Che nella città delle opere incompiute sia miseramente naufragato il faraonico progetto di sostituire la discarica ponzianina del Ferrini con un avveniristico villaggio olimpico, non sorprende certo nessuno. L’utopico sogno del presidente Biasin, nostalgicamente affezionato ad una Trieste idealizzata ma lontanissima nel tempo e nello spazio dalla terra delle sue origini, era evidentemente distorto dalla realtà anglosassone, moderna e deburocratizzata nella quale era riuscito a costruire la sua fortuna. La sua assoluta buona fede assolve la memoria del compianto presidente australiano, un “giuliano nel mondo” il cui attaccamento alla città si è prevedibilmente dissolto come neve al sole una volta che tale memoria è passata nelle pragmatiche mani dei suoi eredi. Pragmatiche tanto quanto quelle della nuova proprietà dell’Unione, che legittimamente si è defilata da un suicidio economico che non avrebbe avuto alcun ritorno a livello imprenditoriale.
Il compito di coniugare il sogno, lodevole ed indispensabile, di dotare la Triestina (la Triestina, non il tessuto sociale e sportivo triestino) di un complesso green, esclusivo e moderno con una realtà fatta di lungaggini autorizzative, pastoie finanziarie, indecisioni politiche e piccoli interessi personali, sarebbe piuttosto stato compito di chi nella suddetta realtà vive e ci lavora. La passata compagine societaria, certo. Ma anche e soprattutto l’attore pubblico, che anziché assecondare, facendosene socio, un progetto da 12 milioni totalmente fuori scala anche per le modeste esigenze dello stesso club rossoalabardato, avrebbe potuto puntare, anche in in autonomia, alla semplice riqualificazione sostenibile degli attuali spazi ricostruendo ed efficentando gli spogliatoi e ripristinando il fondo da gioco, magari coinvolgendo nei programmi e nel successivo utilizzo anche chi in quegli spazi è nato e cresciuto, senza per forza dover sottostare a copiosi investimenti privati. Indipendentemente dall’imprevedibile e tragica fine di Mario Biasin, il ridimensionamento di un progetto fatto di campi di ultima generazione, spogliatoi sostenibili, palazzine di uffici, alberghi, ristoranti e foresterie, parafarmacie, centro medico ed ambulatori fisioterapici, avrebbe permesso di restituire alla città in tempi sensibilmente più brevi un impianto sportivo strategico e funzionale nel cuore di un rione popoloso, divenuto in pochi anni un vergognoso monumento all’incuria ed al disinteresse. Con buona pace del Sior Intento.