In questo secondo contributo cercheremo invece di comprendere, analizzando i pochi filmati reperibili in rete (grazie al canale Youtube Mister Bazzara) sulla stagione 2000/01, come giocavano agli inizi del nuovo millennio le nostre squadre dilettantistiche dal punto di vista sia tecnico che tattico; in questo modo potremo delineare un quadro su quanto il calcio odierno sia cambiato (e come è cambiato) rispetto a quello che si giocava alle nostre latitudini ormai quasi venticinque anni fa.
Gli aspetti tecnici e tattici
Prima di comporre un’analisi dettagliata sulle caratteristiche tecnico-tattiche delle nostre principali squadre dilettantistiche “visionabili” occorre fare una piccola disgressione su come si è evoluto il nostro calcio nel corso dei decenni. Fino alla fine degli Anni Ottanta infatti nel calcio italiano non esisteva una tattica di gioco organica: le squadre occupavano il campo in lunghezza ed in ampiezza, si giocava rigorosamente a coppie uomo contro uomo con il libero che stazionava bello staccato davanti al proprio portiere. Concetti come pressing, raddoppi di marcatura, diagonali difensive, elastico difensivo erano ancora semplicemente impensabili tra i professionisti, figuriamoci nei dilettanti.
Le cose sono incominciavano a cambiare tra il finire degli Anni Ottanta e gli inizi degli Anni Novanta. Per effetto della rivoluzione sacchiana, erano avvenuti principalmente tre cambiamenti nel calcio italiano: in primo luogo, per effetto del sacchismo, gli schemi di gioco erano diventati per la prima volta organici e simmetrici, erano nati quindi i sistemi di gioco (il 4-4-2, il 4-3-3, il 3-5-2, eccetera) che in precedenza non esistevano in quanto il riferimento principale dei giocatori restava il proprio avversario diretto e non la zona di campo da occupare. In secondo luogo i ritmi di gioco si erano alzati, fino a diventare un tantino monotoni, con le traiettorie della palla che incominciavano a farsi più lunghe e profonde in quanto il fulcro del gioco si era spostato verso il centrocampo che, dopo Sacchi, era diventato il cuore pulsante del gioco. In precedenza, infatti, giocando uomo contro uomo il centrocampo quasi non esisteva nelle squadre italiane. In terzo luogo in difesa si passava progressivamente dalla marcatura a uomo, con il libero staccato, a quella a zona con i difensori schierati in linea.
Come aveva reagito il calcio dilettantistico nostrano a tutta questa serie di cambiamenti agli albori degli Anni Duemila? Visionando tre sintesi delle partite del Ponziana, che allora venivano trasmesse su Telequattro, ovvero Muggia – Ponziana, Ponziana – San Sergio e Latte Carso – Ponziana (match rispettivamente della quarta, settima ed ottava giornata del campionato di Promozione girone B 2000/01), possiamo farci alcune idee a riguardo. Innanzitutto partiamo dicendo che da quanto emerso nei filmati si può notare come il calcio dilettantistico triestino su alcuni aspetti era rimasto abbastanza conservatore: tutte e quattro le squadre infatti si schieravano con il 3-5-2 o meglio con un 3-4-1-2 dove il trequartista, il numero dieci, aveva grande importanza nell’economia del gioco. In difesa si marcava ancora a uomo con la retroguardia che veniva sempre chiusa dal libero, rispetto al decennio precedente però il centrocampo prevedeva molta più densità con uno dei due terzini (spesso quello sinistro) che era stato avanzato definitivamente sulla linea di centrocampo mentre in attacco era stata tagliata definitivamente l’ala destra, sostituita a centrocampo da un cursore di sostanza, più diligente nell’interpretare le due fasi di gioco. In attacco restavano così due punte, una prima punta di peso ed una più guizzante ed abile a giocare negli spazi, che occupavano in senso orizzontale gli spazi della zona offensiva.
PORTIERI: dal punto di vista del gioco si potevano notare senza dubbio grandi differenze con il calcio di oggi. Partiamo dai portieri, Trieste aveva già allora una buona scuola di numeri uno (citiamo Ferluga del San Luigi, Messina del San Giovanni, Gherbaz del Ponziana, Daris del Muggia), tutti tecnicamente ben impostati ed eleganti, ma non ancora completamente a loro agio nel giocare con i piedi (il cambiamento della regola sul retropassaggio era avvenuto relativamente da pochi anni, nel 1992), addirittura i calci di rinvio venivano ancora in alcune circostanze battute dal libero che poi doveva farsi venti metri di corsa per allinearsi con i compagni.
DIFESA: per quanto riguarda la difesa, come abbiamo detto tutte le compagini triestine “visionabili” nelle sintesi giocavano ancora con il libero che, anche se non stazionava staccato come negli Anni Ottanta, agiva ancora in seconda battuta giocando qualche passo dietro ai marcatori. Il libero era spesso il giocatore più carismatico od esperto della squadra (basti pensare a figure come Pocecco del San Luigi, Sclaunich del Muggia, Ardizzon del San Giovanni, Pribaz del Ponziana, il San Sergio in questo ruolo schierava addirittura l’ex nazionale sloveno Tosic).
Le due punte avversarie venivano prese a uomo rispettivamente dallo stopper e dal terzino rimasto bloccato in difesa (spesso quello destro), le marcature erano serrate e soprattutto negli ultimi sedici metri asfissianti dove i duelli venivano quasi sempre vinti dai difensori, con le buone o con le brutte maniere. Possiamo dire che anche sui campi della nostra provincia oggi le difese, più organizzate a livello di movimenti collettivi, hanno perso completamente l’abitudine a giocare di contatto, concedono un sacco di gol in più negli ultimi sedici metri.
