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Il profumo di Europa inebria una Trieste decimata

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PALLACANESTRO TRIESTE – CEDEVITA OLIMPIJA LJUBLJANA: 67-89

Olimpija Ljubljana: Stewart Jr. 4, Robinson 15, Jones 10, Radovic 7, Nikolic 6, Glas 5, Lemar 11, Blazic 7, Beringer 8, Geben 6, Prepelic 8, Ogbeide 2.

Allenatore: Zvezdan Mitrovic Assistenti: Federico Fucà, Giuseppe Di Paolo.

Pallacanestro Trieste: Ross 2, Uthoff 21, Ruzzier 3, Brooks 5, Deangeli (k), Johnson 7, Valentine 15, Candussi 8, Campogrande 6, Oblyubech n.e., Crnobrnja n.e, Paiano n.e.

Allenatore: J. Christian. Assistenti: F. Taccetti, F. Nanni, N. Schlitzer.

Progressivi: 16-17 / 35-35 // 54-61 / 67-89

Parziali: 16-17 / 19-18 // 19-26 / 13-28

Arbitri: Spendi, Rener, Smrekar.

Profumo di Europa alla Bonifika Arena di Capodistria: i soli venti minuti di strada che separano Trieste dal funzionale palazzetto istriano non tolgono fascino ad una sfida che, nelle intenzioni e nei programmi della proprietà del club biancorosso, vorrebbe ripetersi a livello ufficiale in una coppa continentale. Il pubblico triestino risponde discretamente, troppa la curiosità di vedere all’opera i nuovi arrivati integrarsi con l’ossatura consolidata del roster per resistere al richiamo: ad occhio sono ben più di un migliaio i tifosi che affollano le tribune. Una curiosità ed un’attesa, però, che come avvenuto a Jesolo devono ancora attendere un po’ per essere soddisfatte, dal momento che alle previste assenze di Stefano Bossi e di Justin Reyes, si aggiungono anche quella (paventata ma quasi esclusa nelle ore precedenti il match) di Markel Brown e, new entry della serata, quella di Colbey Ross dopo solo qualche minuto sul parquet nel primo tempo. Un peccato, perchè la sensazione è quella che un confronto fra le due squadre al completo avrebbe quasi certamente regalato un match equilibrato fra un team emergente ed uno strutturato e ben costruito che nella prossima stagione affronterà l’EuroCup, seconda competizione europea per importanza e qualità. C’è subito da dire che, ancorché manchino riscontri ufficiali da parte della società, Michael Arcieri si premuri di rassicurare tutti sulle condizioni di tutti e quattro i lungodegenti: piccolo stiramento ormai quasi completamente riassorbito per il play triestino, riposo precauzionale dopo un po’ di paura sulle condizioni di un ginocchio -invece perfettamente integro- per Reyes, affaticamento muscolare per Brown che è stato comunque avvistato al palazzetto in tenuta da allenamento svolgere lavoro differenziato, un colpo alla schiena subito una settima fa per Ross, che contro Lubiana torna a far sentire i suoi dolorosi effetti. Tutti saranno presto riarruolati in vista dell’inizio del campionato, almeno due di loro parteciperanno anche alla trasferta nei Paesi Baschi venerdì prossimo per affrontare la super prestigiosa amichevole vista Eurolega contro il Baskonia, sebbene l’atteggiamento super conservativo del club (pragmatico all’ennesima potenza come solo gli americani sanno essere) non permette previsioni certe.

