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Mala tempora currunt (sed peiora parantur)

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BENACQUISTA ASSICURAZIONI LATINA – PALLACANESTRO TRIESTE 70-67

Benacquista Assicurazioni Latina: Mayfield 20, Amo, Parrillo 6, Romeo 14, Zangheri 5, Miladenov ne, Rapetti ne, Viglianisi 2, Moretti 4, Alipiev 19, Borra. Allenatore: G. Sacco. Assistenti: V. Cavazzana, F. Tricarico.

Pallacanestro Trieste:Obljubech ne, Bossi, Filloy 11, Rolli ne, Deangeli 11, Ruzzier 8, Candussi 8, Vildera 16, Ferrero 3, Brooks 10. Allenatore: J. Christian. Assistenti: M. Carretto, F. Nanni, N. Schlitzer.

Parziali: 14-18 / 19-16 / 19-17 / 18-16

Progressivi: 14-18 / 33-34 / 52-51 / 70-67

Trieste, nel suo disgraziato percorso stagionale, riesce anche nella non indifferente impresa di concedere alla derelitta ultima in classifica della A2 la sua prima vittoria casalinga, la quinta in 22 partite dall’ottobre scorso. Ci riesce facendo oltretutto in modo che Latina -nella sua infinita modestia- si meriti pienamente i due punti per atteggiamento, intensità e scelte vincenti nei momenti più importanti della gara, mancando clamorosamente, dal canto suo, in ognuno di questi aspetti.

Stavolta non sono le statistiche, peraltro impietose, a spiegare una debacle totale. E’ qualcosa di più profondo, radicato ed ormai incontrovertibile nonostante i proclami di club e coach sulla volontà di crescere tecnicamente e fisicamente in vista dei playoff, unico appuntamento che conti veramente in stagione. Incontrovertibile perchè il trend espresso dalla squadra, al netto della scossa data da mezza partita contro Agrigento, va esattamente nella direzione opposta. Incontrovertibile perchè camminare svogliatamente nel semideserto impianto di Cisterna a Velletri, così come avverrà in ognuno dei ben più ostili parquet nella post season (ammesso che ci si arrivi veramente), non potrà che trasformarsi in una deposizione anticipata delle armi a marzo. Incontrovertibile perchè, senza nuovi innesti che tardano ad arrivare e con la perdurante assenza di Reyes e Campogrande, la squadra appare sempre più in riserva di energie mentali e fisiche, e mostra la corda anche davanti a formazioni che presentano due terminali appena credibili in attacco (Mayfield e Alipiev) con sei mestieranti che farebbero fatica nella categoria inferiore ed un singolo lungo che dal punto di vista tecnico dovrebbe essere privato della licenza da giocatore professionista. Ma che, come successo con Roma in casa ma anche con Rimini e Cividale, mostrano un mordente, una intensità, una motivazione ed una voglia capaci di travolgere la svogliata sufficienza con la quale i quintetti di Christian si limitano a mitragliare a caso da tre ogni volta che la frustrazione si impadronisce del loro cervello. Ormai abbiamo imparato a riconoscere il tipo di filosofia cestistica di Christian, che non è certo quella di limitarsi al run and gun (specialità nella quale bisognerebbe perlomeno correre, oltre che mandare a bersaglio almeno più di un tiro su cinque): contro i laziali chiunque avrebbe compreso che la mossa vincente sarebbe stata quella di sfruttare la superiorità tattica sotto canestro sfruttando i due lunghi contro i quali l’esperto Giancarlo Sacco avrebbe potuto opporre forse qualche sacco di sabbia. E per qualche minuto Trieste anche lo fa, specie con un indomito Vildera, producendo discreto fatturato. Il problema vero è che quando gli avversari triplicano le forze in difesa e gettano il cuore oltre l’ostacolo in attacco, dove osano soluzioni che si provano solo quando gli avversari te lo permettono, i biancorossi non sono mai in grado di cambiare marcia, continuano impassibili con il loro compassato ritmo, vengono sistematicamente battuti nell’uno contro uno e ricadono inesorabilmente nella atavica trappola del disastro da oltre l’arco innescando un circolo vizioso che impedisce di avere continuità in attacco e credibilità in difesa. Oltretutto, da un paio di mesi è decaduta totalmente anche la caratteristica più invidiata -forse l’unica- di questa squadra, la possibilità di ruotare dieci uomini in modo che i più esperti ed affidabili arrivino freschi e lucidi nei finali più equilibrati e difficili: le rotazioni risicate per sfortuna ma anche per scelta, oltre che per necessità alla luce del rendimento di almeno due, se non tre, giocatori che si stanno esprimendo ben al di sotto delle attese, restituiscono Ruzzier, Filloy e Brooks sfiancati e poco lucidi nelle ultime battute, e tutti e tre finiscono inesorabilmente per sbagliare ogni singola scelta effettuata. A Latina Brooks fallisce miseramente ogni singola iniziativa presa negli ultimi tre minuti, Filloy riprende a litigare con ferro e linee laterali, Ruzzier smette di intendersi con i lunghi. Per contro, all’uscita dal time out più importante con il punteggio ancora in parità grazie alla magnanima riluttanza di Latina di chiudere anzitempo una partita che avrebbe potuto uccidere più volte, viene concesso all’unico giocatore avversario in grado di prendersi il tiro vincente di ricevere il prevedibile passaggio in uscita dai blocchi arrivando un secondo dopo il tiro a tentare di contrastarne la conclusione: certo, un time out speso malissimo dal coach triestino, ma la complice indolenza difensiva dei giocatori nell’azione decisiva non può essere esente da responsabilità. Da censurare, infine (ma purtroppo non è una novità) le scelte fatte nelle due ulteriori occasioni sprecate nel finale per arrivare almeno all’overtime, per non parlare del quintetto di esterni delittuosamente schierato a lungo nel secondo quarto ad appendersi sui gomiti di Borra nell’unico momento di evidente superiorità triestina. E’ palese, dunque, che le percentuali al tiro siano solo la conseguenza di una catena di errori di costruzione, difetti, cattiva conduzione, pessima esecuzione ed assenza quasi totale di gioco oltre che di un’anima che questa squadra non è nemmeno più in grado di mascherare vincendo sul campo di Cenerentola.

