Certo il risultato ed il gap fra le due Nazionali, non si fosse trattato di una amichevole (di lusso, ma sempre un’amichevole) sarebbe sufficiente a far versare al nuovo CT della Nazionale Italiana più lacrime di quelle, copiose, versate nel prepartita davanti all’ovazione dei suoi concittadini. Ma l’aspetto tecnico, oltretutto pesantemente influenzato dall’assenza dei big di Virtus e Olimpia, ancora a riposo dopo le Finals, e dal livello clamoroso della formazione dei campioni d’Europa in carica, schierati a Trieste al gran completo, passa in secondo piano rispetto al contorno, alle numerose suggestioni che hanno riconciliato, almeno per una sera, il popolo del basket triestino con il parquet dell’Allianz Dome.
Intanto, il primo sold out dopo più di due anni: il colpo d’occhio donato dai quasi 6400 spettatori ufficiali, che fra accrediti ed ospiti eccellenti potrebbero comodamente aver raggiunto i 7000, è uno spettacolo nello spettacolo. Il Dome non si riempiva in questo modo dal febbraio 2020, un Trieste-Sassari risolto dal buzzer beater di Juan Fernandez che sembra appartenere ad un’era geologica fa. Rivedere intere famiglie a palazzo, schiere di bambini e ragazzini con le maglie delle rispettive nazionali (e, in grande misura, quella #77 dei Dallas Mavericks), gruppi di appassionati italiani e sloveni rigorosamente mischiati in ogni settore del palazzo cantare i propri inni nazionali ed incitare i propri beniamini applaudendo anche le giocate degli avversari dopo due anni difficilissimi per entrambe le nazioni, dai quali mediamente siamo tutti usciti un po’ peggiorati, ridona speranza nell’umanità. Se non altro lascia un retrogusto di normalità alla quale ci eravamo brutalmente disabituati. A fine partita, lo stesso Luka Doncic, un po’ con parole di circostanza, un po’ perché ci crede davvero, afferma che “è bello giocare in una arena piena, a tutti piace giocare qui, conosco bene l’ambiente perché da piccolo con l’Olimpija sono venuto spesso, è davvero fantastico”.
Il senso del grande evento è misurato dalla quantità di ospiti eccellenti e spettatori provenienti da mezza Italia e tutta la Slovenia: sono presenti il Presidente sloveno Borut Pahor ed il Ministro delle Politiche Agricole italiano Stefano Patuanelli, il coach dei Campioni d’Italia ed ex CT della Nazionale Ettore Messina, il presidente della FIP Gianni Petrucci, un numero consistente di giocatori ed allenatori di Serie A (avvistato anche Eugenio Dalmasson), la Nazionale italiana di Calcio a 5 e chissà quanti altri. Le telecamere di Sky, quelle della TV nazionale slovena, l’interesse mediatico dell’NBA, fanno di un’amichevole estiva la prova generale di quello che potrà essere a livello mediatico Eurobasket 2022 fra qualche settimana.
Naturalmente, inutile girarci attorno, la calamita che ha reso per un giorno l’impianto di Via Flavia la capitale del basket europeo è il ritorno in maglia biancoverde con il Triglav sul petto delle stelle dell’NBA, ed in particolare quello di Luka Doncic, considerato uno dei cinque giocatori di pallacanestro attualmente più forti al mondo: il ventitreenne fuoriclasse dei Dallas Mavericks non si sottrae all’attesa spasmodica dei fan di ogni età. Sorridente e disponibile, stringe mani, stampa high five con i ragazzini, appare in decine di selfie, attrae su di sé curiosità ed attenzioni nemmeno fosse una rockstar. Il campo poi, però, dice altro: al di là di un paio di conclusioni da par suo, con spettacolari step back e tiro da tre da distanza siderale, tre o quattro giocate irreali con le quali libera i compagni utilizzando pertugi che i più non riuscirebbero nemmeno ad immaginare, litiga con il canestro, sbaglia anche qualche libero, anche se alla fine risulterà essere il top scorer dell’incontro. La scena va tutta ad un’altra star, un Goran Dragic che, da par suo, è pur sempre il playmaker dei Brooklyn Nets. Dragic è tirato a lucido, fa girare la squadra come un orologio, ha proprietà di paleggio, tiro, passaggio che uniscono la tecnica sopraffina di scuola ex jugoslava al gioco moderno, velocissimo e fisico, che negli ultimi anni caratterizza il campionato pro USA. Terzo giocatore attesissimo a Trieste è suo fratello Zoran: Zoki si gode il ritorno nel palcoscenico che lo aveva visto protagonista per qualche mese ad inizio 2019, anche lui sembra in gran forma e rimane quel letale attaccante che Trieste aveva potuto godersi per un periodo troppo breve. Il figlioletto biondo in canottiera rossa targata Pallacanestro Trieste che ad un certo punto lo raggiunge in panchina la dice lunga su quanto anche il Dragic “minore” sia rimasto affezionato a quell’esperienza. C’è anche il tempo di rivedere la meteora (per Trieste) Jakob Cebasek, talmente esiziale da far dubitare che sia proprio lui il giocatore venuto in via Flavia con contratto a gettone e rispedito al mittente dopo un mese senza lasciare traccia: sfortunatissimo nell’aver subito un infortunio alla schiena in quell’occasione, avrebbe certamente meritato maggiore attenzione in riva all’Adriatico.
