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La bocca piena di…. “qualità” e la teoria dei modelli

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Il cinesino di Arsene Wenger

Arsene Wenger usava piazzare un cinesino in posizioni di campo apparentemente insignificanti. Sembrava che lo piazzasse “esattamente lì”, al millimetro… Ovviamente, ai numerosi allenatori che seguivano i suoi allenamenti, ciò non è sfuggito… Alla sera, discorsi su discorsi, ipotesi su ipotesi, riflessioni su riflessioni… Gruppi di allenatori che amattiscono per spiegare il significato di quel singolo cinesino, messo lì, con estrema cura… Un giorno decidemmo di andare a chiederglielo. Si mise a ridere: “Quel cinesino non significa assolutamente nulla! E’ solo un modo per prendervi un pò in giro…”Il cinesino di Arsene Wenger è una metafora; rappresenta la curiosità, la voglia di guardare un pò tra le righe, sopra, sotto, di guardare al calcio da prospettive diverse insomma.

Capitolo Sette: “La bocca piena di…. qualità e la teoria dei modelli”

Abbiamo tutti la bocca piena di… “qualità”. Fa ridere (o piangere) perché Trieste è talmente piccola che anche i muri sanno dove effettivamente si fa “qualità”, oppure dove se ne fa violenza… Tutti la evochiamo, tutti la inseguiamo, ma qualità fa rima con unitarietà! Per Mulej l’unitarietà rappresenta la base concettuale della qualità. Tradotto: se non c’è unitarietà nei ragionamenti e nelle successive azioni, non ci può essere un processo di qualità, quella vera, quella duratura… Se il processo non è unitario, non puoi avere “qualità”… a meno che non ci limitiamo solo ad alcuni singoli aspetti della qualità. Possiamo avere degli “sprazzi” di qualità, ma che sono destinati a “morire” sul lungo termine, proprio perché non sorretti da un contesto sufficientemente unitario. 

Nello sport abbiamo innumerevoli “progetti di collaborazione”; nascono ogni giorno e scompaiono in un arco di tempo altrettanto breve. Le “collaborazioni” con le società professionistiche si esprimono fondamentalmente in kit da vendere ai ragazzi, rarissimi i progetti che implicano una crescita tecnica – ma anche culturale – dell’insieme. Iniziative pensate e costituite per “battere” l’entropia sul breve termine, per sconfiggere la routine, per generare novità, ma poi – purtroppo – non “annaffiati” e sorretti a sufficienza da buoni propostiti, da quello che potremmo definire “buon senso” oppure “senso comune”. Mulej la chiama etica dell’interdipendenza, ovvero rendersi conto che collaborare non è solo una possibilità, ma un dovere nell’ambito di una responsabilità sociale, da stimolare,sviluppare e preferire in questa nostra battaglia per un futuro migliore.