Sì certo. ESOF. Il Porto Vecchio, il campus scolastico di via Rossetti. I nuovi alberghi, il progetto di riqualificaizione della Fiera, Piazza Unità agghindata a festa che calamita di turisti. E poi la Sissa, il Sincrotrone. Trieste è un’eccellenza protesa verso il futuro, è l’ombelico del nuovo mondo globalizzato, un gioiello di efficienza che giustamente sale alle cronache della stampa internanzionale come uno dei posti in cui investire le proprie finanze.
Ed invece… invece succede che, smesso lo scintillante abito da autoproclamata capitale, finito di scimmiottare metropoli dalle quali Trieste può solo invidiare da lontano la propensione e la permeabilità al cambiamento, questa città ripiomba nel suo piccolo provincialismo da cittadina di periferia, l’afflato progressista rimane vittima di farraginose procedure burocratiche e delle ancora più farraginose e colpevoli beghe di palazzo, della ottusità conservatrice di molti (non tutti) dei suoi amministratori, della sonnacchiosa e comoda accidia di gran parte dei suoi abitanti.
Succede che, come peraltro era ben noto da mesi, il 31 gennaio scadeva la convenzione fra UTI Giuliana (evoluzione istituzionale di quella che fu la Provincia di Trieste) e la ADP Tergestina, in pratica l’accordo di gestione che permetteva a decine di società sportive triestine di utilizzare le 14 palestre delle scuole superiori cittadine. L’accordo, per motivi non chiari ed oggetto in queste ore del prevedibile e consueto scaricabarile, non è stato rinnovato. Tradotto in numeri, sono centinaia i bambini, ragazzi ed adulti affiliati soprattutto (ma non solo) a società di pallavolo e pallacanestro, sport fra i più praticati città, che da oggi non hanno più la possibilità di allenarsi e di disputare le partite dei campionati in corso nelle palestre che fin qui hanno utilizzato.
Non che la situazione ambientale di tali spazi fosse fino a ieri particolarmente brillante: le palestre mancano quasi completamente di manutenzione ordinaria e straordinaria, in molti casi sono fatiscenti ed in qualche caso cadono letteralemente a pezzi. Quasi ovunque non è agibile la zona riservata agli spettatori, l’illuminazione latita, il riscaldamento va e viene così come le caldaie per l’acqua calda nelle docce, i calcinacci sul parquet non sono certo un evento raro. Ciò nonostante costituiscono linfa vitale per chi con passione, ma dovendo affrontare difficoltà ed ostacoli di ogni tipo, insiste nel masochistico tentativo di fare sport a Trieste.
Si moltiplicano da giorni le prese di posizione, i chiarimenti istituzionali, i distinguo fra uffici amministrativi, i pianti di dolore su stampa e canali social di associazioni sportive (che subiranno prevedibilmente una bastonata sulle già asfittiche casse sociali) e di praticanti di ogni età. Non entreremo nel merito tecnico di una questione che è oggetto in queste ore di febbrili consultazioni e di incontri al vertice, e sperabilmente si ridurrà a qualche giorno di stop ed il reperimento di nuovi interlocutori, che comunque non impedirà il rinvio di decine e decine di partite programmate nel weekend. Non intendiamo nemmeno prendere posizione sulla vicenda, che presenta pecche ed errori da entrambe le parti, peraltro accomunate dall’imperdonabile ritardo con il quale si sono poste il problema. Non ci lanceremo nemmeno nell’abusato discorso sulla totale latitanza di cultura dello sport in questo Paese.
Ciò che è evidente, però, è che oggi tocca proprio allo sport subire la miopia della burocrazia locale, con buona pace di chi crede ancora con ottimismo nelle possibilità di questa città di scrollarsi di dosso decenni di sonno.