Il timer sta scandendo le ultime ore d’attesa, la Pallacanestro Trieste è già a Torino dove in rapida sequenza affronterà Gara 1 e Gara 2 del quarto di finale che si è conquistata (ed oggettivamente meritata) con le sue gesta durante la stagione regolare. Che il quinto posto finale nel girone Rosso possa essere o meno considerato un risultato accettabile per questa squadra, che ottimisticamente si troverà a dover affrontare tre turni sempre con lo svantaggio del fattore campo, è ormai cronaca affidata agli archivi, improduttivo rimuginarci sopra o continuare a ricercarne le motivazioni. Così come andare alla ricerca delle vere ragioni della picchiata finale che ha portato la Reale Mutua dal secondo al quarto posto nelle ultime cinque giornate è un esercizio inutile ed ormai fine a sé stesso. E’ ora di concentrarsi con forza sul presente, lo è per giocatori e staff tecnico ma anche per l’ambiente intero, per i tifosi, la stampa, la proprietà: ora ogni partita ha importanza capitale, ogni possesso conta, ogni tiro ha un peso specifico fondamentale, ogni scelta, ogni decisione in campo o in panchina potrebbe determinare l’esito di un’intera stagione. La concentrazione e la consapevolezza di ciò che si sta facendo hanno ruolo centrale, l’esperienza nel non lasciarsi influenzare dal contesto, la capacità non comune di lavare completamente il cervello dalle scorie di ogni vittoria roboante o sconfitta umiliante nel momento stesso in cui si torna negli spogliatoi, l’abilità nello scrollarsi di dosso ansie da prestazione, la scaltrezza nell’approfittare di ogni singolo difetto, debolezza, errore degli avversari avranno ora il ruolo da protagoniste. Ed ovviamente, avere una città alle spalle, un palazzetto caldo, affamato e supportivo come Trieste in passato ha dimostrato di poter avere, non potrà che amplificare l’effetto di ognuno di questi aspetti.
Quella fra Torino e Trieste è una contesa equilibrata, molto più di quanto dica la classifica a fine orologio. Le due squadre sono speculari, con una leggera predominanza (soprattutto fisica) piemontese fra gli esterni ed un vantaggio numerico e di stazza sotto canestro a favore di Trieste. La forma fisica e le condizioni degli -ex- infortunati non saranno un fattore determinante perlomeno nelle prime due partite: coach Christian ha recuperato tutti i giocatori prima della partita contro Rieti ed ha potuto svolgere due intense e costruttive settimane di preparazione finalmente con 11 senior a disposizione. Franco Ciani ha riaccolto in gruppo Pepe e De Vico, che avevano sofferto di infortuni rispettivamente alla caviglia ed alla spalla, ma che sembrano totalmente recuperati, così come sembra tornato ai consueti livelli di rendimento Keondre Kennedy, fermo ad inizio seconda fase di stagione regolare. In ogni caso la lunghezza dei rispettivi roster alla lunga nei playoff ha importanza relativa: prese le misure agli avversari, alla fine le rotazioni si riducono in ogni partita, invariabilmente, a 6-7 giocatori, affidandosi piuttosto alla vena dei singoli, al loro istinto del killer, alla loro fiducia ed alle loro invenzioni fuori sistema. Di conseguenza i temi tecnico-tattici, fra due squadre e due allenatori che conoscono ogni particolare della squadra avversaria, avranno il loro peso ma solo se uno o più giocatori non saranno in grado di eseguire con diligenza e precisione i compiti di base assegnati, ma le vittorie (o le sconfitte) verranno determinate da fattori perlopiù imprevedibili ed irrazionali che però bisognerà essere abili a governare.
