Photo Credit: Luca Tedeschi – Sito ufficiale Pallacanestro Trieste
Ci si aspettava una reazione d’orgoglio dopo la tonnara siciliana, ed una reazione che assomiglia più a una ribellione ad un possibile momento di down atletico e mentale conseguente all’evidente impossibilità di continuare a far fronte solamente con l’energia e la forza di volontà alle continue e penalizzanti assenze è puntualmente arrivata, in campo e su spalti affollati da 6000 indemoniati ben decisi a gettare ogni difficoltà alle spalle, fondendosi con la loro squadra nella consueta comunione laica. Non che il cliente in questo anticipo di ventitreesima giornata fosse fra i più comodi per ricominciare a correre: anche la Virtus, infatti, arrivava a Trieste ferita dopo l’inaspettata sconfitta sul campo dell’ultima in classifica di domenica scorsa e la ben più prevedibile, ennesima, imbarcata in Eurolega contro Tel Aviv, le sfuriate in spogliatoio di un sempre più frustrato Dusko Ivanovic e le inevitabili, inedite polemiche (che ora somigliano da vicino ad un’aperta contestazione) di un ambiente troppo abituato a ben altri rendimenti. E dunque anche Bologna aveva moltissimo da farsi perdonare, con molti giocatori decisi a gettare sul campo, in un palcoscenico peraltro prestigioso per ambiente, seguito, risonanza ed entusiasmo, tutti gli attributi e la determinazione nel voler tornare ad essere l’altra metà di uno status quo dominante in Italia che dura ormai da troppo tempo ma che mai come quest’anno rischia seriamente di abdicare.
Coach Christian può nuovamente contare, per cominciare, sulla dose di imprevedibile ma lucida follia del suo barbuto 45, ed almeno un lembo della sua coperta di Linus torna a permettergli di dormire sonni tranquilli. Per il resto della coperta, quel Colbey Ross a cui ama affidarsi quando la partita si fa dura e che è assente ormai da quasi due mesi (sebbene la consolidata affidabilità di Michele Ruzzier potrebbe far vacillare le sue certezze), sarà necessario attendere ancora un po’, anche se vederlo svolgere il riscaldamento con i compagni ed utilizzare la mano destra almeno per i layup è di per sé stesso sufficiente a spargere una discreta dose di ottimismo. Denzel Valentine ci mette un po’ a carburare, a tornare a respirare l’aria della competizione, i contatti, il gioco fisico, la pressione. Poi, quando nel secondo tempo si accende definitivamente, torna ad essere quella scheggia solo apparentemente avulsa dai meccanismi della squadra che è diventato proprio dopo la partita di andata a Bologna: Valentine sfrutta, al contrario, i meccanismi offensivi dei compagni per mettersi in proprio, prendersi responsabilità immense, in ultima analisi costituire quel pericolo costante che sposta la difesa avversaria indipendentemente dalle percentuali al tiro, creando spazi ed opportunità per l’attacco biancorosso. E proprio nel momento in cui si accende lui, cambia l’inerzia di una partita difficile, che si era messa in salita con una pendenza sempre maggiore sotto i colpi, soprattutto, di un maestro come Toko Shengelia, giocatore di altra categoria, meritevole probabilmente di un palcoscenico ben più ambizioso nelle zone alte dell’Eurolega. Ha ragione Michael Arcieri quando afferma che solo un grande campione (un giocatore “impressionante” lo definisce il GM) è in grado da subito di cancellare la ruggine di un mese di stop e di risultare da subito determinante come fatto dal rapper di Lansing contro Bologna.
La Virtus, però, è davvero un osso duro soprattutto dal punto di vista difensivo: da metà campo in giù mette costantemente le mani addosso, aggredisce sistematicamente il portatore di palla fin sotto il canestro avversario, approfitta di un metro arbitrale piuttosto permissivo ed impedisce così a Trieste di avvicinarsi al ferro se non con sporadici pick and roll o grazie agli uno contro uno di un Markel Brown che quando salta il suo uomo arriva in un modo o nell’altro a tirare da sotto: finché le percentuali da oltre l’arco biancorosse, nel primo tempo, rimangono ben al di sotto del 30% in mancanza di un numero sufficiente di tentativi da due, la conseguente fuga in avanti della Virtus è inevitabile, specie se dall’altro lato del campo Trieste difende altrettanto bene sul perimetro impedendo agli ospiti di tenere percentuali da fuori sopra la sufficienza, ma ha enormi difficoltà a contenere Shengelia (che per tre quarti di partita è letteralmente una sentenza ogni singola volta che riceve il pallone a meno di cinque metri dal canestro) e Clyburn, alla sua prima apparizione in campionato dopo la lunghissima assenza per infortunio. Ivanovic sceglie di tenere Grazulis in tribuna e Belinelli in tuta, ed alla lunga si trova le armi spuntate in attacco: Zizic soffre enormemente la fisicità di Johnson e commette tre falli in un amen concludendo di fatto la sua partita, Holiday litiga con impressionante costanza con il tiro, e così l’illusoria -quanto monodimensionale- fiammata bolognese si spegne velocemente come si era accesa già sul finire del primo tempo. Punto dopo punto, difesa dopo difesa, rimbalzo dopo rimbalzo, la banda biancorossa ritrova la sua unità, ricomincia a giocare di squadra con la conduzione giudiziosa del suo metronomo triestino, demolisce piano piano le (poche) certezze delle V nere ed ingaggia un secondo tempo dal pathos infinito, sorretta dall’energia della sua gente. La bagarre è il territorio preferito di giocatori che si cibano della positività dell’ambiente amplificando le loro possibilità fisiche ben oltre il plausibile: è, in altre parole, il territorio di gente come Jeff Brooks, che a un certo punto, sul finire del terzo quarto e fino al termine della partita, decide che l’one man show di Toko Shengelia, bello quanto si vuole, non sarebbe risultato anche vincente. L’ex Milano e Venezia entra in una sorta di trance agonistica difensiva, bracca il georgiano rendendogli impossibile ciò che fino ad allora aveva fatto sembrare elementare, scivolando con lui nelle sue scorribande, mettendolo fuori equilibrio, cancellando la visibilità del ferro, innervosendolo ed alla fine demolendo le sue certezze. Se poi un giocatore di 36 anni che in molti consideravano al crepuscolo della sua carriera, al 38esimo minuto di una partita così intensa, provoca la palla persa degli avversari e due secondi dopo si fa trovare solo sotto il canestro bolognese per inchiodare in contropiede la schiacciata della vittoria, allora significa che quel crepuscolo somiglia più ad una bella serata di inizio estate quando il sole rimane ben alto sull’orizzonte fino a tardi.
