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Giovanissimi Under 15: Mini calciatore in ambulanza, urgono riflessioni nel mondo del calcio giovanile

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Minuto 34′ della partita Primorje-San Giovanni valida per la seconda fase del campionato Giovanissimi Under 15 provinciali, il risultato è di 3-2 per la formazione ospite e gli animi sono già molto tesi in campo. Su una palla innocua arrivata sulla tre quarti un giocatore rossonero viene falciato da un avversario che poi decide pure di dare una “passata” (non si sa se volontariamente o meno) con le scarpe su un braccio. Le grida del giocatore rossonero infortunato fanno pensare subito a qualcosa di molto grave tanto che si scatena una ressa attorno al giovanissimo arbitro, quattordici anni come i ventidue mini-protagonisti della sfida, all’esordio assoluto in una gara che probabilmente non scorderà per tutta la sua vita. Il giovanissimo direttore di gara, intimorito dall’accaduto, va in completa confusione: non sanziona il fallo ma estrae un “doppio cartellino giallo” al capitano del San Giovanni che aveva solamente cercato di intavolare un discorso con l’arbitro, senza epiteti offensivi né fare minaccioso. La partita viene quindi sospesa (solo un gentlemen’s agreement tra le società fissa il punteggio finale sul 3-2 per il San Giovanni) fino all’arrivo dell’ambulanza che trasporta lo sfortunato atleta all’Ospedale Infantile Burlo Garofalo: la diagnosi parla di frattura scomposta all’omero, ovvero un trauma che, se in certi casi intacca anche il sistema nervoso, può condizionare per sempre la vita e l’attività di una persona.

Ho trascritto integralmente questo episodio perché è ormai è una scena che si vede con troppa frequenza nei campionati giovanili. Arbitri inesperti, alle primissime gare se non all’esordio assoluto, vengono catapultati a dirigere sfide di propri quasi coetanei che assomigliano spesso più ad un rugby giocato con i piedi che al calcio vero e proprio. L’assillo per il risultato e la competizione ad ogni costo, specchio di una società sempre più parcellizzata, individualista e bulimica, dove conta solo apparire ed arrivare ad ogni costo, tende a sfociare spesso in comportamenti che sono da censurare sul terreno di gioco. Ovviamente di partite tese, con brutti episodio, anche a livello giovanile, ce ne sono sempre state ma erano casi comunque limitati e sporadici: ciò che preoccupa è l’altissima frequenza con la quale al giorno d’oggi, nel calcio giovanile, si susseguono certi spiacevoli episodi.

La colpa non può essere dell’arbitro, che è spesso un giovane agli esordi che viene messo a dirigere dei suoi coetanei (semmai bisognerebbe interrogarci sul come vengono formati ed addestrati i nostri fischietti, ma questo è un altro discorso…), non può essere dei ragazzi in campo che negli anni dell’adolescenza tendono per natura a vivere molto di alti e bassi eccedendo spesso sia nel bene che nel male (che però sono caratteristiche intrinseche ad ogni essere umano). La colpa non può essere delle società sportive che, specie a livello di campionati provinciali, per riuscire a mettere su un undici sono costrette a tesserare ragazzi prelevandoli “dalla strada” sostituendosi in questo caso all’opera che un tempo facevano organizzazioni benemerite come gli oratori e le parrocchie. Questa è una tendenza che, dopo la devastante pandemia Covid-19, che ha portato moltissimi ragazzi all’abbandono della pratica sportiva, negli ultime stagioni si è addirittura accentuata. Ormai le società, per mantenere le squadre della propria filiera giovanile, sono quasi “costrette” a tesserare chiunque passi in convento, anche ragazzi dalle qualità umane non eccelse, rissosi od antisportivi, provenienti da ambienti e percorsi famigliari difficoltosi.

La colpa è quindi solo ed esclusivamente di noi adulti: allenatori, dirigenti e genitori! Non ci rendiamo probabilmente conto di dare troppe pressioni e aspettative a ragazzi che stanno attraversando una fase delicata del loro percorso evolutivo, siamo superficiali nell’attribuire eccessiva importanza alle partite ed ad i risultati che, sia chiaro, non voglio ipocritamente dire che non contino nulla a livello giovanile (i ragazzi sono i primi a gioire per una vittoria!), ma che a quest’età non sono l’unico parametro da prendere in considerazione. Tendiamo infine a rispecchiarci nei ragazzi e nelle loro qualità che noi (allenatori, dirigenti e genitori) crediamo di possedere o di aver inculcato loro quasi con la “bacchetta magica”. Invece nel calcio giovanile il risultato deve sì contare, ma non deve essere l’unica cosa, l’allenatore od il dirigente deve essere un riferimento non solo tecnico ma anche morale ed umano e deve saper pervenire alla radice certi comportamenti “insani” dei propri mini atleti. L’agonismo, anche in queste categorie, è giusto se è sano e corretto, non se è sleale e vigliacco: un conto è il mondo degli adulti, con le sue numerose fallacie ed ipocrisie, un conto l’universo di chi un giorno lo diventerà. E se una società sportiva non crescerà un Messi, un Cristiano Ronaldo od uno Haaland almeno avrà contribuito ad educare un bravo cittadino del nostro mondo futuro.

Concludo dicendo che queste righe non sono un’accusa specifica a nessuno ma solo la triste constatazione di una brutta tendenza in voga nel nostro calcio giovanile. Io stesso, da tesserato ed istruttore del San Giovanni Calcio, cerco sempre di essere estremamente severo e giudice con me stesso ma allo stesso tempo di vedere con occhio critico anche le persone che mi sono più care, nel mondo del calcio e non solo. Solo con una presa di coscienza a livello collettivo si potrà risolvere, per il bene dei nostri ragazzi, problematiche di questo tipo che minano la crescita delle prossime generazioni.