Detto degli assenti, che inevitabilmente segnano alla lunga l’andamento dell’incontro ed il risultato, l’amichevole contro il Cedevita fornisce più di qualche spunto di analisi, in particolare alcune confortanti conferme. C’è da dire che le rotazioni limitate e la necessità di inventare quintetti che difficilmente verranno replicati durante la stagione se non in casi di estrema necessità non impediscono di assistere ad una gara tutto sommato piacevole ed equilibrata per quasi tre quarti, con il definitivo (ed immeritato, almeno nelle dimensioni) tracollo triestino arrivato solo a otto minuti dalla fine, quando a Jeffrey Brooks vengono comminati il quarto fallo ed un fallo tecnico entrambi risibili, ma che lo escludono definitivamente dalla contesa. Fino ad allora Trieste dimostra di possedere furore agonistico ed uomini dotati di personalità tali da tamponare evidenti falle sia nella costruzione del gioco che nella capacità di contenere l’esuberanza fisica degli sloveni, specie sotto canestro. Sloveni che, una volta acquisito il vantaggio a due cifre, sono abili nel tenere gli avversari in angolo, lasciar sfogare le loro fiammate per poi rispondere con la stessa moneta senza correre alcun rischio: anche questa è una lezione che, a parti invertite, Trieste dovrà assimilare, dal momento che nella stagione passata la scarsa capacità di mantenere un vantaggio “uccidendo” la partita è stato uno dei fardelli più pesanti dai quali liberarsi nei playoff per tornare ad essere vincenti.

Sono tre i giocatori in particolare su cui puntare il focus dopo Capodistria, perchè presumibilmente saranno tre dei fulcri principali del gioco proposto da Jamion Christian per minutaggio ed importanza strategica. Denzel Valentine è il candidato principale a divenire croce e delizia per il pubblico triestino. Dotato di tecnica e capacità di invenzione non comuni, di una personalità debordante, di una poker face che lo fa sembrare un alieno appena catapultato a sua insaputa nella partita, è capace di infilare una sequenza tramortente da ogni posizione del campo, risultare il miglior rimbalzista della squadra, difendere in modo asfissiante su esterni e lunghi avversari, così come di perdere quattro palloni consecutivi in modo talmente banale che raramente si vedono infrazioni del genere nei campionati minors oppure di palleggiare per venti secondi senza nemmeno porsi il dubbio se sul campo ci sia qualche compagno libero ad attendere il pallone. Guai, però, a credere che la stagione, il coach, i compagni, il flow possano far cambiare mentalità all’ex “pro”: Valentine è questa cosa qui, prendere o lasciare. Considerando che, una volta raggiunta la forma fisica ottimale, il lato “delizia” sarà indubbiamente preponderante su quello “croce”, c’è da giurare sul fatto che il buon Denzel si rivelerà più volte il match winner durante la stagione. Ci vorrà molta pazienza e molto amore, ma il barba biancorosso saprà ripagarli.

Che il gioco alto-basso, le soluzioni in post basso, il pick and roll, il tagliafuori sui due lati del campo rendano i lunghi, specie stranieri, elementi fondamentali ed imprescindibili di ogni roster in qualunque campionato di basket è ormai cosa assodata. E’ per questo che le prestazioni in chiaro scuro di Jayce Johnson lascino dubbi ma donino anche qualche certezza. Il lungo californiano sembra molto più efficace quando viene innescato in modo dinamico, magari in transizione, essendo dotato di discreta tecnica di paleggio e di uso dei piedi. Meno credibile, invece, quando si cerca di servirlo spalle a canestro, quando c’è poi da andare a sportellate e gomitate per cercare di avvicinarsi sufficientemente al ferro per provare un appoggio al vetro o un semigancio (di schiacciare, al momento, non se ne parla, anche se dall’alto dei suoi 214 centimetri l’affondata non dovrebbe essere per lui un gesto atletico particolarmente impegnativo). In tali situazioni Johnson appare più impacciato, molto compresso dall’esuberanza atletica degli avversari, diventa anche insolitamente impreciso nelle conclusioni anche più elementari, sebbene la sua capacità di catapultarsi immediatamente a rimbalzo sul suo stesso errore gli permetta di eseguire secondi tiri nei quali, invece, risulta più efficace. L’impressione è che abbia ancora ampi margini di miglioramento -specie in attacco- legati essenzialmente alla capacità dei compagni di capire come innescarlo e come sfruttarne al meglio le caratteristiche. Ed inoltre, dovrà dar maggiormente fondo alle sue riserve di cattiveria: quando reagisce di carattere ad errori o stoppate subite dona minuti di alta qualità anche dal punto di vista realizzativo.

