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History repeated: corsi e ricorsi di una sfida tutta nuova ma lunga 40 anni

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27 maggio 2018: è il giorno di Gara 1 fra Alma Pallacanestro Trieste e De’ Longhi Treviso, semifinale che si concluse con un 3-0 che non lasciò discussioni e spalancò la strada al trionfo finale. Sono passati 6 anni, fatti di gioie, sfide stellari, delusioni cocenti, polemiche, drammi, vittorie e retrocessioni, fughe ed abbandoni, quattro coach, tre proprietà e mille giocatori. 6 anni, e Trieste è nuovamente al punto di partenza, alla vigilia di una serie fondamentale, certo con premesse, entusiasmo, pronostici e background diversi, ma con le medesime aspettative. A dire la verità, esiste un precedente ancora più calzante, risalente a ben 42 anni fa: è il 1982, l’Oece, retrocessa dalla A1 dopo un solo anno di permanenza nella massima serie ed alla fine della mitologica era Hurlingham, disputa un campionato deludente, che riesce a rimettere solo parzialmente in piedi durante la fase ad orologio, durante la quale vince tutte le partite arrivando quinta al termine della stagione regolare: i playoff le regalano uno spareggio contro la terzultima della A1, andata e ritorno contro la Recoaro Forlì, con eventuale bella sul campo romagnolo. L’Oece di coach Lombardi, Robinson e Abromaitis, Tonut, Valenti e Bertolotti, arriva ai playoff in uno stato di assoluta prepotenza fisica e mentale, riesce a sbancare il palasport di Forlì, trionfando poi nella seconda partita a Chiarbola proprio il giorno di Pasqua ed agguantando una clamorosa quanto inaspettata promozione. In tempi più recenti, ma comunque già “vecchi” dieci anni, l’incrocio fra Trieste e Forlì si ripropose, ma con in palio traguardi ben meno prestigiosi: il 14 aprile 2014 al Palatrieste i biancorossi di Dalmasson superarono i romagnoli in un vero e proprio spareggio salvezza per rimanere in A2. Curiosamente, protagonista assoluto di quella partita fu un ventunenne figlio della città destinato a tortuosi percorsi in Serie A che oggi lo riportano ad essere nuovamente il potenziale ago della bilancia della sfida. Assieme a Michele Ruzzier, a quella drammatica partita partecipò in maglia triestina anche un giovanissimo Francesco Candussi. Nota a margine, nonostante la sconfitta che la condannò matematicamente alla retrocessione, quell’anno Forlì fu ripescata in A2 e rimase poco sopra il livello di sopravvivenza nel basket che conta.

Un’era geologica è passata da allora, e Trieste e Forlì si trovano nuovamente davanti ad un bivio che ne determinerà la storia sportiva. Trieste, curiosamente, ci arriva dopo aver nuovamente “conquistato” un quinto posto che sarebbe deludente se non fosse, alla fine, il male minore rispetto a quello che sarebbe potuto succedere con solo una sconfitta in più. I romagnoli, invece, ci arrivano al termine di una stagione da dominatori, la seconda consecutiva, durante la quale hanno vinto otto volte più degli avversari della semifinale, 16 punti di differenza in una classifica che li ha visti finire primi con sei punti di vantaggio sulla Fortitudo. Ma, come ormai da mesi un po’ tutti vanno ripetendo, la sirena finale dell’ultima partita della fase ad orologio equivale ad una sorta di Ctrl+Alt+Canc della stagione: tutto quello che hai fatto fino ad allora conta il giusto, cioè quasi nulla. Mentalità ed approccio ad una serie playoff sono totalmente diverse da quelle di una partita di campionato, i particolari, i singoli possessi, le singole decisioni prese in campo hanno un peso ed un’importanza esponenzialmente maggiore, e solo chi ci arriva saldo e consapevole, prima che sano ed atleticamente preparato, avrà qualche chance di prevalere. Trieste, da questo punto di vista, pare aver totalmente cambiato pelle, dimostrandolo con un inaspettato quanto perentorio sweep contro Torino. Risultato indiscutibile, arrivato al termine di tre partite tese ed equilibrate, ben lontane dalla perfezione tecnica, a tratti decisamente brutte ma interpretate alla perfezione specie nei passaggi fondamentali, nei finali punto a punto o quando è stato necessario reggere l’urto delle fiammate degli avversari. Si tratta di una solidità mentale acquisita solo da qualche settimana, dopo che alcune uscite nella fase ad orologio (“drogate” da assenze di pedine insostituibili, c’è da dirlo) avevano lasciato presagire -e temere- una fugace comparsata dei biancorossi nella post season. Biancorossi che peraltro sanno bene di non aver ancora raggiunto alcun obiettivo, che aver superato una serie di quarti di finale ribaltando il vantaggio del fattore campo è di per sé stesso un’impresa che si dissolverà ben presto nei meandri della memoria se non porterà alla conquista di un obiettivo ben più ambizioso. Certamente, però, poter finalmente contare in modo continuativo su 11 senior in salute, e poterli catechizzare per ben nove giorni al fine di limare o, meglio, eliminare difetti che a mano a mano che l’asticella delle difficoltà si eleva potrebbero dimostrarsi letali, è un lusso che Trieste si è conquistata con indiscutibile merito e che potrebbe portare indubbi vantaggi. Oltretutto, l’ultima settimana è stata utile per poter provare a studiare, prevedere e prevenire le trappole, specie difensive, che Antimo Martino avrà certamente predisposto in vista della sfida a distanza con Jamion Christian.

