“Guardare avanti con l’umiltà di chi è caduto. Imparare dagli errori. Rialzarsi. Agire. Il dolore di oggi è la grinta di domani.”
CSG Italia
Trieste torna all’inferno. Si materializzano puntualmente i timori di chi, fino a ieri, ammoniva che la statistica ha pochissima importanza (solo una combinazione su 16 avrebbe condannato i biancorossi alla A2) quando la combinazione più pericolosa è anche la più probabile. Però così fa malissimo: posto che attendersi “favori” da altri campi in questa stagione è sempre stato un esercizio inutilmente masochistico, ci si sarebbe aspettati di vedere sul difficilissimo parquet del Palapentassuglia una squadra arrembante, reattiva, determinata a fregarsene delle assenze e, almeno, provarci. E invece, è la solita Pallacanestro Trieste da esportazione, svagata, svogliata, deconcentrata, emotivamente scarica, che contro una Happycasa al completo esce stritolata, irrisa ed umiliata nella partita più importante degli ultimi dieci anni.
Poco, pochissimo importa come siano andate le partite sugli altri tre campi che avrebbero potuto salvare (immeritatamente) capra e cavoli. Il fallimento sportivo che riporta dopo cinque anni la Pallacanestro Trieste nella palude di un campionato di livello tecnico infimo ma sufficientemente difficile da non permettere di quantificare tempi di risalita, è figlio di una sequenza lunghissima e cocciuta di errori imperdonabili dentro e fuori dal campo, inaugurata nel luglio del 2022. Trieste deve piangere per essersi cacciata da sola nella situazione di doversi giocare la salvezza con un roster inadeguato nelle ultime quattro-cinque partite di campionato. Deve piangere per aver scelto di rinunciare ad un leader che all’ombra di San Giusto sarebbe tornato a piedi e che ha invece è stato lasciato libero di fare le fortune, praticamente da solo, di un’avversaria di livello chiaramente inferiore. Deve piangere per essersi disinteressata della differenza canestri negli scontri diretti, per aver scelto giocatori sbagliati in ruoli inadeguati dopo aver gestito in modo scellerato i momenti, le modalità e le tempistiche dei cambi, peraltro perseverando diabolicamente nel rifiutarsi di rendersi conto che una figura dedicata esperta nello scouting è vitale ed indispensabile in una società professionistica in qualunque sport. Deve piangere, inoltre, per aver insistito su scelte tecniche evidentemente sbagliate ma inspiegabilmente riproposte domenica dopo domenica dopo domenica. Per aver consapevolmente tollerato il deragliamento comportamentale, noto urbi et orbi, di uno degli americani più importanti senza intuirne le ricadute su gruppo e rendimento. Infine (soprattutto?) per aver rischiato nel puntare su un allenatore inesperto ed esordiente nella categoria senza affiancargli un sostegno tecnico “senior” adeguato. Ma per i processi, e per chi avrà voglia di farli, c’è tutta un’estate.
Oggi è il tempo solo dell’amarezza, dello sconcerto nell’assistere alla prestazione di una squadra chiaramente allo sbando in cui ognuno gioca per sé la partita della vita. Non è nemmeno il caso di parlare di cronaca raccontando la disfatta a Brindisi: la Happycasa vola sul velluto già dalle prime battute, raggiunge in breve la doppia cifra di vantaggio e non la mollerà più se non in sporadici quanto fugaci momenti durante i quali non dà letteralmente mai l’impressione di essere disposta a consegnare agli avversari l’inerzia dell’incontro. Nell’ultimo quarto, tipico esempio di garbage time di pessimo livello, irride addirittura i giocatori triestini, che continuano ad incocciare su una difesa per niente svagata o demotivata dal fatto di aver già matematicamente conquistato i playoff, senza apparente intenzione di reagire. Vitucci spinge i suoi a tenere costantemente pigiato il piede sull’acceleratore, forse una prova generale di un primo turno playoff nei quali dovrà affrontare Milano. Ma sono problemi che riguardano relativamente Trieste, evidentemente incapace di prendere esempio da approcci simili, di certo non per la prima volta in stagione. Se potessero, i biancorossi tornerebbero in spogliatoio al trentesimo ad assistere alle partite di Verona, Reggio Emilia e Scafati.
A festeggiare al quarantesimo sono squadre che, a differenza di Trieste, non hanno mai mollato di un millimetro, che ci hanno sempre creduto su ogni campo, che sono andate a cogliere risultati insperati in palazzetti considerati impossibili. Che se ne sono infischiate di roster più deboli, delle assenze, del calendario o della pressione dell’ambiente, non si sono rassegnate a posizioni in classifica pericolose o apparentemente compromesse. E che, alla fine, hanno tutto il diritto di celebrare una salvezza che Trieste, colpevole di non aver quasi mai tentato di adottare un simile atteggiamento, non avrebbe onestamente meritato.