(Photo Credit: photo-frame RaiSport)
La spiazzante scena andata in onda a reti unificate (perlomeno quelle della RAI dedicate alle Olimpiadi), con attrici protagoniste una nuotatrice diciannovenne che aveva appena concluso al quarto posto la finale parigina dei 100 m rana e le stupefatte commentatrici che ne raccoglievano sgomente la gioia nell’intervista post gara, è, senza mezzi termini, la sintesi puntuale di quell’ammasso di macerie che è la cultura dello sport nel Belpaese.
Succede che la giovane pugliese Benedetta Pilato, campionessa del Mondo e d’Europa nella sua specialità, dopo aver ottenuto il settimo tempo nelle batterie di qualificazione, risultato che la relega per la finale in una corsia laterale di difficilissima interpretazione, non ripeta l’exploit di Budapest nel 2022 e rimanga ai piedi del podio, peraltro sfiorato per un mezzo battito di ciglia, un singolo, maledetto centesimo di secondo che lei stessa, qualche minuto dopo, definirà “stronzo”. Un quarto posto forse inferiore alle attese ed alle sue possibilità, ma pur sempre un risultato che la colloca fra le migliori nuotatrici al mondo nella più importante manifestazione per ogni atleta, alla quale peraltro partecipa per la seconda volta in neanche vent’anni di vita. Non che a Benedetta non dispiaccia, beninteso. E’ in lacrime, ma in una sorta di schizofrenia adrenalinica (in fin dei conti deve ancora confrontarsi con i veri drammi della vita -tipo la tossicità della vittoria ad ogni costo- e poi all’indagatore occhio della telecamera deve ancora fare il callo) anche sorride, anzi ride proprio, trasmette gioia dagli occhi, e si avventura a dire che “è forse il giorno più bello della mia vita”. Certo che lo è, hai una carriera sportiva tutta davanti, sei una fra le migliori atlete del globo, avrai in futuro la possibilità di ritentare la conquista di una medaglia per altre tre, forse quattro volte, stai vivendo la tua miglior vita nel villaggio olimpico assieme alla meglio gioventù, dopo che hai lavorato per quattro anni per essere proprio lì dove sei adesso: ridi e gioisci quanto ti pare! Ma no. Apriti cielo. L’intervistatrice RAI Elisabetta Caporale, che potrebbe essere sua madre, dall’alto dei suoi numerosi allori olimpici la guarda stranita, glielo fa ripetere, “ma veramente?” “ma stai scherzando?”. Dallo studio, per rincarare la dose di solidarietà femminile e per dare una iniezione di empatia e puro spirito olimpico, Elisa Di Francisca, che a quanto pare qualche anno fa una medaglia d’oro nella scherma l’ha pure vinta, riesce a dare il meglio di sé: “Non ho capito niente, ci fa o ci è? Fate un’altra intervista per capire cosa voleva dire, con i sottotitoli. Sinceramente non l’ho capita. Ci è rimasta male, obiettivamente male. Non è possibile. Questa intervista è surreale. E’ assurdo, ma che ci è venuta a fare? Io rabbrividisco, dico solo questo”. Affermazioni che, come da prassi ormai consolidata nel Belpaese al fine di farsi perdonare qualunque atrocità, vengono poi stemperate da scuse tardive quanto prevedibili e dettate solamente dal sacrosanto shitstorm abbattutosi giustamente sulla dispensatrice di valore sportivo un tanto al chilo.
Non vogliamo nemmeno ricordare che, solo il giorno prima, una improvvida affermazione fortemente sessista pronunciata da un attempato commentatore della BBC, all’interno della stessa piscina, gli era era costata il licenziamento in tronco: certo una inopportuna battuta di cattivo gusto, ma evidentemente il sessismo, becero quanto si vuole, sta ben più in alto nell’ipocrita furia fustigatrice del politically correct rispetto alla totale mancanza di empatia, di solidarietà femminile, di istinto materno, di cultura sportiva. Su quella scala, in Italia, tali valori stanno ben più in basso, appena al di sopra dell’ignoranza, ormai assurta a valore da esibire con orgoglio anziché a sprone, magari, a leggere un libro in più.
Ma non è lo spessore umano delle commentatrici a lasciare sgomenti. O meglio, non solo. A lasciare un retrogusto amaro, un non so che di rancido, è piuttosto la consapevolezza che atteggiamenti di questo genere siano inconsapevolmente genuini perchè specchio esatto di quello che nel nostro Paese è diventato lo sport tout court: una ricerca spasmodica del risultato ad ogni costo ed a brevissimo termine, tramite lo sfruttamento intensivo dei pochi atleti considerati d’élite, potenzialmente in grado di raggiungere l’obiettivo, con il conseguente accantonamento, quando non il totale disinteresse, verso quei giovani e giovanissimi atleti che di talento ne hanno meno, ma abbondano, invece, di sogni, di passione, di motivazione, di voglia, di determinazione. O anche solo di semplice piacere nel giocare, nello stare con gli amici, nel far gruppo senza necessariamente puntare al n.1 dell’ATP. Da noi è totalmente assente la cultura della sconfitta, il suo potere formativo: da noi, o si vince subito (esponendosi peraltro ad invidia e conseguenti attacchi da parte di miserabili di ogni genere) o si viene letteralmente massacrati e dimenticati. Non è un flagello circoscritto al nuoto, ovviamente. Vale negli sport mainstream come in quelli “minori”: o sei eccellente, anche a livello basic o amatoriale, oppure vieni dimenticato. Con conseguente tasso di abbandono vicino all’80%, di cui poi gli sclerotizzati vertici dello sport italico fingono ipocritamente di soprendersi, come si sorprendono indignati per mancate qualificazioni a Mondiali o Olimpiadi di turno da parte di ragazzotti viziati e superpagati ma privi di fame, lontani dal puro piacere di gareggiare, di competere, di fare sport. L’esempio dei paesi anglosassoni è talmente radicato nella loro cultura di base da risultare non replicabile. La capacità di programmazione, investimento e diffusione, fin dal livello scolastico, in paesi storicamente simili a noi come la Spagna, invece, si fa finta di non conoscerli.
Per quanto riguarda, invece, le lacrime di gioia di una ragazzina sconfitta e delusa (che rimane comunque nell’élite dello sport mondiale, beninteso), ma ugualmente in estasi per il fatto stesso di vivere qualcosa che è più grande di lei, in barba allo sconcerto della reggitrice di microfono, sono anche le nostre lacrime di totale solidarietà e vicinanza, spirituale. Goditi la vita, Benedetta, ti invidiamo!