In effetti, scandagliando articoli di stampa locale e social specializzati, per non parlare di quelli della fan base, Forlì viaggia su ali di assoluta, totale ed incrollabile fiducia sulle sue possibilità, anzi sulla certezza, di raggiungere la finale. Quasi mai viene citata l’avversaria, la sconfitta patita in Gara 3 a Vigevano non viene considerata un segnale, così come l’assenza di Kadeem Allen viene metabolizzata e resa ininfluente nelle menti di un ambiente che, pure, esce da un’esperienza traumatica maturata nella scorsa stagione (regular season dominata e conclusa in vetta, sconfitta in finale con Cremona, che vi arrivava da quarta). Certezze che probabilmente derivano anche dalle scorie dell’ultimo confronto giocato al Palafiera fra le due squadre nell’ultima giornata del Girone Rosso, quando i padroni di casa passeggiarono sui resti di una derelitta formazione triestina orfana di Justin Reyes, capace di opporre una debole resistenza per quindici minuti per poi venire letteralmente travolta sotto i colpi degli esterni romagnoli, in particolare Allen, Zampini e Cinciarini (che brutalizzarono le guardie triestine, sistematicamente battute negli uno contro uno) e da uno Xavier Johnson assoluto padrone del pitturato nonostante l’ottima prestazione di un solitario quanto impotente Giovanni Vildera. Certezze che, però, di certo non albergano nel cervello di coach Martino e dei suoi giocatori più esperti: pensare di sorprendere Forlì sotto questo punto di vista, sperando che sottovaluti avversari ed impegno, è pura e fuorviante illusione, che si infrangerà sulle alchimie che l’esperto coach romagnolo (molisano di nascita) avrà di certo escogitato e che già in passato hanno di mostrato di poter sorprendere ed annientare il piano partita approntato da Jamion Christian. Rimane però il fatto che, rispetto a quella uscita, Trieste ha recuperato in piena efficienza Justin Reyes e tutti gli altri infortunati cronici, mentre Forlì ha perso definitivamente Kadeem Allen, stella ex NBA ed incontrastato punto di riferimento offensivo, e sostituito l’infortunato centro Zilli con Daniele Magro. Il forfait dell’americano ha naturalmente un peso incalcolabile: se contro Vigevano la resilienza dimostrata dai compagni, la reazione d’orgoglio di un reparto di esterni comunque ben fornito e ricco di esperienza, ha permesso di metabolizzare senza contraccolpi l’assenza del “centravanti”, tale effetto alla lunga è destinato ad affievolirsi anche per l’inevitabile accorciarsi delle rotazioni con conseguente iper utilizzo dei superstiti, chiamati oltretutto a riprodurre non solo i minuti sul parquet, ma anche l’efficienza offensiva di un fuoriclasse: Trieste, suo malgrado, ne sa qualcosa. Tenere alti i ritmi, cercare di attaccare sistematicamente dal perimetro cercando le penetrazioni uno contro uno, portare al limite l’efficienza difensiva romagnola potrebbe essere una chiave fondamentale, capace di far scendere lucidità e capacità di scelta negli ultimi minuti o nei possessi decisivi, che in questa stagione sono stati terreno di caccia incontrastato per Forlì (che ha vinto innumerevoli partite all’ultimo possesso o ai supplementari) ma che con un roster più corto potrebbe invece trasformarsi in un autentico pantano. Certo, ritmi alti potrebbero anche portare con sé il rischio che gli avversari li cavalchino per punire una squadra tradizionalmente pigra nel rientrare velocemente in difesa trasformandosi così in break capaci di dare coraggio agli avversari ed accendere la polveriera del Palafiera, pertanto sono un’arma da maneggiare con estrema cura. Maggiore attenzione nel limitare le possibilità di contropiede, blindare l’area con i due lunghi e magari con l’aggiunta di Menalo, Deangeli e Reyes (i pur dinamici Magro e Johnson, con Radonjc e Pollone, non sembrano possedere un vantaggio tecnico e di tonnellaggio tale da garantire una prevalenza tattica sotto canestro, però non sono da commettere i soliti, costosissimi, errori sugli aiuti difensivi), evitare le consuete amnesie nel difendere i tagli dal lato debole, eseguire con diligenza ed attenzione il tagliafuori per evitare doppi o tripli possessi a favore di Forlì potrebbero essere le altre chiavi tecniche, assieme naturalmente al neo acquisito equilibrio nella scelta delle opzioni offensive, non più totalmente sbilanciate a favore delle conclusioni da oltre i 6.75. Rendere imprevedibili le scelte in attacco potrebbe così rivelarsi l’arma vincente, così come lo è indubbiamente stata nella sfida al Palatrieste fra le due squadre al completo nella quale, è bene ricordarlo, Trieste si impose con 17 punti di scarto. Rispetto a quella partita, oltretutto, Trieste è ora molto meno Reyes-dipendente: i mesi passati arrancando alla ricerca di equilibri difficilissimi da ricreare per cercare di tamponare l’assenza di un giocatore di fatto insostituibile, hanno alla lunga portato i loro frutti, rendendo la squadra capace di ammortizzare prestazioni sotto standard del portoricano senza apparente contraccolpo.

