Che fosse una partita difficile, di gran lunga più difficile di quanto poteva far presagire la distanza in classifica e le statistiche, lo si sapeva da almeno una settimana. Non certo per la differenza tecnica fra Trieste e Varese, accentuata dall’assenza di due stranieri nel roster lombardo, e neanche perché di fronte ci sarebbero state il peggior attacco e la seconda miglior difesa della Serie A. A preoccupare era, piuttosto, l’approccio mentale alla partita, la leggerezza di chi non ha nulla da perdere contro l’inedita responsabilità di chi non può più tirarsi indietro rispetto ad obiettivi ambiziosi divenuti improvvisamente alla sua portata, la forza di chi vuole gettare il cuore oltre l’ostacolo contro il rischio di sottovalutare un avversario in grande difficoltà.
Lo si sapeva, di sicuro, almeno da domenica scorsa, da quando la squadra è rientrata a Trieste reduce dall’esaltante impresa in terra sarda, magari con ancora in testa quel sassolino che aveva fatto inceppare nel finale un meccanismo perfetto durato 37 minuti. Che però, di questa conoscenza, l’Allianz non sia riuscita a fare tesoro, in pochi potevano prevederlo. Di certo coach Ciani ed il suo team non hanno lasciato nulla di intentato per gettare acqua sul fuoco e predicare prudenza. E dunque risulta ancora più incomprensibile l’atteggiamento a tratti arrogante, a tratti incredulo, spesso supponente, esibito nel suo complesso dall’intero roster, con poche eccezioni, durante il calvario che si sono rivelati i 40 minuti contro Varese.
Trieste parte malissimo, litiga con il canestro, attacca in modo macchinoso e lentissimo la zona due-tre proposta da Vertemati, difesa che probabilmente anche gli scaloni di cemento dell’Allianz Dome avrebbero previsto come difesa principale che sarebbe stata utilizzata dalla OpenJob Metis. I passaggi sono lenti e prevedibili, i piccoli varesini anticipano sistematicamente i pari ruolo di Trieste sporcandone ogni linea di rifornimento, chiudendo con tempestività ogni angolo di tiro, le palle perse si moltiplicano in modo preoccupante mentre Alessandro Gentile (altro elemento impossibile da ignorare nel piano partita difensivo) porta al bar a turno qualsiasi marcatore si avvicendi nel tentativo di contenerlo, dando sempre più coraggio e consapevolezza ai suoi invero modesti compagni: però, se concedere al figlio di Nando l’intera responsabilità dell’attacco lombardo poteva essere una soluzione, questa avrebbe dovuto avere come corollario l’annullamento delle sue alternative, ed invece a Trieste riesce l’esatto contrario.
La soluzione alle difficoltà nel crearsi gli spazi per entrare in ritmo da fuori, e pure evidente, ci sarebbe anche stata: Varese non ha i mezzi fisici per contrastare lo strapotere giuliano sotto canestro. Dispone solo di un Sorokas isolato e non dotato di chili ed altezza sufficienti a misurarsi con i quattro moschettieri biancorossi. Eppure, i servizi nel pitturato non arrivano, le poche conclusioni spalle a canestro sono frutto di mismatch fortuiti, il pubblico triestino (ancora troppo poco numeroso) ha la ventura di vedere addirittura Konate esibirsi in tiri dalla media distanza, notoriamente non nelle sue corde, senza mai incidere veramente nei fondamentali con i quali ha stupito nella prima parte di stagione. Peraltro i lunghi triestini subiscono clamorosamente anche a rimbalzo, esibendosi in una versione sbadata e molle del tagliafuori: alla fine il conto dei rimbalzi reciterà un eloquente 43-33, con ben 15 carambole offensive concesse agli avversari, tradotti invariabilmente in seconde e terze chance al tiro. La lunga permanenza del maliano sul pino a bordo campo ne è la diretta conseguenza, Delia in effetti fa molto meglio di lui (il suo 22 di valutazione è il migliore della squadra) ma in questo modo è praticamente azzerato il presunto vantaggio di tonnellaggio nel pitturato.
Nonostante tutto, con il punteggio a vagare fra i 4 ed i 13 punti di svantaggio, Trieste riesce nel terzo quarto a metterci una pezza, continuando a pasticciare, sprecando almeno una decina di occasioni per passare in vantaggio e, una volta messa la freccia, di accumulare qualche punto di gap almeno sufficiente a minare le certezze varesine. La terza frazione si chiude sul 59 pari, ed è qui che l’Allianz commette l’ennesimo errore di presunzione. Battezza raggiungibile la vittoria con il minimo sforzo, sottovaluta nuovamente la feroce forza di volontà degli avversari, si rilassa, commette costosissimi quanto banali errori tradotti in una caterva di palle perse, subisce un break che ad un certo punto smette di voler anche contenere, finendo sotto addirittura di 20 punti, con Bean e Kell a colpire a proprio piacere con metri di libertà: fino ad una ventina di secondi dalla sirena finale l’Allianz aveva segnato la bellezza di 7 punti nel quarto decisivo (contro i 27 degli avversari), rimettendo un po’ di pepe praticamente solo nelle due azioni finali sui due lati del campo.
Inutile commentare le prestazioni dei singoli, in effetti mai come in questo caso a fallire è infatti l’intero collettivo, coaching team compreso, ed il suo approccio mentale alla partita. Il rendimento ondivago di una scommessa come Konate può essere messo nel conto, la peggior partita dell’anno (e probabilmente non solo di quest’anno) di un Banks che finisce addirittura con -2 di valutazione può essere perdonata ad un trentottenne che ormai traina la carretta da otto partite. Che Trieste si sia ritrovata per una manciata di minuti, sufficienti a riequilibrare le sorti di un incontro apparso per larghi tratti sfuggito di mano ma che con un impegno diverso sarebbe probabilmente riuscita a portare a casa, è tecnicamente l’unico aspetto da salvare dalla partita contro Varese. Che l’Allianz debba far tesoro della lezione mentale subita rimane l’unica eredità da portarsi avanti nella stagione. Per il resto, sarà necessario un velocissimo reset: la trasferta al Taliercio incombe, e la Reyer di oggi comincia a far paura anche alle grandi del campionato. Non c’è certo il rischio di sottovalutare un impegno di per sé improbo, ma a Venezia i biancorossi dovranno portarsi ben chiara un’altra lezione subita anche nel recente passato, magari imitando gli avversari di questa mesta domenica sera: mai partire battuti.