PALLACANESTRO REGGIANA – PALLACANESTRO TRIESTE: 81-96
Pallacanestro Reggiana: Barford 9, Gallo n.e., Winston 22, Faye 13, Smith 7, Uglietti 7, Fainke n.e., Vitali 3, Faried 3, Grant 3, Chillo 6, Cheatham 8.
Allenatore: D. Priftis. Assistenti: F. Fucà, G. Di Paolo.
Pallacanestro Trieste: Obljubech n.e., Ross 16, Reyes, Deangeli (k), Uthoff 18, Ruzzier, Campogrande n.e., Candussi 10, Brown 22, Brooks 5, Johnson 11, Valentine 14.
Allenatore: J. Christian. Assistenti: F. Taccetti, F. Nanni, N. Schlitzer.
Progressivi: 13-30 / 33-51 // 58-76 / 81-96
Parziali: 13-30 / 20-21 // 25-25 / 23-20
Arbitri: Lo Guzzo, Bettini, Noce.
Alla fine, le parole di presentazione del match pronunciate in settimana da Jamion Christian, usualmente da interpretare come l’oracolo di Delfi, si svelano al quarantesimo di una partita che Trieste domina sotto tutti gli aspetti: quella sul parquet del PalaBigi, secondo la sua previsione, sarebbe infatti stata per i biancorossi una occasione da cogliere, da affrontare con la squadra finalmente, per la prima volta, al completo. Particolare, quest’ultimo, che fino alla palla a due pareva una utopia irrealizzabile, con Michele Ruzzier privo di allenamento in settimana con una caviglia malconcia e con le condizioni di Colbey Ross e Justin Reyes custodite in cassetta di sicurezza come la cartella clinica di Donald Trump. Ed invece, Trieste si presenta sul parquet emiliano in palla e baldanzosa, preparata come pochissime volte accaduto in precedenza e, finalmente, con la possibilità di distribuire minuti e responsabilità in modo equanime senza la necessità di spremere nessun giocatore minandone lucidità e tenuta atletica nei minuti decisivi. E, soprattutto, con la leggerezza di non doversi affidare necessariamente ed esclusivamente ai suoi go-to man designati, coloro che spesso in stagione erano riusciti a fare di necessità virtù rivelandosi match winner grazie alla loro classe debordante, ma che alla fine cominciavano a diventare prevedibili e, dunque, facilmente arginabili dalle difese avversarie. E’ per questo che la partita di Reggio Emilia poteva effettivamente essere considerata un’occasione: quella di godere del lusso di un’intera settimana di allenamenti utili per studiare l’avversario, sviscerare le (poche) falle della miglior difesa della Serie A, magari preparando soluzioni difensive che potessero ribaltare una possibile superiorità strategica emiliana nel pitturato. Di fronte, una squadra che di giorni (ed energie psico-fisiche) da dedicare al percorso di avvicinamento all’anticipo di campionato, seppur importantissimo contro una avversaria diretta in classifica, ne ha avuti appena due, dovendo oltretutto smaltire tossine e conseguenze fisiche della pur vittoriosa battaglia contro Bonn, che tolgono dai giochi fin dall’inizio il centro francese Stephane Gombauld, tenuto a riposo da coach Priftis. L’occasione a cui si riferiva l’oracolo, che tanto aveva acceso la fantasia nei giorni scorsi, era dunque proprio quella di poter approfittare di una situazione che gli consente finalmente di ruotare almeno 10 giocatori, disponendo in modo cinico della condizione fisica approssimativa degli avversari anche per ottenere il doppio premio dei due punti di vantaggio in classifica e del ribaltamento della differenza canestri, particolare quest’ultimo che proprio con queste due squadre protagoniste evoca sinistri ricordi.