In verità, a determinare il risultato sarà piuttosto l’atteggiamento, il fuoco agonistico, la motivazione, quel motore che spinge a non arrendersi nei momenti più difficili delle partite, quando si subiscono break apparentemente irrecuperabili, o a non rilassarsi nella situazione opposta continuando, invece, a spingere l’intensità al limite. La partita del 22 marzo fra le due squadre al Pala Ruffini è indicativa in questo senso: per 22 minuti Trieste gettò il cuore oltre l’ostacolo, senza Reyes e Vildera, con Candussi vittima di una serata da black out totale e Campogrande tenuto in panchina per quasi tutta la partita, sotto i colpi di De Vico, Vencato e Poser ad approfittare delle autostrade deserte verso il ferro, eppure con gli ospiti ancora avanti nel punteggio a pochi minuti dalla fine. E poi, l’improvviso e letale 18-0 torinese che mise una pietra sopra alla contesa, con i biancorossi a fare le belle statuine in difesa ad ammirare le entrate solitarie in terzo tempo di Matteo Schina senza apparente reazione, a testa bassa, consapevoli del destino ineluttabile che andava maturando. Non fu (solo) una questione di assenze che impose l’iper utilizzo di 6 giocatori, i quali si ritrovarono di conseguenza esausti nei momenti decisivi: fu anche, e soprattutto, la conseguenza di un atteggiamento arrendevole già più volte notato durante la stagione, un atteggiamento che, se i playoff vogliono veramente essere un “nuovo campionato” sarà il primo fardello da cui liberarsi.
Trieste nelle ultime settimane ha riacquistato percentuali perlomeno accettabili al tiro, specie da oltre l’arco, ottenendo come conseguenza un deciso incremento di punti realizzati per partita, segno anche della maggiore fiducia acquisita da tiratori come Ferrero e lo stesso Filloy, troppo spesso in ombra durante la stagione e comunque dal rendimento fortemente altalenante. Considerato, però, che i maggiori difetti evidenziati dalla squadra da ottobre risiedono nella fase difensiva, e che ben difficilmente durante le due “costruttive” settimane di prove pre playoffs lo staff tecnico possa essersi inventato unguenti taumaturgici che da un giorno all’altro facciano di Trieste una infallibile macchina da back court, è abbastanza presumibile che le prime tre sfide contro Torino si rivelino equilibrate con finali punto a punto o comunque con gap non risolutivi prima della sirena del quarantesimo. Ed è qui che Trieste dovrà, invece, dare una svolta alla stagione: in effetti, a parte l’indimenticabile quanto fortunosa tabellata di Brooks nel derby d’andata, i biancorossi non sono letteralmente mai riusciti a venire a capo di finali in cui la scelta giusta al momento giusto ha importanza decisiva (aspetto che invece ha fatto grande, ad esempio, la stagione di Forlì). Maggiore concentrazione e capacità di scelta ma anche, è evidente, di preparazione in palestra a tali situazioni, potrebbero rivelarsi l’ago della bilancia della serie. L’altro tabù, sfatato in extremis a Rieti, è costituito dalla vittoria sui campi più difficili, quelli che contano. Trieste in sei mesi ha già perso, di tanto, poco, per sfortuna, per demeriti propri o venendo rullata da avversarie più in palla, a Torino, Udine, Cividale, Cantù e Forlì: se vorrà continuare a coltivare il sogno di tornare subito in Serie A, nel proprio mese e mezzo dovrà rassegnarsi a dover vincere su tre di questi cinque campi per almeno una volta, ammesso che sia sufficiente. Serve un miracolo? Può darsi. Del resto, il “nuovo campionato” non è certo a buon prezzo.
Ribaltare il fattore campo sorprendendo avversari che hanno tutto da perdere in Gara 1, o compiere un capolavoro in Gara 2, quando entrambe le squadre avranno smaltito l’impatto emotivo della nuova situazione da dentro o fuori e saranno completamente entrate nel mood da post season, darebbe indubbio vantaggio alla squadra di Jamion Christian solo se questo riuscisse a riaccendere il fuoco sopito dell’entusiasmo del Palatrieste. Arrivare venerdì prossimo a Gara 3 in parità o addirittura con un doppio vantaggio renderebbe con ogni probabilità il palazzetto triestino il solito fortino in grado di mettere pressione ad avversari ed arbitri. In caso contrario, il significato di una vittoria in trasferta sarebbe un filo tenue che terrebbe Trieste attaccata alla semifinale, un filo che potrebbe però essere spezzato facilmente anche fra le mura amiche come troppe volte accaduto durante la stagione. In tal caso, vorrebbe anche dire arrendersi all’evidenza che la pallacanestro triestina -intesa come intero movimento- al momento non è ancora pronta a tornare nell’Olimpo. Ma, come detto, saranno ragionamenti che ognuno potrà fare durante la lunga estate post season. Per ora, i playoff vanno affrontati – e gustati – giorno per giorno.