Ma contro Bologna, è ovvio, non la vinci con i singoli: pur con rotazioni ancora limitate per necessità e per scelta (Candussi gioca 7 minuti, Deangeli un’azione, gli altri sette scesi in campo vanno dai 20 di McDermott ai 35 di Uthoff) è fondamentale l’unità del gruppo, una unità tecnica così come morale, condotta certo dai leader naturali e dalle gerarchie ormai consolidate ma con mattoni fondamentali portati da ogni singola pedina in momenti diversi della partita, senza che nessuno rifiuti un tiro importante o eviti di prendersi responsabilità quando il pallone pesa mezza tonnellata. Alla fine sono 5 gli uomini in doppia cifra, nessuno oltre i 20 punti, fra cui spiccano la doppia doppia da 11+11 di uno Jarrod Uthoff la cui utilità devastante si nota soprattutto a fine partita quando si vanno a leggere i tabellini, gli 11 punti con 9 assist di un Michele Ruzzier capace (a dimostrazione di quanto ognuno sia importante al momento giusto) di infilare due bombe consecutive che permettono a Trieste di riprendere in mano il pallino delle operazioni tornando nuovamente a condurre nel punteggio nel quarto decisivo, il 3 su 4 da oltre l’arco di un McDermott che, se possibile, gioca in difesa meglio che in attacco ed il solito manuale di tecnica ed esplosività di un Markel Brown sempre più leader. Una prestazione di squadra che si traduce anche nell’ennesima vittoria nella lotta a rimbalzo, e contro Bologna non è affatto un dato scontato: 41-38 il computo totale, con 10 rimbalzi catturati in attacco che non sono certo frutto di vantaggio fisico (in quanto a centimetri e chili nel pitturato Trieste ne rende parecchi alla Virtus), ma piuttosto di posizionamento, di furbizia, di opportunismo ed, alla fine, di voglia. Così come il 15-0 con il quale Trieste finisce la partita non è certo casuale o frutto di un black out autonomo della Virtus, bensì di una feroce applicazione difensiva e di una freschezza atletica che Bologna, probabilmente sfiancata dal doppio impegno stagionale e dai fantasmi che affollano le menti dei suoi giocatori, non è capace di pareggiare nonostante il tardivo rifiuto ad arrendersi di Pajola e Morgan.






E’, quindi, doppia vittoria stagionale contro la Virtus, novità assoluta nella storia della Pallacanestro Trieste. Virtus che, curiosamente, ha perso nelle ultime due occasioni in cui è scesa in campo in via Flavia: la volta precedente, nella primavera del 2023, la vittoria triestina illuse tutti che, tutto sommato, la salvezza non sarebbe stata irraggiungibile, il resto è storia. Intanto, con sette partite ancora da giocare i biancorossi hanno raggiunto, a quota 14, il maggior numero di vittorie dal ritorno in Serie A nel 2018, dopo le 16 del primo anno ed al pari di quelle conquistate nel terzo a fine campionato (in entrambi i casi le vittorie furono sufficiente per conquistare i playoff, segno del grande equilibrio e dell’accresciuta difficoltà del campionato di quest’anno: a quota 28, ma anche a 32, le probabilità di esclusione dalla post season, infatti, sono oggi praticamente al 100%).
Trieste sfrutta un fattore campo che -dopo le difficoltà di fine anno- torna ad essere decisivo, regalandole tre vittorie nelle ultime quattro partite. A 28 punti, solo quattro sotto le posizioni che vanno dal secondo al quarto posto, ora la squadra di Christian può mettersi comoda ad osservare gli scontri diretti nei quali necessariamente qualcuna delle sue avversarie lascerà punti sul campo. Da qui alla fine della stagione regolare i biancorossi sono attesi da due scontri diretti, uno con una squadra che la precede (Trento in casa), l’altro a Venezia in una partita che potrebbe rivelarsi decisiva per la conquista di un posto nella post season. Per il resto, saranno match delicati da affrontare con la dovuta attenzione contro formazioni che lottano per la loro sopravvivenza, a partire dalla trasferta in Toscana della prossima settimana, per continuare con il prossimo match casalingo contro l’ondivaga quanto imprevedibile ultima in classifica partenopea. Per la volata finale coach Christian tornerà presumibilmente ad assaporare il lusso di avere a disposizione l’intero roster con 6 americani (sebbene l’agognato imbarazzo della scelta probabilmente non arriverà mai per il declino fisico di Justin Reyes che purtroppo, a questo punto, pare una sentenza sulla sua stagione): un booster decisivo -quanto indispensabile- per il decollo verso il secondo obiettivo stagionale.