di Francesco Freni
I biancorossi subiscono una pesante lezione da una squadra che, semplicemente, aveva più voglia di vincere
Pessima, veramente pessima la prestazione degli uomini di Dalmasson nella Marca. Portati più volte a scuola dal 39enne David Logan e dalla insospettabile tecnica di Sokolowski, ma più in generale surclassati dalla maggiore energia, dalla determinazione, dalla consapevolezza dell’importanza della posta in palio mostrata dai padroni di casa, i biancorossi naufragano in un mare di inconsistenza e demotivazione che rende le ultime cinque partite una salita tale che lo Zoncolan sembra il lungomare di Barcola. Se questa doveva essere la prima prova nella quale Trieste doveva dimostrare di aver finalmente alzato l’asticella delle proprie ambizioni, e di averlo fatto anche nelle proprie teste oltre che dai microfoni amici, il fallimento è totale e francamente scoraggiante. Davanti ad una squadra non certo arcigna in difesa, che nel primo quarto pasticcia anche in attacco, l’Allianz non è mai capace nell’arco dei quaranta minuti di cambiare passo. Non reagisce ad un secondo quarto in cui sparacchia a salve attaccando in modo approssimativo ed improvvisato, subendo il primo break senza peraltro affondare definitivamente. Gli undici punti di fine primo tempo sarebbero stati considerati recuperabili da qualunque altra squadra, eppure i biancorossi rientrano sul parquet con la stessa flemma difensiva mostrata in precedenza, non si scuotono nemmeno quando Logan ne mette 13 in 3 minuti portando al bar i timidi difensori triestini, ed anzi continuano a provare improbabili ed improvvisate iniziative personali in attacco negli ultimi secondi delle azioni, scoccano tiri a bassissima percentuale (ed infatti li sbagliano praticamente tutti) sono piantati come siepi negli uno contro uno, sono più in generale preda di una confusione tecnica e tattica preoccupante. Se i lunghi triestini in attacco, se non altro, riescono a puntellare l’emorragia offensiva con qualche buono spunto, specialmente di un Upson nuovamente il migliore dei suoi e, a tratti, di un Delia a corto di fiato ma dotato di un bagaglio tecnico che gli permette di trovare conclusioni anche difficili, Treviso comincia a trafiggere la statica difesa ospite anche con penetrazioni che la portano al ferro troppo facilmente: la pigra prova difensiva degli esterni triestini costringeva infatti troppo spesso i lunghi ad uscire per aiutare, lasciando sguarnito il pitturato, divenuto in breve territorio di caccia per i vari Sokolovski, Russel, Chillo e Lockett. Nel terzo quarto, nel breve periodo in cui Trieste riesce faticosamente a trovare con un po’ di costanza il fondo della retina, ci si mettono anche gli dei del basket che guidano le mani di Logan e Sokolovski nel centrare il canestro da ogni angolo, anche marcati, anche da lontanissimo anche quando la logica avrebbe dettato maggiore prudenza.
La prolungata rottura offensiva, interrotta temporaneamente da sporadici guizzi da fuori di Fernandez e Alviti, continua per tutta l’ultima frazione, finita con Treviso a divertirsi e divertire il solito numeroso e rumoroso pubblico presente al Palaverde (evidentemente, per fare onore al suo nome, divenuto anch’esso zona verde anziché rossa) e Trieste che con il linguaggio del corpo dimostrava già a dieci minuti dalla sirena che il proprio obiettivo di serata sarebbe stato quello di giungere al più presto possibile sotto la doccia.