Ma al di là degli aspetti tecnici, che prenderanno forma strada facendo spiazzando puntualmente tutti coloro che in queste ore stanno provando a prevederli, sarà nuovamente una questione di atteggiamento e di mentalità, anche nei momenti più difficili, anche sotto le strisce ammazza-morale del viscerale quarantenne Cinciarini, anche dopo tre o quattro tiri da tre sbagliati, anche dopo una o anche due sconfitte. La chimica di squadra, la consapevolezza nei propri mezzi, un po’ di sana incoscienza, gli attributi nel prendersi grandi responsabilità quando il flusso della partita ti porta a prenderle, le doti di leadership di giocatori in grado di sostituire l’allenatore in campo infondendo fiducia e sicurezza nei compagni, saranno i particolari che porteranno la serie verso i biancorossi di Jamion Christian o, per contro, la allontaneranno in modo definitivo dall’ombra di San Giusto. E poi, comunque vadano le prime due partite in Romagna, sarà indispensabile che il Palatrieste faccia la sua parte, sostenendo la squadra in modo sonoro e convinto. Una eventuale Gara 5 non avrebbe in effetti un andamento, ed un esito, per niente scontato.

Se una squadra costruita attorno a due discreti americani e composta da Tonut, Floridan, Ciuch, Scolini, Ritossa e Meneghel non si curò affatto dei pronostici spazzando via la Recoaro di Iavaroni e Griffin conquistando la promozione in mezzo alla sua gente, un secolo dopo, tocca agli eredi di quelle vestigia farsi pervadere dallo spirito vulcanico di Dado Lombardi, vera anima e condottiero di quella mitica impresa.