PALLACANESTRO TRIESTE – VANOLI CREMONA: 73-57
Vanoli Cremona: Eboua 4, Booth 8, Jones 4, Davis 8, Conti 7, Zampini 3, Nikolic 3, Poser 2, Lacey 4, Owens 14, De Martin n.e., Ivanovskis n.e.
Allenatore: Demis Cavina. Assistenti: P. Brotto, C. Campigotto
Pallacanestro Trieste: Ross 4, Uthoff 9, Brown 10, Ruzzier 4, Brooks 12, Deangeli 2, Johnson 11, Reyes 5, Valentine 8, Bossi 2, Candussi 3, Campogrande 3.
Allenatore: J. Christian. Assistenti: F. Taccetti, F. Nanni, N. Schlitzer.
Parziali: 15-11 / 36-21 // 15-7 / 11-24
Progressivi: 15-11 / 21-10 // 15-7 / 49-72
Buona la prima per la Pallacanestro Trieste, che si impone di 16 punti nel vernissage della sua pre season nel clima equatoriale della palestra di Castelfranco Veneto contro la Vanoli Cremona. A dire la verità, il caldo umido che grava sul campo della cittadina veneta, gremito ai limiti della capienza da quasi 400 spettatori giunti quasi interamente da Trieste, sembra l’avversario più tosto per una squadra che, nonostante i pochissimi giorni di allenamento nelle gambe, mostra già un embrione di intesa in attacco, discreta intensità difensiva ed individualità in grado di toglierla dai guai nei momenti più difficili. Cremona, in effetti, appare decisamente più indietro in tutti questi particolari, ed oltretutto è dotata di un roster che non le permette rotazioni credibili nei quaranta minuti: oltre alla ben nota verve di Corey Davis (fischiatissimo dai tifosi triestini) ed alla esuberanza atletica di Tariq Owens (anche in combinazione con il suo playmaker) la squadra di coach Cavina al momento è un cantiere ben lungi dall’essere completato. Trevor Lacey -uno dei pochi stranieri dal curriculum e dalle potenzialità importanti- è lontanissimo da uno stato di forma accettabile, mentre gli italiani che durante i playoff affrontati da Trieste appena tre mesi fa fecero la voce grossa, Nikolic (da Cantù), Zampini (da Forlì) e Poser (da Torino), devono loro malgrado fare i conti con la fisicità e l’intensità atletica pazzesca che caratterizza la massima serie, apparendo spesso impacciati ed intimiditi.
E’ proprio l’aspetto fisico, ancor più di quello tecnico, che impressiona nel salto di categoria: pressione difensiva, verticalità, chilogrammi, velocità, naturalmente la nutrita presenza di stranieri, rendono ad occhio la distanza fra Serie A e A2 ben più ampia di una sola categoria. Sembra decisamente un altro sport. Trieste da questo punto di vista appare da subito ben assortita, con rotazioni lunghe ed equilibrate, abbondanza di giocatori in grado di ricoprire più ruoli che permettono a Jamion Christian di sperimentare numerosissime combinazioni, ed ormai abbiamo sufficiente esperienza per sapere che in questa fase di pre season il coach americano ricorra alle porte girevoli praticamente ad ogni fischio arbitrale un po’ per provare le sue idee sul campo, un po’ per preservare i giocatori da possibili infortuni. Al netto della forma fisica piuttosto approssimativa di alcuni, su tutti Colbey Ross (che sembra attualmente al 20% delle sue potenzialità) e Justin Reyes (che durante la permanenza estiva a Portorico deve aver fatto il pieno di specialità caraibiche ed ha qualche chilo da smaltire che comunque non offusca i soliti lampi di classe) la squadra sembra già in palla con una chimica che cresce azione dopo azione. In vista di una settimana, la prossima, che imporrà una improvvisa accelerata negli impegni agonistici con quattro partite in sette giorni contro squadre di pari categoria, Jamion Christian si può addirittura permettere di risparmiare i titolari affidando il quarto quarto interamente a giocatori italiani, con gli ultimi quattro minuti addirittura senza “cinque” ed il solo Brooks a battagliare sotto canestro e produrre in fase offensiva. Anche durante questi minuti finali la squadra tiene botta, naturalmente soffre in attacco ed in difesa nel pitturato contro un Owens a viaggiare costantemente incontrastato sopra il ferro ma trovando anche le bombe decisive con Candussi e Campogrande ed in contropiede con Deangeli e Bossi che le permettono, nonostante tutto, di imporsi di un punto anche nel secondo “set” dopo aver vinto di 15 il primo (per motivi imponderabili i due coach si erano accordati per resettare il punteggio al termine del primo tempo, giocando così due mini match da 20 minuti, ma tenendo comunque statistiche complessive).
