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Altro giro, altro disastro: Tortona passeggia al Dome

Tempo di lettura: 5 minuti

PALLACANESTRO TRIESTE – BERTRAM DERTHONA TORTONA 60-88

Pallacanestro Trieste: Gaines 5, Pacher 8, Bossi 3, Davis 8, Spencer 4, Rolli ne, Deangeli 0, Campogrande 6, Vildera 5, Bartley 21. Allenatore: Legovich. Assistenti: Maffezzoli, Vicenzutto.

Bertram Derthona Tortona: Christon 4, Mortellaro 2, Candi 12, Tavernelli 9, Filloy 12, Severini 10, Harper 5, Daum 15, Cain 2, Radosevic 13, Macura 4, Filoni ne. Allenatore: Ramondino. Assistenti: Galli, Di Matteo, Talpo. 

Parziali: 16-23 / 31-42 / 48-59

Arbitri: Sahin, Borgioni, Gonella

C’è poco da girarci intorno: la Pallacanestro Trieste, per come è strutturata in questo momento, per quello che i suoi giocatori possono realisticamente dare, per la totale mancanza di carattere nel reagire alle situazioni più difficili, e per una lista di ulteriori motivi che il breve spazio di un articolo non potrebbe riuscire a contenere, non è adeguata al campionato di Serie A. Anche contro Tortona, che dal canto suo dimostra di poter ambire a grandi traguardi già in questa stagione, l’arruffata squadra di cui Marco Legovich può disporre si esibisce in un campionario di orrori cestistici, dimostrando la limitatezza delle soluzioni che ha a disposizione. In difesa subisce una grandinata di tiri da lontano, specie quando Ramondino intravvede che sotto canestro ci sarebbe stata, se non altro, competizione. Tortona è sempre avanti nel punteggio tranne per pochissimi secondi nei quali Trieste riesce a condurre 13-11 nel primo quarto. Poi, 4 minuti di totale black out offensivo biancorosso permettono agli ospiti di prendersi un margine in doppia cifra che non avranno più difficoltà a controllare. Uno sprazzo di zona 2-3 nel terzo quarto, a dire il vero, permette agli uomini in biancorosso un fugace riavvicinamento fino al -5 dopo che erano finiti anche a -17, ma cinque-minuti-cinque di intensità non sono di certo sufficienti per impensierire una corazzata dalle rotazioni lunghissime e dalla qualità impietosamente superiore: Tortona riprende a difendere, e Trieste va totalmente nel pallone, smettendo letteralmente di giocare a pallacanestro. Mancherebbero qualcosa come 15 minuti al termine, ma il solo fatto di vedersi respingere l’assalto induce i biancorossi ad arrendersi, a mostrare per l’ennesima volta quell’atteggiamento incomprensibilmente rinunciatario che comunica impotenza e frustrazione, certo, ma anche poco, pochissimo carattere. Da quel momento le poche idee in attacco vengono totalmente smarrite, lasciando il campo ad iniziative sporadiche frutto di uno sterile passing game che è facile preda della irridente superiorità piemontese. I tentativi di penetrazione sul fondo incocciano impietosamente su una difesa asfissiante, che non concede assolutamente nulla, e si trasformano in innumerevoli quanto banali palle perse con conseguente transizione. In alternativa, la sterile manovra offensiva si affida a tiri forzatissimi dall’arco negli ultimi due-tre secondi di azione, con risultati risibili: il 16% da tre, frutto di 4 bombe andate a segno su 24 tentativi, racconta di un’ultima parte di match senza alcun significato sportivo, ma anche di innumerevoli tentativi con piedi a terra e campo aperto falliti a partita ancora abbordabile. Gli “specialisti” falliscono totalmente, per l’ennesima volta, la prova balistica, e nella pallacanestro moderna non poter contare su un’arma come le conclusioni da oltre l’arco è come andare in guerra con pale e forconi. Ramondino può permettersi di risparmiare i suoi gioielli, limitando il minutaggio di Macura e Daum, evidentemente non ritenuti necessari per abbattere la flebile resistenza triestina, e dà spazio addirittura al quarantenne Mortellaro, i cui due punti sono l’epitaffio sulla evanescente prova difensiva biancorossa.