Per quanto riguarda la fase di possesso nelle zone basse del campo invece, nei primi Anni Duemila le nostre squadre ovviamente non costruivano mai dal basso, veniva appena accennato un po’ di giro palla con il terzo passaggio che era quasi sempre rivolto alla profondità. Anche nel caso di palloni vaganti i nostri difensori non si vergognavano a spazzare la palla alla bell’e meglio, anche buttando la sfera in fallo laterale. I difensori delle squadre dilettantistiche odierne invece, cercano molto più spesso di costruire il gioco, anche se spesso con risultati tutt’altro che apprezzabili.
CENTROCAMPO: per quanto riguarda il folto settore di centrocampo, le compagini nostrane prediligevano sempre la classica coppia regista-incontrista (Tognon-Lotti del San Sergio era forse quella più rappresentativa), con il centrocampo a cinque in linea schierato dalle nostre squadre dilettantistiche c’era molto affollamento in mezzo al campo con la cucitura del gioco tra centrocampo ed attacco che passava spesso attraverso i piedi del trequartista, del numero dieci. E nel calcio dilettantistico di quel periodo c’erano tantissimi grandi numeri dieci triestini: Giorgi del San Luigi, Frontali del Ponziana, Bussani del San Sergio, Ferrarese del Latte Carso (solo per fare dei nomi). Un ruolo quello, del numero dieci, che anche nella nella nostra provincia oggi è quasi scomparso o si è riciclato come perno basso del centrocampo (esemplare, per fare un nome, il caso di Grujic del San Luigi).
Osservando invece il modo di “giocare” dei centrocampisti dei primi Anni Duemila si può notare che prediligessero giocare la palla in velocità, con giocate quasi sempre verticali, che spesso però finivano preda delle difese avversarie. Sembra quasi che la palla scottasse sui piedi dei nostri mediani ma non per mancanza di fondamentali, ma piuttosto perché la fase di non possesso venticinque anni fa era molto meno curata e ricercata e perché, per effetto del sacchismo, il settore centrale del campo era diventato molto simile ad una tonnara. Oggi, per effetto della rivoluzione guardioliana, anche le squadre dilettanti più raffazzonate, tendono ad essere più precise nel fraseggio palla a terra. Da un gioco di lanci nello spazio (come era negli Anni Novanta) il calcio si è evoluto in un gioco fatto di passaggi, da un gioco verticale e frenetico si è passati ad un gioco quindi molto più orizzontale e ragionato.
ATTACCO: veniamo all’attacco, tutte le nostre squadre dilettanti dei primi Anni Duemila giocavano con le classiche due punte: una statica di peso e l’altra più brevilinea ed agile. Gli esempi sono tanti: Leone-Ceremelj nel San Luigi, Sau-Fantina nello Zarja, Di Donato-Zugna nel San Sergio, Buono-Butti nel Ponziana, Canelli-Nasser (uno dei primi giocatori di colore a giocare nei nostri campi dilettantistici) nel San Giovanni, Longo-Vigliani nel Muggia. Un parco d’attaccanti quindi in cui c’era veramente l’imbarazzo della scelta visto i numerosi attaccanti di valore presenti nelle nostre compagini.
Le due punte, assieme al trequartista, erano infatti i giocatori che erano maggiormente favoriti dal tipo di gioco che si praticava nel calcio italiano nei primi Anni Duemila. Gli uomini del reparto offensivo in fase di possesso, infatti, non si avvicinavano mai al centrocampo ma dovevano semplicemente allungare la difesa avversaria e partire verticalmente in profondità oppure allargarsi per ricevere un lancio sulle fasce laterali, occupando quindi il settore offensivo in ampiezza. In frequenti situazioni di uno contro uno, gli spunti in solitaria delle due punte erano quasi sempre determinanti a creare la superiorità numerica e situazioni di gioco molto pericolose per le retroguardie avversarie.
Sta proprio in questo la differenza enorme tra il calcio di oggi e quello di venticinque anni fa: nelle partite odierne infatti, anche nei nostri dilettanti, si può vedere che le giocate offensive sono molto più codificate e canonizzate, ci sono molti meno uno contro uno in attacco anche perché non esistono più le grandi punte ed i grandi numeri dieci che erano il pane quotidiano del calcio triestino dei primi Anni Duemila. A molte squadre odierne basta avere un solo attaccante di razza per poter coltivare sogni di gloria, venticinque anni fa spesso non serviva la presenza di due attaccanti di valore per raggiungere l’obiettivo minimo, la salvezza.
I CAMPI DA GIOCO: un’ultima osservazione va riservata ai terreni di gioco: nei primi Anni Duemila i campi della provincia di Trieste erano reputati (a ragione) i peggiori della regione perché, con l’eccezione dei campi da gioco del carso (Sistiana, Basovizza, Trebiciano) che erano erbosi, tutti gli altri campi cittadini, anche quelli appena costruiti come il Ferrini di Ponziana, erano rigorosamente in terra battuta. Quando pioveva questi terreni si trasformavano in veri e propri pantani mentre quando soffiava la bora la sabbia entrava spesso negli occhi dei poveri giocatori. I giocatori friulani ed isontini, abituati a giocare su manti erbosi, erano quelli che pativano maggiormente giocare sui nostri campi dove si era soliti un calcio molto più veloce per effetto del diverso rimbalzo della palla.
In definitiva era meglio il calcio triestino dei primissimi Anni Duemila o quello attuale? Difficile dare una risposta: il nostro movimento dilettantistico è cresciuto enormemente dal punto di vista tattico, le nostre squadre praticano in media un gioco più fluido ed organizzato, però la qualità media dei giocatori (soprattutto difensori, centrocampisti offensivi ed attaccanti) è scesa tantissimo.
Gli schieramenti
I video
(Fine 2a ed ultima puntata)