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Dal fondo si può solo risalire

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Certo, sì può risalire a patto che il fondo sia stato effettivamente toccato e che ci sia la volontà di farlo. Perchè, a giudicare non tanto dal risultato, ma piuttosto dal linguaggio del corpo esibito da almeno otto decimi della sgangherata squadra presa a pallonate nel cantiere vicino Velletri che ospita le gesta non propriamente entusiasmanti della Cenerentola locale, sembrerebbe proprio che l’ipogeo dell’abisso non sia stato ancora toccato: squadra sfilacciata e priva di un anima, slegata sul parquet e lontana dalla panchina. Giocatori che lamentano un male oscuro che impedisce loro di scendere in campo anche quando la società annuncia urbi et orbi il loro reintegro. Altri giocatori che entrano in campo forse acciaccati, comunque sfiniti dopo pochi minuti: non è dato sapere se la prestazione di Eli Brooks, statisticamente imbarazzante, sia generata dalla serata no (peraltro comune a tutti i compagni) o da un malanno fisico, oppure sia causata anche dall’iper utilizzo, sempre superiore ai 35 minuti, cui è costretto per la riduzione a 7 delle rotazioni effettivamente utilizzate da un paio di mesi a questa parte. Come lui, mostra fisicamente la corda anche Ariel Filloy dopo un paio di partite decenti, ricade nell’anonimato Ruzzier, lo stesso Vildera, mvp incontrastato per rendimento ed atteggiamento, tende a dare il suo meglio nella prima metà delle partite, scendendo clamorosamente di giri con il progresso dei minuti in campo. Affanno fisico che si traduce in assenza di lucidità, imprecisione, fase difensiva assente o poco organizzata battuta anche da ragazzotti dal talento appena sufficiente a partire dalla panchina in squadre di bassa classifica in A2, ma dalla volontà e dall’amor proprio incrollabili. Tutti aspetti che si trasformano in sconfitte, e quindi in un circolo vizioso di frustrazione ed ansia, delusione e nervosismo, desiderio impotente di rivalsa e scoramento, e dunque in altre sconfitte. Siccome la tendenza pare andare nel senso opposto al raggiungimento della messa a punto del motore fisico, tecnico e mentale prima dei playoff, non c’è affatto da stare tranquilli sul fatto che non si possano toccare ulteriori ed inesplorati momenti di down. Anche l’ormai prossimo reintegro di Justin Reyes, il cui infortunio ha di fatto affossato l’intera stagione, non potrà da solo invertire il trend: dando per scontata la guarigione completa del ginocchio, sono tutti da verificare la forma fisica ed i tempi di ripresa del ritmo partita dopo due mesi di fermo forzato, che per un giocatore chiamato a ricoprire almeno tre ruoli diventano particolari imprescindibili. E poi, in questi due mesi i già fragili equilibri raggiunti fino al maledetto derby perso al Carnera si sono liquefatti davanti alla necessità di creare una staffetta che possa riprodurre rendimento e gioco intimidatorio per gli avversari, oltre che numeri, di cui la squadra è rimasta orfana in assenza del portoricano: l’evidente assenza di uomini in grado di farlo ha chiamato all’iper utilizzo pochi veterani ed all’accantonamento di fatto almeno tre decimi di squadra. Il solo rientro del buon Justin, in tal senso, non avrà certamente un effetto taumaturgico.