La domanda vera è: perché? Perchè la squadra non riesce mai ad innalzare l’intensità del proprio sforzo? Perchè ne subisce sempre quello delle avversarie senza apparente reazione? E’ esclusivamente un fatto tecnico, ad esempio di scarsa o assente preparazione delle partite? E’ un fatto fisico, con giocatori spesso oltre i trent’anni, con poco allenamento quotidiano e preparazione fisica nelle gambe programmata male finiscono le partite camminando? E’ mancanza di comunicazione, o peggio incomprensione, fra il volere del coach e l’esecuzione della squadra? E’ inadeguatezza al tipo di campionato di una conduzione tecnica che, adesso si può dire, avrebbe avuto bisogno di un paio di stagioni per completare il processo di comprensione del pianeta alieno nel quale è stata catapultata? E’ più probabilmente un mix variabile di tutto questo, ed è anche il motivo che dovrebbe far considerare ancora più urgente -se non indispensabile- un intervento pesante sul mercato, in grado di rimettere la stagione su binari almeno di decenza e che avrebbero anche il non indifferente vantaggio di anticipare i tempi di costruzione dell’ossatura della squadra prossima ventura. Sempre che vi sia l’intenzione di considerare un futuro vincente per un progetto che sta miseramente fallendo domenica dopo domenica.

Intanto, in classifica non cambia sostanzialmente nulla, tranne il fatto che, a sei giornate dalla fine ed un calendario che alla luce degli sconcertanti ultimi due mesi biancorossi pare l’Everest da scalare scalzi, il quarto ed il terzo posto siano di fatto divenuti definitivamente irraggiungibili. Domenica prossima arriva in via Flavia l’altra grande delusione stagionale, quella Treviglio oggi capace di perdere in casa con Chiusi: lo spettacolo non si prospetta fra i più esaltanti, e la sacrosanta shitstorm scatenatosi sulla squadra biancorossa dopo la sconfitta a Latina non lascia presagire un contorno di pubblico fra i più memorabili. Poi arriverà, quantomai necessaria, la pausa per la Coppa Italia, che servirà se non altro a reintegrare nei ranghi l’insostituibile Justin Reyes.