Trieste ha fatto diligentemente i compiti, e si vede perfettamente già dalla prima palla a due. L’assenza di Gombould facilita il compito assieme al curioso quintetto iniziale schierato da Reggio Emilia con Chillo e Sasha Grant contemporaneamente in campo, ma gli uomini di Jamion Christian ci mettono abbondantemente del loro: sorprendono gli emiliani blindando in modo impenetrabile il pitturato, proprio lì dove si poteva temere maggiore sofferenza, sebbene Faye, Cheatam e Faried sembrino tutti possedere caratteristiche tecniche e fisiche perfette per mandare in confusione Jayce Johnson e Francesco Candussi. Ed invece, non accade mai nulla di tutto ciò: Reggio Emilia non riesce mai a servire i propri uomini sotto canestro, limitandosi a sterili attacchi affidati alle estemporanee quanto improduttive iniziative personali delle sue guardie americane dal perimetro, consentendo a Trieste di correre, correre come ama fare e come sapeva di dover fare per poter colpire Reggio Emilia utilizzando il gioco meno amato dagli uomini di Priftis. Ed infatti, fin da subito, la squadra giuliana approfitta della staticità offensiva avversaria concludendo in contropiede o in transizione secondaria sempre nei primi dieci secondi di azione, beneficiando di una prestazione da parte di Jarrod Uthoff che, se non avesse avuto così tanti spettatori dal vivo, parrebbe piuttosto quella di un giocatore da Playstation in modalità arcade: dieci minuti di onnipotenza inarrestabile, di intelligenza cestistica coniugata a tecnica, fluidità e naturalezza nei movimenti che frutta uno 0-10 già decisivo a 38 minuti dalla sirena finale. Da quel momento, infatti, il vantaggio biancorosso non scenderà mai più sotto la doppia cifra. Ice Man ne mette 18 in dieci minuti, con una percentuale immacolata al tiro, bottino realizzato battendo avversari in tre ruoli diversi. Evidentemente, a giudicare anche dalla sua prestazione nella partita d’andata, quella emiliana è per l’uomo di Iowa una specie di eccitante. Con il passare dei minuti e l’infruttuosità di ogni tentativo di rientrare, neutralizzato alternativamente da ottime difese o da reazioni in attacco uguali e contrarie da parte di Trieste, la squadra di casa perde progressivamente fiducia ed energia. I tre quarti che seguono, pur facendo registrare un sostanziale pareggio, sono inesorabilmente segnati dalla tramortente zampata iniziale, e rimandano agli ultimi due minuti il pathos per l’unico particolare che rimane ancora in bilico, la differenza canestri. Trieste, peraltro, messo a sedere Uthoff per preservarne la situazione falli, affida a rotazione ad altri protagonisti nel corso dei 30 minuti rimanenti il compito di tenere gli avversari in un angolo: nel terzo quarto, ad esempio, Markel Brown, dopo qualche partita di rodaggio conseguente al lungo stop di dicembre, torna a fare il vero Markel Brown, e sembra di rivedere l’Uthoff di inizio partita: infila una imponente sequenza da oltre l’arco dei 6,75, centrando pure un’azione da 4 punti, difende sempre piegato sulle gambe e mani addosso a Winston e e Barford, recupera palloni, penetra andando indisturbato al ferro dopo aver seminato il povero, impotente, Uglietti, che pur rimane un ottimo difensore.
Ed infine, quando a rimanere in bilico (grazie al massimo sforzo profuso dalla squadra di casa, che getta generosamente sul parquet ogni singolo atomo di energia residua) è solamente il +12, dopo 37 minuti positivi ma non eccellenti, sale in cattedra Colbey Ross, che infila prima un “and one” portando la sua squadra sul +15, e nell’azione successiva, dopo l’immediata tripla di Winston, centra un canestro da oltre l’arco che vale, con il definitivo +15, la vittoria nella vittoria.
