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La mattonata di Brooks stende Udine

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(Photo Courtesy Pagina Facebook Ufficiale Pallacanestro Trieste)

PALLACANESTRO TRIESTE – APU OLD WILD WEST UDINE 57-54

Pallacanestro Trieste: Bossi ne, Filloy 6, Rolli ne, Reyes 16, Deangeli 2, Ruzzier 3, Camporeale ne, Campogrande 0, Candussi 13, Vildera 3, Ferrero 0, Brooks 14. Allenatore: J. Christian. Assistenti: M. Carretto, F. Nanni

APU Old Wild West Udine: Vedovato 0, Clark 16, Alibegovic 4, Caroti 9, Arletti 2, Gaspardo 7, Delia 0, Da Ros 0, Agostini ne, Zomero ne, Monaldi 16, Ikangi 0. Allenatore: A. Vertemati. Assistenti: G. Gerosa, L. Pomes

Parziali: 15-10 / 11-19 / 13-13 / 18-12

Progressivi: 15-10 / 26-29 / 39-42 / 57-54

Parliamoci chiaro: l’attesissimo derby, unico appuntamento dell’anno a cui si guardava dal giorno della retrocessione con un minimo di trepidazione, si rivela uno spettacolo piuttosto deludente dal punto di vista tecnico, con due squadre che si alternano un quarto ciascuna nel proporre un campionario vastissimo di errori gratuiti e percentuali di realizzazione inguardabili. Ma il derby si porta dietro un tale bagaglio di emozioni, pathos, tensione, decibel, pressione, ansia che il drammatico finale ne è la più degna e logica conclusione: alla fine, le palle gettate in tribuna, il 5 su 23 da 3, la gestione sconsiderata di alcuni palloni, la persistente difficoltà di alcuni giocatori fondamentali, sono spazzati via da un tiraccio sghembo (arrivato al termine di 17 secondi di palleggi frenetici senza aver costruito la parvenza di un’azione) che affonda beffardo nella retina dopo aver colpito violentemente il tabellone proprio mentre il suo contorno si illumina di rosso. Le analisi statistiche saranno pane per la settimana di allenamenti che precede l’altro derby, per una sera a contare solo la sentenza portata in dote da questa clamorosa tabellata.

Come a Piacenza, anche contro Udine Trieste può “accontentarsi” di aggiungere due punti in classifica, rivelandosi, per il resto, ancora evidentemente convalescente, con molti dei suoi difetti strutturali (sui quali è peraltro stato svolto del lavoro) arrotondati ma ben lungi dall’essere eliminati. Ancor prima, però, c’è da osservare come la squadra sia finalmente, per la prima volta, al completo con tutti gli effettivi in salute. La sicurezza donata ai compagni dalla presenza di Ariel Filloy, incapace di replicare la prestazione balistica mostruosa di Piacenza ma attrattore naturale delle attenzioni della difesa friulana che lo raddoppia e triplica sistematicamente sbilanciandosi in modo evidente, e lo strapotere fisico di un Justin Reyes da 19 rimbalzi contro gente come Delia, Gaspardo, Vedovato e Da Ros, donano a Jamion Christian la chance di portare a casa la partita anche con una prestazione di squadra non all’altezza, e già questo è un lusso che potrebbe fare la differenza nel lungo periodo.

In molti storcono ancora il naso per la qualità estetica non eccelsa delle ultime due vittorie, e quando si vince segnando 57 punti in casa, di cui 39 nei primi 30 minuti, è una critica che non può che essere condivisa. E’ necessario, però, che l’ambiente triestino cominci a spogliarsi della competenza e dell’abitudine al bel basket accumulati e metabolizzati in cinque anni di Serie A. Il livello della serie A2, piaccia o no, è questo. Squadre maestre nel far giocare male gli altri, livello tecnico ed atletico medio inferiore di almeno tre categorie rispetto al piano superiore, partite spesso sporche, brutte da vedere, in cui a spuntarla è il più furbo, il più cattivo, quello con più fame. Oppure, la squadra che aggiunge a queste caratteristiche un ambiente casalingo come quello esibito da un Palatrieste da 5000 spettatori, che accompagnano letteralmente la squadra per quaranta minuti sospingendola in una rimonta ed in un finale in cui anche il pubblico si rivela un fattore.

Si sa, il triestino è difficile da accontentare, è un brontolone professionista, accompagna addirittura i post social di una vittoria all’ultimo secondo contro Udine (teoricamente il sogno di qualunque tifoso) con critiche ed ironie. Proviamo, allora, a leggere il tabellino della partita come se Trieste avesse perso, invertendo i nomi delle squadre. Cosa sarebbe emerso? 20 rimbalzi offensivi concessi, di cui 9 al solo Reyes. 38 rimbalzi complessivi in 40 minuti, contro i 56 di Trieste. 11 palle perse, 42 di valutazione complessiva di squadra. 8 punti di vantaggio a sei minuti dalla fine dilapidati senza arrivare, spesso, neanche al tiro: 7 punti segnati in 7 minuti, con Trieste che ne segna 18. 12 punti segnati nel quarto decisivo. 3 tiri liberi tirati in tutta la partita, segno che non si è mai provato a penetrare cercando il fallo quando gli avversari si caricano di penalità (Ruzzier commette il suo quinto in attacco). Da Ros, Delia e Vedovato zero punti in tre, brutalizzati in attacco da un 3-4 come Justin Reyes. Eppure Vetemati legge questa come una buona prestazione, che ha permesso di giocare alla pari con Trieste a casa sua. Ecco, forse la sua affermazione potrebbe sorprendere o far storcere il naso, ma è figlia di una lunghissima e profonda conoscenza di questo campionato. Difendere con grande intensità come hanno fatto entrambe le squadre per tutti e quaranta i minuti sporca le percentuali di tiro, innervosisce gli avversari, toglie loro certezze e confidenza. E giocarsi una partita così importante fino all’ultimo possesso può essere letto come un fattore positivo nonostante i 54 punti segnati. Realizzarne tre di più, contro una delle squadre più attrezzate del campionato fa, però, tutta la differenza del mondo.