E dunque, se vi è ancora l’effettiva intenzione di provare a spremere qualcosa di buono da questa disgraziata stagione, diventa imprescindibile la seconda metà del paradigma: la volontà di uscire dall’impasse. Posto che nessuno fra squadra e società possa trovarsi a suo agio assediato da tifosi e social, stampa ed avversari, in ostaggio di una situazione ambientale da subito ostica e peggiorata settimana dopo settimana, è tutta da verificare la forza interiore della squadra attuale, è tutta da verificare anche la riserva di energia che rimane nelle gambe e nella testa di giocatori che sembrano esauriti, e comunque c’è da chiedersi se forza ed energia residue siano ancora sufficienti per rialzarsi da soli. In attesa di tale verifica, è evidente, perlomeno da fuori, che per uscirne la squadra abbia indispensabile bisogno di un profondo maquillage. Posto che si arriverà alla fine (almeno) di questa stagione con Jamion Christian ben saldo in sella, senza l’arrivo di uno, o meglio due italiani di peso è probabile che l’avventura nei tanto attesi playoff possa durare l’arco di tre partite, sweep che sarebbe oltretutto raccolto come una liberazione un po’ da tutti. Il presidente De Meo, nel suo stringato comunicato utile più che altro a battere un colpo per ricordare a tutti che CSG c’è e rimane a medio lungo termine, afferma che la società è vigile sul mercato. Però, nonostante l’intervento sia reclamato a gran voce un po’ da tutti e non ci sia dubbio che si stia provando a realizzarlo, tale volontà si scontra con la realtà dei fatti: è indispensabile trovare elementi in grado, per talento ed esperienza, di essere determinanti da subito. Per farlo, è necessario sbaragliare la concorrenza dei club più potenti e ricchi della categoria, in caccia esattamente come Trieste, e deliberare un deciso extra budget. Ma, anche ammettendo che si riesca a farlo, tali giocatori bisogna trovarli e convincerli a sposare una causa difficilissima in una categoria con pochissime attrattive e visibilità quasi nulla: i giocatori attualmente in Serie A, anche disponendo di scarso minutaggio nelle rispettive squadre, hanno la legittima aspirazione di rimanere nel massimo campionato. In più, attualmente tutti i club di A sono ancora alla spasmodica rincorsa dei rispettivi obiettivi stagionali, chi la salvezza, chi i playoff. Pensare che possano rinunciare a cuor leggero anche a un solo componente del roster prima di avere la sicurezza di averli raggiunti è pura utopia, senza contare il fatto che sposare una causa come quella triestina, attualmente ad alta probabilità di fallimento, non è esattamente il biglietto da visita migliore per rilanciarsi in vista della prossima stagione, a meno di offrire loro un ruolo centrale in un progetto a medio termine. Certo, ci sono la credibilità e le conoscenze nell’ambiente di Michael Arcieri, pesantemente criticato in città per l’apparente stasi gestionale e colpevole agli occhi di molti di difendere la posizione di un coach a tratti indifendibile, ma in verità molto attivo ed esperto nell’attività di scouting. Sul fatto, però, che la sua figura possa di per sé stesso costituire una garanzia da chi dovrebbe decidere di venire all’ombra di San Giusto a giocarsi la carriera, è tutto da vedere. Lo stesso discorso vale per i comunitari, pertanto è probabile che qualche arrivo possa avvenire ben dopo la pausa per la Coppa Italia, molto più a ridosso dell’inizio dei playoff. In altre parole, a meno di clamorose sorprese, sarà necessario armarsi di santa pazienza.

Come se i rovesci strettamente sportivi non fossero sufficienti, ora ci si mette anche qualche maldestro dirigente a peggiorare ulteriormente l’immagine del club. La querelle legata al ricorso pasticciato dopo la sconfitta con Latina, però, sembra più frutto di errata comunicazione (che novità…) che di effettivo tentativo di ribaltare un risultato sacrosanto. Ovviamente in questo momento non ci voleva, perchè aggiunge scintille ad una polveriera pronta ad esplodere. Però, a quanto sembra, l’episodio va ridimensionato all’intento di comunicare alla Federazione le pesanti mancanze del nuovo impianto laziale, dagli spogliatoi chiusi all’assenza dei segnalatori di secondi e punteggio in campo. Esattamente come altre squadre avrebbero fatto nei confronti dell’impianto triestino in situazioni analoghe. Nessuna speranza di venire accolto nemmeno nel caso si fossero rispettati modi e tempi, mera verbalizzazione di una situazione impiantistica carente. Registrata la figuraccia, è però tempo di andare oltre e tornare a pensare ai problemi veri.

Veri quanto la presa di posizione piuttosto tranchant della Curva Nord, arrivata subito dopo il comunicato del Presidente. La sconfitta contro l’ultima in classifica, ed ancor di più il modo inaccettabile in cui è arrivata, ha alla fine fatto traboccare il vaso della pazienza dei tifosi organizzati. I quali, investendo molto tempo e molti soldi per percorrere centinaia di chilometri ogni due settimane per venire ripagati non certo con la stessa moneta, vanno considerati veri e propri stake holders, ed hanno tutto il diritto di perderla, la pazienza. La forma di protesta decisa consiste nell’entrata in curva a partire dal secondo quarto, e da quel momento canti e cori prevedibilmente derisori ma anche insulti ed attacchi a chi si macchierà di scarso impegno o poca convinzione. Tutto sommato, una contestazione anche garbata rispetto a quanto succede ad altre latitudini (ed anche longitudini), anche se c’è da chiedersi chi ci guadagni a questo punto della stagione. Delusione e risentimento sono reazioni umane, il dissenso è un diritto, i fischi, quando meritati, quasi un dovere. Abbandonare la nave quando potrebbe ancora evitare di affondare è però un esercizio autolesionistico. In fin dei conti, è in arrivo una lunga post season in cui ci sarà tutto il tempo per fare i conti con i risultati ed i responsabili degli stessi. E poi, c’è già la disaffezione di gran parte del pubblico, anche di qualche abbonato, che ha di fatto svuotato le tribune del Palatrieste: una punizione già di per sé stesso pesante e molto indicativa.