Parlare dei singoli però, nonostante le esibizioni ben oltre l’eccellenza di Uthoff e Brown, sarebbe ingeneroso dinanzi ad una prestazione collettiva che pare la Filarmonica di Vienna che nel concerto di Capodanno esegue con il sorriso i walzer di Strauss. Ad esempio, l’ex solista Denzel Valentine, fino all’espulsione di Bologna un mangiapalloni indisciplinato sebbene geniale, si conferma vero uomo squadra, capace di catalizzare l’attenzione delle difese ed abile nell’approfittarne per pescare sempre il compagno libero, rinunciando a tiri che pur sarebbero nelle sue corde a favore della soluzione più semplice ed a più alta percentuale di successo. Limita le palle perse (lui che è il leader della “specialità” in LBA), cattura rimbalzi, piazza assist, finendo invariabilmente per festeggiare schitarrando davanti al settore ospiti al termine del match. Johnson e Candussi, con quest’ultimo che cresce anche come mentalità da killer di partita in partita, ribaltano in modo evidente la superiorità strategica sotto canestro, generando sfiducia nel giovane Faye, solitamente straripante se lasciato libero di fluttuare sopra il ferro (solo un alley up concesso, del resto battezzare un centro così verticale quando decolla può anche essere una scelta condivisibile), ma autore di errori banali ed ingenui evidentemente indotti dalla difesa. Giornata in pantofole, invece, per tutti gli altri. Michele Ruzzier rimane in campo solo 13 minuti, ma tutto sommato non c’era la necessità impellente di farlo giocare troppo sulla caviglia infortunata domenica scorsa: solita regia diligente ed intelligente per il play triestino, che come al solito si prende pochissime iniziative in attacco, completando la sua permanenza sul parquet senza tentare nemmeno un tiro. Jeff Brooks è più impreciso del solito, del resto si fa presto a risultare più imprecisi del solito se si viaggia al 75% di media. Dà comunque il suo contributo con 4 rimbalzi ed una tripla importantissima per rintuzzare un primo timido tentativo di rientro nel match da parte di Reggio Emilia. Justin Reyes appare ancora evidentemente indietro di condizione, non riesce a sbloccarsi da oltre l’arco nonostante un’ottima occasione in campo aperto e finisce con -14 di plus/minus. Fisicamente sembra in progresso rispetto a domenica scorsa contro Pistoia, soprattutto in difesa, ma per riaverlo al top, sempre che sia possibile, bisognerà probabilmente avere abbondante pazienza.
Unica nota negativa, che in una serata di grazia del genere risalta come un fulmine in una caverna, è la percentuale dalla lunetta, ancora una volta ben sotto il 70%: quando ottieni ben 22 tiri liberi, oltretutto in gran parte cercandoli scientemente tramite penetrazioni nel cuore del pitturato, sbagliarne 7 in una partita più equilibrata di quella in Emilia potrebbe rivelarsi l’ago della bilancia in negativo. Stupisce, oltretutto, che in questa specialità al contrario “eccellano” in modo trasversale un po’ tutti, i lunghi come le guardie. Non sappiamo se, con professionisti così esperti in una fase così avanzata della loro carriera sia possibile porre dei correttivi, e magari è solo un problema di concentrazione più che tecnico, ci limitiamo però a constatare come Trieste continui ad essere ultima in Serie A nella specifica voce statistica e ciò sorprende non poco. Per una volta la squadra triestina non domina a rimbalzo, ed anzi ne prende uno in meno degli avversari, concedendone ben 12 in attacco e rimanendo ben sotto la media di 39 rimbalzi a partita (sono 33 quelli catturati al PalaBigi). Peccato del resto veniale alla luce dei pochi errori al tiro. Per contro, gli uomini di Coach Christian perdono molti meno palloni rispetto al solito, rimanendo al di sotto dei 10 turnovers (9 per l’esattezza), segno di una partita attenta e diligente da parte dei portatori di palla. Ed inoltre, a conferma dell’ottima prova sotto canestro, Trieste rimane in media campionato per le stoppate date: i quattro blocchi “e mezzo” (una stoppata regolare di Johnson su Uglietti è stata sorprendentemente quanto erroneamente considerata irregolare) sono il risultato dell’atteggiamento intimidatorio che è riuscito a domare acrobati come Faye e Faried.
Al di là dei numeri, ciò che più colpisce è che la Pallacanestro Trieste sia ormai talmente matura da cogliere prepotentemente l’occasione preannunciata dal suo coach, portando a casa con grandissima personalità la sesta vittoria in trasferta in stagione e smettendo definitivamente i panni dell’outsider neopromossa per vestire quelli della squadra temuta e rispettata, dall’alto dei suoi venti punti in classifica. La squadra giuliana è ora decisamente più vicina alla vetta rispetto a quanto lo sia dal nono posto, ed in questo senso aiuta la vittoria di Trento su Treviso nel secondo anticipo del sabato, che lascia la squadra della Marca a 14 punti. Domenica è previsto lo scontro al Taliercio fra Venezia e Milano, che in caso di vittoria dei campioni d’Italia porterebbe a sei il margine di sicurezza in classifica, consentendo alla squadra rossoalabardata di potersi dedicare anima e corpo per una settimana intera alla preparazione della prossima trasferta al Forum di Assago, con la leggerezza e la consapevolezza di chi sa che qualunque impresa, giocando così, è alla portata. Domenica prossima si prevede l’ennesimo esodo del Red Wall: in città è finalmente -e definitivamente- tornata la basket mania.