L’Allianz è tradita dagli uomini dai quali attendeva l’aiuto maggiore, specie alla luce delle difficoltà fisiche di Grazulis (stoicamente in campo per 15 minuti) e Delia. Henry, subito gravato da 3 falli, insolitamente nervoso, inscena la solita prova molle in difesa: quando si inceppa in attacco, il suo apporto, più che nullo, è quasi dannoso per la squadra. Ciò nonostante, le lunghe panchine evidentemente punitive che gli infligge il coach non possono che assecondarne la demotivazione, non ne pungolano l’orgoglio e l’amor proprio, lo spingono quasi a pensare già alla destinazione che lo vedrà protagonista la prossima stagione: l’Allianz di oggi non può prescindere dal miglior Henry, di gran lunga il giocatore più pericoloso di cui dispone, metterlo in un angolo anche in una serata disastrosa come questa non giova a nessuno. Discorso analogo quello su un Milton Doyle, in pericolosa involuzione tecnica: costantemente preda di periodi di totale abulia sul campo al leader tecnico designato non riescono più nemmeno le giocate in garbage time che ne avevano caratterizzato l’inizio di stagione: solo 6 tiri tentati per lui, di cui solo due a segno, conditi dalle solite 5 palle perse. Certo, in partite come queste Doyle è costretto a ricoprire praticamente tre ruoli, ma contro Treviso non è credibile in nessuno dei tre. Incommentabile.
La conduzione tecnica non è certo esente da responsabilità: non entriamo nel merito della gestione delle rotazioni, dettate forse più dalla necessità contingente e sopravvenuta che dal piano partita. Ma se la squadra si esprime con un atteggiamento di questo tipo, è abbastanza probabile che qualcosa sia stato sbagliato nell’approccio emotivo al match. Certo, Logan è un fuoriclasse ed è in grado di infischiarsene di ogni contromisura pensata per arginarlo. Certo, con un Sokolowski che ne mette 28 con il 70% da tre, lo zampino della dea bendata deve avere un ruolo importante, ma non riuscire a trasmettere furia agonistica alla squadra per cercare di arginare queste difficoltà, in settimana come nei time out, è precisa responsabilità del team tecnico.
Non mancano le attenuanti, a cominciare dalle precarie condizioni dei lunghi titolari (peraltro sostituiti alla grande da un Devonte Upson che con umiltà e silenzio si porta a casa un’altra prestazione da 18 punti con 7 su 9 da due e 23 di valutazione, vincendo il confronto diretto con il tormentone estivo Mekowolu e risultando l’unico a metterci quel minimo di “cazzimma” che avrebbe dovuto pervadere anche tutti i suoi compagni) per proseguire con l’infortunio in corso d’opera di Tommaso Laquintana, non più rientrato dopo aver subito un colpo in testa dopo cinque minuti. L’uscita di scena del play pugliese ha costretto agli straordinari il Lobito, autore di una prova tutto sommato positiva ma naufragato anche lui nel caos nel momento in cui la squadra avrebbe dovuto provare a rientrare. Del resto Fernandez, per costituzione fisica, non può dare il meglio se spremuto per 32 minuti, anche se la squadra, già corta, diventa cortissima se dovesse incepparsi anche solo un meccanismo (Arnaldo e Coronica ormai sono solo spettatori, Cavaliero è un complemento non più in grado di incidere: le rotazioni si riducono a 7, massimo 8 giocatori), e quindi il sovrautilizzo del play argentino diventa pressoché irrinunciabile.
A preoccupare, a questo punto, non è tanto la sconfitta, che vale comunque solo due punti (in questo caso 4 dal momento che Treviso si è ripresa con ampi interessi la differenza canestri), ma soprattutto la prospettiva per il prossimo futuro, con cinque partite che, per essere vinte, devono essere considerate, e giocate, come cinque finali. Ma, alla luce di quanto abbiamo visto, siamo proprio sicuri che squadra e società ambiscano veramente ad un posto al sole?
TREVISO BASKET – PALLACANESTRO TRIESTE 95 – 76
Dè Longhi Treviso: Logan 25, Russell 10, Chillo 10, Piccin, Akele 2, Vildera, Sokolowski 28, Imbrò 3, Bartoli ne, Lockett 9, Mekowulu 8. All. Menetti
Allianz Pallacanestro Trieste: Da Ros 4, Upson 18, Doyle 3, Henry 10, Cavaliero 3, Alviti 10, Fernandez 18, Coronica ne, Delìa 8, Laquintana, Arnaldo ne, Grazulis 2. All. Dalmasson
Parziali: 19-19; 43-32; 71-58
Arbitri: Baldini, Grigioni e Valzani