Dopo una prova di squadra così deprimente, parlare dei singoli è del tutto inutile. E’, infatti, un naufragio collettivo, in cui ognuno ha la sua parte di responsabilità. Parlare di un Bartley sufficiente, autore di 21 punti, non racconta del fatto che il suo bottino è frutto esclusivamente di iniziative personali prese più per frustrazione che come atto finale di giochi offensivi costruiti apposta. Gettare la croce su un Frank Gaines le cui statistiche sono incommentabili, quasi irrealistiche per quanto sono agghiaccianti, non tiene conto che quando un giocatore è considerato l’unico terminale offensivo credibile dagli avversari, questi hanno gioco facilissimo ad annullarlo sul campo: quando predichi nel deserto contro squadre del livello di Tortona il fallimento è la conseguenza più logica, sebbene la sua abulia ed il suo sistematico rifiuto nell’impegnarsi in difesa, nonostante la difesa d’ufficio del coach, meriterebbero l’accompagnamento all’aeroporto di Ronchi già in serata se solo il club potesse permetterselo. Constatare come Campogrande sia l’unica ala a disposizione di Legovich, e leggere del suo 2 su 7 da tre e del -4 di valutazione complessiva, fa ricadere la responsabilità più su chi ha pensato un roster così illogico (al netto del budget irrisorio a disposizione) che sul giocatore stesso. Davis, come Bartley, dà il meglio isolato e fuori dal sistema, fallisce quando tenta di collaborare con la squadra perdendo una quantità inusitata di palloni. Spencer riesce solo ad intimidire con la verticalità nel pitturato e va in doppia cifra di rimbalzi e valutazione, ma la limitatezza tecnica di cui dispone è quasi imbarazzante (non viene mai servito spalle a canestro, in nemmeno un’azione nell’arco dei 40 minuti) e lo rende estremamente prevedibile e trascurabile in attacco così come una facile preda in difesa: forse, perseverare nel volersi fidare sistematicamente delle referenze, e continuare a sbagliare giocatori, sta diventando diabolico. Scegliere Stefano Bossi come unica alternativa in regia, anzi come unico playmaker di ruolo dal momento che Davis è più una guardia che una point guard, significa esporsi a lunghi minuti di banchetto per i piccoli avversari, oppure costringere Bartley o Gaines a spendersi in un ruolo non nelle loro corde: la generosità di Stefano non è assolutamente in discussione, così come il suo costante impegno, ma è necessario anche rendersi conto che metterlo di fronte a Christon e Harper (o Spissu, Mannion o Hackett) e pretendere che non ne venga seminato è un’operazione crudele. Anche l’orgogliosa prestazione di Lodo Deangeli, che non incide in attacco ma sputa l’anima in difesa, va analizzata inserendola nel contesto di squadra: considerando che, a causa dell’assenza di Lever, viene impiegato da 4 in un ruolo non suo in cui è evidente il deficit di centimetri e chilogrammi, è obiettivamente impossibile chiedergli di più in questo momento. Vildera e Pacher fanno quello che possono, ma anche loro hanno la colpa di arrendersi con la squadra. Che dire del team tecnico? La soluzione difensiva che ha permesso il recupero nel terzo quarto non è certo innovativa ma almeno efficace. Per il resto, lunghi minuti con Bossi-Campogrande-Gaines-Deangeli-Vildera costati un banchetto per gli avversari, e più in generale l’assenza di una reale identità offensiva, l’assenza totale di idee, di soluzioni, di identità di squadra: Legovich e i suoi collaboratori non possono di certo meritarsi l’assoluzione solo perché hanno in mano un materiale su cui è impossibile lavorare.

E adesso? Anche se in molti si sarebbero aspettati uno 0-4 guardando il calendario, in pochi avrebbero creduto di arrivarci così male. Perdere con tre delle quattro squadre più forti della lega sta nella logica delle cose, ma in questo momento la fiducia nel riuscire davvero a tamponare l’emorragia di risultati osservando come tali sconfitte sono arrivate è veramente ai minimi termini. L’ambiente è depresso e spazientito, i primi fischi cadono sonoramente ed impietosamente sulla squadra e sul coach, il rischio di innescare un circolo vizioso dall’epilogo scontato è quantomai realistico. Legovich in sala stampa appare sconsolato (più nel significato delle proprie parole che nei toni) pur difendendo la sua squadra a spada tratta, ma si lascia sfuggire un “questi siamo” che è indicativo di come questa squadra debba trovare dentro di sé la voglia di tornare a dare il meglio, la voglia di ribellarsi ad un destino già scritto, l’orgoglio e l’amor proprio di giocatori messi quanto mai in discussione, e che debbono avere anche l’interesse di salvaguardare il futuro della propria carriera, se non quello del basket di vertice triestino. Ma “questi siamo” non sarà sufficiente a salvare la categoria. Che a permetterlo sia il nuovo socio americano, un nuovo main sponsor, un mecenate nascosto o un extra budget apportato dai soci, il roster ha bisogno di una veloce quando importante rivisitazione. Non è ancora troppo tardi per correre ai ripari, ma la difficoltà delle prossime quattro partite (@Napoli, Sassari, @Milano, Brescia) rischia di trasformarsi in un secondo poker di debacle, ed allora sì la salvezza diventerebbe una chimera.

I nostri voti ai biancorossi: Gaines 3, Pacher 5/6, Bossi 5, Davis 5, Spencer 5, Deangeli 5+, Vildera 5, Campogrande 3/4, Bartley 6

(Photo Credit: pagina Facebook ufficiale Pallacanestro Trieste)