Messi in cassaforte i due punti in classifica e riabbracciati a tempo pieno gli unici due fuoriclasse del roster (il bicchiere mezzo pieno), deve però continuare in modo intenso il processo di limatura dei peccati che questa squadra continua imperterrita a commettere. Se non altro, contro Udine l’intensità difensiva è stata ampiamente all’altezza, con due giocatori che dal punto di vista offensivo non hanno inciso nemmeno in minima misura come Deangeli e Campogrande, che però nel backcourt si sono rivelati indispensabili specie nel momento di massimo sforzo per recuperare lo svantaggio. Ma persistono alcune amnesie apparentemente inspiegabili, sebbene il dominio a rimbalzo anche contro clienti piuttosto scomodi come Delia e Gaspardo riveli la maggior attenzione nel tagliafuori sui due lati del campo. In particolare, Trieste soffre lì dove vorrebbe dominare, nella transizione: quando parte in contropiede lo fa in modo macchinoso e troppo lento, permettendo sistematicamente il rientro della difesa. Viceversa, fa enorme fatica a rientrare quando a partire in transizione sono gli avversari, e quando continui a perdere 14 palloni questo può essere un problema piuttosto grave (contro Udine non lo è stato perché la squadra friulana ci ha messo del suo sbagliando almeno tre “rigori” in terzo tempo).

Anche l’equilibrio fra i piccoli è ben lungi dall’essere definito. Ruzzier si fa preferire a Brooks come playmaker per la maggiore capacità di ball handling e di visione di gioco, però continua ad incidere pochissimo in attacco e soprattutto a pasticciare con un un numero di palle perse che da un giocatore della sua esperienza non ci si aspetta. Dal canto suo, l’americano si prende responsabilità al tiro anche nei momenti più caldi, però fa giocare meno la squadra, palleggia troppo a lungo lasciando troppo poco tempo per costruire un’azione di tiro ad alta percentuale: quando poi la palla arriva ai lunghi negli ultimi due o tre secondi è probabile che che l’azione muoia con la palla in mano o con tiri che servono solo a liberarsene. Ed inoltre, ormai gli avversari hanno capito che aumentando la pressione su di lui a partire dalla sua metà campo lo costringono spesso all’errore, alla precipitazione, in ultima analisi alla palla persa. Certo, quando riesce -come spesso accade- a battere il piccolo che difende su di lui sul perimetro crea situazioni di superiorità che costringono la difesa a collassare per evitare l’attacco diretto al ferro creando opportunità di scarico sugli angoli, ma è un tipo di azione che va ripetuta e perfezionata. Arcieri e Christian in sala stampa attribuiscono le sue difficoltà al periodo di adattamento al campionato di un giocatore che finora ha giocato esclusivamente in NCAA e G-League, c’è però da chiedersi se Trieste si possa permettere di attendere ancora a lungo questo adattamento. Nonostante il fatto che privi di centimetri il quintetto, la versione con tre piccoli appare al momento la più affidabile.

Inspiegabile, infine, la difficoltà a trovare continuità nelle percentuali da tre. Per la gran parte dell’incontro Trieste tenta tiri ben costruiti, spesso piedi a terra con tutto il tempo per prendere la mira, ma a venir violentati sono spesso i ferri e non le retine, con l’esperienza inedita di un paio di cross (nei momenti cruciali dell’incontro) di Deangeli e Reyes. Non va oltre ad un 22% che non può essere considerato nemmeno lontanamente sufficiente, anche se c’è maggiore bilanciamento con il numero di tentativi nel pitturato, dove la squadra tira decisamente meglio. La sensazione è che quando i tiratori naturali della squadra riusciranno a ritrovare confidenza con le triple, un po’ come succede con i bomber che nel calcio rimangono a secco per tante partite, si sbloccheranno ritrovando anche la continuità nelle prestazioni.

Convalescente la squadra, convalescente anche il rapporto con i tifosi incrinatosi in modo pesante dopo la prestazione contro la Fortitudo e dopo la sconfitta di Verona. Jamion Christian ed i suoi ragazzi hanno potuto godere del supporto continuo ed incondizionato dei 5000 del Palatrieste, anche se c’è da dire che “l’armistizio” arriva soprattutto grazie all’effetto ricompattante dell’avversario di turno, e non viene a mancare perché la squadra, pur giocando male, mette tutto quello che ha in questo momento sul parquet, non sottraendosi nemmeno un secondo alla lotta. Squadra che, dal canto suo, dimostra di essere un gruppo granitico andando a sommergere Brooks dopo la tripla vincente, ma ritirandosi immediatamente a festeggiare in spogliatoio anziché sul parquet, evitando anche il giro di campo per salutare i tifosi a bordo campo. Il tempo sarà galantuomo, così come le vittorie. Giocare da separati in casa non giova a nessuno, è ora di tornare a fare fronte comune anche quando di fronte non ci sarà Udine, anche perché la stagione, che vede tutte le favorite continuare a vincere mostrando però anche qualche passaggio a vuoto (Cantù e la stessa APU), è ancora lunghissima e può ancora ampiamente rimessa in carreggiata, con la vetta della classifica solo quattro punti più sopra, occupata dalla Fortitudo (che oggi ha sofferto oltremodo prima di aver ragione di Piacenza) che però deve recuperare una partita proprio con Udine.