Una confortante conferma, invece, arriva dalla costanza del rendimento di Jarrod Uthoff. Lungo atipico, letale da fuori, dotato di grande capacità di palleggio e molto mobile in attacco, super fastidioso in difesa su esterni e su lunghi avversari, gran senso di posizione a rimbalzo, lui sì già dotato di sufficiente cattiveria, raramente “molle” sui due lati del campo, si impone fin d’ora come uno dei punti fermi dei quintetti proposti da Jamion Christian. Può incappare in una sequenza di errori da oltre l’arco senza che questo ne scalfisca in qualche modo la consapevolezza nei propri mezzi, aspetto che gli consente di continuare a tirare dopo quattro “pali” infilando sequenze letali di bombe. Abbastanza curioso come il mondo del basket europeo si sia accorto così tardi di un giocatore così utile, una sorta di coltellino svizzero che costituisce una manna dal cielo per ogni allenatore.

La particolare situazione venutasi a creare nelle ultime due partite ha imposto scelte obbligate a coach Christian, che ne ha approfittato per mettere alla prova i suoi italiani per una quantità di tempo che presumibilmente sarà drasticamente ridotta durante il campionato. Occasione buona, però, per testarne l’affidabilità in caso di necessità. Da Michele Ruzzier non era certo necessario attendersi conferme, essendo parte integrante di un teorico quintetto ideale della squadra. Michele è tornato un po’ a risotterrare l’ascia di guerra in attacco, tirando poco (ed in modo non particolarmente preciso) da fuori ed abolendo l’attacco al ferro, ma la sua capacità di leggere le situazioni di gioco e la sua chirurgica ricerca dell’assist lo rende la scelta migliore per mettere in ritmo ed innescare i compagni al centesimo di secondo esatto. Francesco Candussi conferma la sua preferenza ad allontanarsi da canestro in attacco e la sua sofferenza quando deve difendere contro centri stranieri più mobili o dinamici di lui, ma costituisce l’unico back up di ruolo a Johnson ed il suo apporto sarà imprescindibile. Per contro, per atteggiamento sembra ancora l’uomo in missione che ha promesso di diventare a Michael Arcieri, che per considerarlo competitivo in Serie A pretende da lui un upgrade sia dal punto di vista tecnico che, soprattutto, da quello mentale. Buoni segnali arrivano anche da Luca Campogrande, tornato ad essere efficace nella specialità della casa, il tiro da tre, ma anche molto determinato in difesa, risultando sorprendentemente mobile sui piedi e dinamico nelle scivolate di contenimento negli uno conto uno. Certo siamo in pre season e l’intensità agonistica si eleverà a dismisura solo fra un paio di settimane, ma i segnali che arrivano sono finalmente confortanti. Pochi minuti sul parquet -in situazione di punteggio oltretutto poco significativa- per capitan Deangeli, la cui prestazione non è dunque giudicabile. Solita grande volontà in difesa, qualche indecisione in attacco, ma davvero pochi elementi per poter analizzare il ruolo che potrà avere nella incombente stagione.

Qualche giorno per recuperare tutti e per accumulare ulteriore benzina nelle gambe e sarà già ora di imbarcarsi sull’aereo per Vitoria, ultima tappa di un percorso di avvicinamento al campionato costellato di impegni forse più intensi e probanti di quanto ci si potesse aspettare, che ha lasciato inevitabilmente sul campo più di qualche vittima ma che, per contro, ha dato un preciso assaggio del vero inferno che saranno i prossimi nove mesi.