Piace, in questa fase della pre season, constatare come i biancorossi stiano lavorando intensamente per affinare un sistema di gioco collettivo, che coinvolga tutti, ma sia anche dotata di giocatori in grado in ogni momento di inventare la giocata, uscire dalla prevedibilità degli schemi, improvvisare con lampi di classe e di tecnica che a queste latitudini ci eravamo disabituati da tempo ad ammirare. Da gente come Colbey Ross e Markell Brown ti puoi aspettare invenzioni offensive in ogni momento, con il secondo, però a dimostrare una inattesa predisposizione difensiva, sempre pronto, piegato sulle gambe, mani addosso all’avversario, posizionato nel modo giusto per catturare il rimbalzo con tempismo ed elevazione inconsueti per una guardia. Discorso a parte per Denzel Valentine, anche lui apparso un po’ a corto di fiato, ma sufficientemente presente da dimostrare che, quando sarà al top, potrà dare spettacolo: eccezionale nel ball handling, capace di portare palla così come di attendere lo scarico dei lunghi sul perimetro, sufficientemente istrione da risultare immediatamente simpatico ai tifosi per atteggiamento e spettacolarità. Piace, ma non sorprende nonostante le 36 primavere, rivedere Jeffrey Brooks nuovamente protagonista e già tirato a lucido dal punto di vista fisico, a lungo sul parquet, a fare da chioccia al quintetto all Italian nell’ultima fase del match, e mostrare un arsenale di conclusioni e piccole cattiverie figlie della sua infinita esperienza che per la squadra durante la stagione potrà rivelarsi un vero tesoro nascosto a cui ricorrere nei momenti più complicati. L’americano-italiano non si spaventa sotto canestro contro giocatori più alti e dinamici, palleggia e passa il pallone con sicurezza, può ricoprire (almeno) tre ruoli: se il fisico lo sorreggerà potrà rivelarsi un vero ed affidabile, quanto imprevedibile, go-to man.
Osservati speciali, come è ovvio che sia, i due giocatori di cui si sa meno: Jarrod Uthoff esibisce una tecnica nei movimenti di attacco palla in mano da manuale, è pronto a rimbalzo ed è dotato di una tecnica di tiro ineccepibile e velocissima, specie nel catch and shoot ma anche liberandosi dopo una finta. Ugualmente pericoloso nel pitturato e dal perimetro, potrà essere un vero rebus da sbrogliare per ogni squadra avversaria. Jayce Johnson, premiato alla fine come MVP della partita, appare invece molto più monodimensionale e con un arsenale offensivo decisamente limitato, ma tutto sommato a lui si chiedono poche cose fatte bene: gran rimbalzista (ma questo si sapeva già), viene cercato tantissimo spalle a canestro dai compagni, anche perchè grazie alla sua stazza è in grado di attrarre su di sè la difesa creando così infinite opportunità per andare a concludere in prima persona o cercando lo scarico sul perimetro o a favore di una guardia sul taglio. Sono tutti meccanismi da perfezionare e che a Castelfranco sono sembrati ancora ed in modo evidente in una fase embrionale, ma il big man californiano potrà diventare il vero ago della bilancia per questa squadra, anche perchè sia Uthoff che Candussi prediligono, potendo, la conclusione da lontano e dunque si trovano spesso lontanissimi dal ferro, lasciando al solo Johnson il ruolo di pivot vecchia maniera. Possibile “buco” nel roster? Non è affatto detto, dipenderà dalle situazioni di gioco e da come la squadra deciderà di affrontarle, ma è fin d’ora chiaro che il suo minutaggio medio non potrà essere inferiore ai 30 minuti, falli o malanni permettendo.
Da definire la distribuzione di responsabilità fra Michele Ruzzier e Colbey Ross, specie quando quest’ultimo, raggiunta una forma fisica accettabile, tornerà il cannibale che è sempre stato. Michele, al netto delle maggiori difficoltà nell’arrivare alla conclusione libero sia da fuori che attaccando il ferro rispetto alla passata stagione (che lui ha giocato totalmente fuori categoria per il suo livello) è apparso già a suo agio con i compagni, gran dispensatore di confetti da addomesticare dentro il ferro, perfetto nel dettare i ritmi e chiamare giochi ancora da metabolizzare. I due play sono anche stati schierati insieme per pochi minuti, ma è una soluzione che sembra più dettata dalle vorticose rotazioni che da una scelta voluta e pensata, specie quando l’abbondanza offre la possibilità di utilizzare negli stessi ruoli anche Denzel Valentine.
Sono, naturalmente, riflessioni effimere limitate all’osservazione di venti minuti di allenamento e 30 di basket semi-attendibile nella foresta equatoriale veneta. Vedremo come si evolveranno nei prossimi giorni, che prevedono sfide a mano a mano più impegnative: si inizia mercoledì prossimo a Monfalcone contro una Treviso certamente più lunga e strutturata rispetto alla Vanoli, per continuare sabato nella semifinale del torneo di Jesolo contro la Reyer Venezia, accreditata del ruolo di possibile outsider addirittura per il titolo, e la conseguente finale (o “finalina”) il giorno dopo ancora contro Treviso o contro Reggio Emilia. Successivamente arriveranno Olimpia Lubiana e Baskonia, e per allora saremo già nell’immediata vigilia del battesimo del fuoco in campionato contro i campioni d’Italia con un assetto ed equilibri presumibilmente vicini a quelli definitivi.