C’è da giurare che gran parte dei triestini presenti al Dome, oltre che per godersi Doncic e Dragic, erano accorsi in massa per tributare una grande accoglienza all’inaugurazione da CT di un celebre figlio della città, un ragazzo istrionico ed estroverso (e per questo spesso sottovalutato), partito dall’Inter 1904 di Tullio Micol per trovare trionfi da giocatore in giro per l’Italia -a dire la verità in gran parte personali, dal momento che di squadra ha vinto pochino- ed alterne fortune da allenatore, ruolo in cui è stato consacrato negli anni di Sassari ed in quello passato ad abbeverarsi di sapienza cestitistica alla corte di Ettore Messina. Gianmarco Pozzecco a Trieste è da sempre accolto in modo entusiasta, ma stavolta i significati sono ben diversi: la sua entrata sul parquet a pochi minuti dall’inizio della partita fa venire gli occhi lucidi a molti, la lunga, sincera, rumorosa standing ovation che gli viene tributata mette a dura prova il suo autocontrollo. E poi, l’abbraccio con i familiari a bordo campo, quello lunghissimo con Messina, le occhiate di intesa con gli amici di sempre nelle prime file. Una serata, cinque minuti in particolare, che rimarranno per sempre stampati nel suo cuore: pagheremmo per sapere quali pensieri e quali immagini gli siano passate per la testa in quei momenti.
Infine, lo spettacolo di contorno: le cheer leaders acrobatiche (bravissime), gli atleti che grazie al trampolino elastico hanno inchiodato l’attenzione degli spettatori con schiacciate siderali e coreografie aeree degne delle Frecce Tricolori, la playlist musicale sparata a palla. L’evento basket da solo non basta più, è necessario stimolare i fan di ogni estrazione ed ogni età con proposte di intrattenimento varie, innovative e di alto livello. E’ qualcosa che in America avevano capito già negli anni 80 (i Lakers di Magic Johnson e di Jabbar ne furono gli antesignani), e dalla quale anche in casa Pallacanestro Trieste potrebbero trarre la giusta ispirazione per iniziare l’operazione riconquista del proprio pubblico.
La partita, in sé, fila via veloce: nel primo tempo le star slovene, grazie ad una difesa da antologia della quale gli azzurri non vengono in nessun modo a capo, mettono fra sé e gli avversari un gap sufficiente a rendere la ripresa un lungo garbage time in cui sperimentare e divertirsi. Per Pozzecco discrete indicazioni dagli esordienti Petruccelli, solito roccioso difensore, Tomas Woldetensae, autore fra l’altro di una giocata che ricorderà a lungo (rubata a Doncic in palleggio e contropiede solitario con conclusione in sottomano) e soprattutto Leonardo Okeke, un ragazzone di 210 cm reduce da un ottima stagione in A2 a Casale e che, con lavoro e costanza, potrebbe risolvere una volta per tutte il problema ormai atavico degli azzurri nel pitturato spalle a canestro. Ora, però si inizia a fare sul serio. Il rientro di Pajola, Biligha, Ricci, Datome, Melli, gli innesti di Alviti e Baldasso e, forse, il ritorno di Danilo Gallinari da Atlanta renderà la sfida ufficiale contro i Paesi Bassi tutta un’altra storia.
(photo credit: profilo Twitter Italbasket)