolomiti Energia, fu forse il momento preciso in cui Mario Ghiacci ed i suoi collaboratori presero la decisione che oggi si concretizza.

Parlare delle motivazioni e delle tappe che hanno portato al divorzio, però, in questo momento non ha particolare significato. Oggi va celebrato l’uomo, il coach più longevo su una panchina professionistica italiana, l’allenatore che più di ogni altro ha vissuto a Trieste un’era che ha riportato il club giuliano dall’anonimato delle palestre di Serie B, attraverso la promozione del 2012 ed alcune stagioni nelle quali è riuscito a fare le nozze con i fichi secchi e stranieri alquanto improbabili in cui la squadra ha concretamente rischiato di sparire nuovamente dalla geografia della pallacanestro nazionale, ed altre in cui ha saputo sfruttare il fugace quanto effimero benessere portato dalle finanze di Alma, a tornare a recitare stabilmente il ruolo da protagonista rispettato e credibile che le compete per storia, seguito di pubblico e livello dell’impianto.

Le tappe di un decennio in panchina

Un coach mai banale, con un modo di intendere la pallacanestro particolare e piuttosto “divisivo”, che ha talvolta portato il club a delle scelte di mercato curiose ma molto spesso vincenti. Il rarissimo (assente per stagioni intere) ricorso alla zona, la rinuncia sistematica a centri di ruolo, la scelta di rifugiarsi principalmente nel tiro da tre come arma tattica. Sono solo alcuni degli argomenti che hanno tenuto banco su giornali e social per più di due lustri. Ma a parlare per lui, a prescindere dalle scelte tecniche, sono i risultati: solo nelle ultime 5 stagioni “intere” disputate sotto la sua guida, la Pallacanestro Trieste ha raggiunto una finale playoff in A2, la conquista della Supercoppa Italiana, una promozione in Serie A, due settimi posti in stagione regolare nella massima serie e la qualificazione alle final eight di Coppa Italia.

E poi, innumerevoli pietre miliari che rimarranno scolpite nella memoria di tutti, dalla vittoria salvezza su Forlì con un indemoniato Michele Ruzzier nel 2014, alla vittoria su Brescia ai playoff con la tripla vincente di Stefano Tonut nel 2015, dall’incredibile serie contro la Fortitudo nel 2017 alla fenomenale cavalcata contro Casale l’anno successivo, dalla vittoria contro Cremona pochi giorni dopo l’arresto del presidente nel 2019 al buzzer beater di Fernandez contro Sassari che avrebbe potuto segnare la svolta verso la salvezza la scorsa stagione. Dalla vittoria a Casalecchio contro la Fortitudo alla spettacolare vittoria sull’Olimpia al Forum quest’anno. Potremmo aggiungere infinite perle alla collana, ognuno a Trieste ne avrà di certo delle sue: ciò che è palese, comunque, è che il coach non ha lasciato mai nessuno indifferente. Schiere di estimatori quasi talebani, plotoni di ipercritici da tastiera pronti a fucilarlo per non aver chiamato time out od essersi dimenticato questo o quel giocatore in panchina. Stimato dai colleghi, scelto da Tanjevic alla guida della Nazionale U20, votato miglior allenatore al Premio Reverberi 2020. Ma, anche, protagonista di un rapporto con la stampa spesso scostante ed improntato alla “tregua armata”, molto parco nelle esternazioni, ma talvolta tagliente e sanguinosamente realista. Adorato senza riserve dai suoi giocatori simbolo, poco compreso specie dalla quota straniera, ed in particolare americana, delle sue formazioni. Capace di delegare responsabilità, e dunque di far crescere, collaboratori come Matteo Praticò e Marco Legovich, ma spesso poco propenso a slanci emotivi verso giocatori particolarmente capricciosi.

Eugenio Dalmasson entra a pieno diritto nella storia del club giuliano, al pari di mostri sacri come Dado Lombardi, Bogdan Tanjevic o Cesare Pancotto: se anche a Trieste ci fosse la tradizione radicata in un’altra Allianz Arena, quella della Juventus, una stella con il suo nome sarebbe di diritto installata a Palazzo.

Il futuro

Si apre, ora, una lotta per la successione che pare già scritta in partenza: a sostituire il coach su una panchina dalla quale avrà l’ingrato compito di cancellarne il DNA sarà con ogni probabilità Franco Ciani, suo assistente nell’ultima stagione e suo collaboratore in più occasioni in passato. Attenzione, però, a parlare di scelta improntata alla continuità: Ciani concepisce la pallacanestro in un modo decisamente diverso da ED, e dunque si preannuncia un vento di novità sui 28 metri del parquet di Via Flavia.

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