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Complotti fantastici e dove trovarli

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Pensavamo, anzi speravamo caldamente di essercene liberati con la fine della pandemia. Oddio, già da qualche anno l’apparizione di gai personaggi intimamente convinti che la terra fosse perfettamente piatta, con l’acqua degli oceani che tracima dal bordo verso il vuoto dell’universo, avrebbe dovuto metterci in guardia sulle potenzialità obnubilanti di qualche secondo di corso universitario su Tik Tok, ma pensare che il dilagare così capillare delle più disparate (disperate?) teorie complottistiche al grido del “non cielo dicono” o del ben più nostrano “a mi noi me la cazza” supera di gran lunga ogni nostro più nefasto presagio.

E così, dopo una stagione cestistica trascorsa ad incassare fantasiosi stipendi dalla società ogniqualvolta pubblicavamo un articolo od un post possibilista nei confronti del coach o del club, ed a venire descritti come servile cassa di risonanza del GM e dei suoi messaggeri, teorie capaci più che altro di provocare in noi un distratto quanto divertito sorriso, ci tocca assistere all’immancabile (ma del tutto evitabile, specie alla vigilia di una finale promozione) teoria del complotto, che stavolta si spinge a raccontare di un segretissimo ammutinamento nello spogliatoio della Pallacanestro Trieste dopo la sconfitta interna con l’Urania Milano, con la presa di potere da parte dei “senatori” e l’accantonamento del coach Jamion Christian, imbavagliato ed appeso al pennone più alto del vapore, e la riduzione in schiavitù dei due assistenti, a cui viene concesso solo di eseguire gli ordini di Filloy, Ruzzier, Ferrero e chissà chi altro. Il tutto, naturalmente, con l’avallo (non si sa se complice, indifferente od impotente) dei vertici societari. In pratica, i giocatori avrebbero imposto i loro metodi di allenamento ed i loro piani partita, spingendosi a chiamare i time out e dettare il ritmo delle rotazioni. Questo spiegherebbe il repentino cambio di rotta nell’atteggiamento tenuto in campo dalla squadra, capace di cambiare ritmo e risultati nel momento stesso in cui iniziarono i playoff un paio di settimane dopo la congiura del Senato.

Del resto, è anche comprensibile. Ogniqualvolta l’umanità si è trovata di fronte a fenomeni apparentemente inspiegabili, ovvero spiegabilissimi tramite il metodo scientifico ma magici alla luce delle scarse conoscenze a disposizione dell’uomo medio, si è sempre gridato al soprannaturale, al divino, alle trame nascoste e sotterranee di entità che hanno l’obiettivo di governare le nostre menti. E così, qualche voce incontrollata sussurrata dal passaparola aziendale, immancabile ed instancabile, si è amplificata distorcendosi ed arrivando a descrivere una situazione nel gruppo squadra che, invece che “terra piatta”, “moltiplicazione dei pani e dei pesci”, “Spectre”, viene definita “autogestione”. A supporto della tesi viene portato un testo apparso sul quotidiano locale, in verità un articolo estremamente chiaro ed equilibrato, dotato di molta meno dietrologia di quanta chi vorrebbe leggerne significati reconditi vorrebbe trovarne. Insomma, il nuovo testo dell’Apocalisse, che però descrive una situazione piuttosto comune e diffusa nel mondo dello sport anche ad alti livelli.

Che l’argomento coach sia stato divisivo nel corso dell’intera stagione, fin dalla sua firma nell’agosto 2023 è cosa evidente, financo prevedibile ed anche giustificabile. Che non si ritenga di dover per forza rendere l’onore delle armi a finale conquistata (peraltro a missione ancora incompiuta) ricercando qualunque spiegazione alla rinascita del gioco e dei risultati tranne i progressi da parte del coach nella metabolizzazione del mondo professionale nel quale è stato catapultato, tutto sommato possiamo anche accettarlo, sebbene riteniamo la coerenza perseguita con cocciutaggine talebana un difetto piuttosto che una virtù.

Però è sorprendente non comprendere come il dialogo all’interno dello spogliatoio sia in verità ciò che viene scambiato per ammutinamento. Del resto tutti i giocatori, ma proprio tutti, nel corso dell’anno si sono sempre detti piacevolmente sorpresi dalla capacità del coach di ascoltarli, far tesoro delle loro osservazioni, suggerire ed ascoltare suggerimenti, in un processo di crescita reciproca e, alla fine, del rendimento della squadra. Debolezza? Forse, se rapportata al tanto osannato pugno di ferro monodirezionale usato da allenatori come Caja o Repesa, che qualche risultato lo hanno raggiunto ma hanno anche cambiato una squadra a stagione, quando riuscivano a completarla. Quello di Christian è, forse, un modo poco consueto di proporsi, forse destabilizzante, alla lunga virtuoso. Vincente, ancora non lo sappiamo.

E comunque: quale si pensa sia il motivo per il quale furono scelti giocatori come Filloy o Ferrero? Per la loro dinamicità? Per la loro freschezza atletica? Per la loro capacità di attaccare l’avversario e batterlo nell’uno contro uno? E’ evidente che questo genere di persone, prima che atleti, siano arrivati a Trieste con un compito diverso, quello di essere in campo ed in spogliatoio la longa manus del coach, quello di dare la direzione tecnica e morale ai compagni, quello di prendersi le responsabilità più gravose in campo ed in spogliatoio, quello di ergersi a barriera morale davanti allo tsunami di disprezzo abbattutosi sulla squadra ad inizio 2024. E sì, anche quello di confrontarsi, dialogare e suggerire all’allenatore soluzioni e strategie, in una situazione, quella dei playoff di A2 in Italia su campi difficili anche dal punto di vista ambientale (pure quello di casa), che loro hanno vissuto millemila volte nel corso della carriera ma che per un rookie a queste latitudini può risultare impattante anche dal punto di vista umano.

Che facesse proprio tutto parte di un piano preciso sembra oggettivamente difficile da sostenere. Ma che la squadra sia stata costruita in funzione del coach e del percorso che entrambi avrebbero dovuto percorrere senza fretta e senza ansie può certamente far parte di una strategia di massima, una strategia che oggi porta a scambiare l’insperata e repentina impennata nella credibilità della squadra come frutto di una sanguinosa rivoluzione. Una rivoluzione che non celadicono.