Diciotto partite disputate, appena due con il roster al completo, una sola con Justin Reyes tornato ad assomigliare al giocatore che sette mesi fa aveva trascinato la squadra riportandola alla ribalta nazionale che merita. Con Tortona, nella partita forse più importante fra quelle fin qui disputate, contro una squadra lunghissima e talentuosa, non per niente fra le top 16 in BCL, Trieste finalmente somiglia da vicino al meccanismo immaginato e realizzato durante l’estate scorsa da Mike Arcieri e Jamion Christian. Perchè va bene dimostrare resilienza, va bene reagire alle avversità ed agli infortuni a ripetizione che le hanno costantemente impedito di giocare la pallacanestro più congeniale, va bene trovare sempre risorse supplementari e soluzioni tecniche in corsa, va bene dimostrare carattere ed affidarsi ai solisti. Ma il meccanismo pensato e cesellato con attenzione certosina dalle mani di un artigiano dello scouting come Mike Arcieri mostra finalmente la sua disarmante precisione nel momento esatto in cui recupera anche l’ultimo, indispensabile tassello, un ingranaggio portoricano tornato a dimostrare la sua efficacia ben oltre le nude statistiche. L’ovazione che ne ha accompagnato l’ultima uscita dal campo è il riconoscimento non della liberazione dal fardello dell’infortunio “sulla fiducia” come avvenuto un paio di settimane fa, bensì di una prestazione solida, fatta di rimbalzi e difesa, spintoni e gomitate, salti e scatti, intensità e determinazione. Una prestazione che arriva proprio il giorno dopo l’annuncio della firma di Sean McDermott, firma che necessariamente implicherà scelte domenicali ma che in una stagione così lunga e costellata di difficoltà ed assenze non fa che dare ulteriore profondità ad un roster che ora può realmente cullare realistiche ambizioni. “Noi abbiamo sempre detto che vogliamo giocare a maggio e giugno, allungare la squadra è una decisione naturale che va in quella direzione” afferma Mike Arcieri in sala stampa al termine della partita. Conoscendolo, non è solo una boutade o un grido di battaglia: questa squadra, in tutte le sue componenti, ci crede veramente.
Intendiamoci, Trieste ora è sì un orologio svizzero, che però va ancora tarato perchè qualche volta mostra qualche secondo di ritardo, qualche volta va ancora fuori giri. Contro Tortona, però, le solite fiammate alternate a momenti di amnesia specialmente difensiva, le striscie da oltre l’arco seguite da lunghi periodi di confusione offensiva e tante palle perse, vengono “appiattite” da un rendimento molto più costante nei quaranta minuti, fatto di coerenza nelle scelte in attacco e di costante attenzione nel cercare di limitare i punti di forza avversari specialmente nel pitturato, dove Kamagate e Biligha, potenzialmente, avrebbero potuto fare la differenza. Naturalmente la costanza di rendimento è prima di tutto diretta conseguenza della profondità delle rotazioni, con giocatori molto meno spremuti in ruoli non loro e dunque molto più lucidi nello svolgere meno compiti con molta più semplicità. E poi, quando di fronte hai una squadra come Tortona che arriva in via Flavia reduce dalla trasferta a Würzburg e dalle battaglie all’ultimo sangue in campionato con Brescia e Reggio Emilia, fisicamente sulle gambe e mentalmente scarica, per Trieste diventa più semplice sviluppare la pallacanestro che più ama, quella giocata con grande velocità, quella che partorisce le conclusioni nei primi sette-otto secondi di azione, con tantissime transizioni che nascono da rimbalzi e palle recuperate e che permettono conclusioni ad altissima percentuale di realizzazione. Quando riesce a farlo, la squadra di Jamion Christian riesce a tramortire ogni avversario, prendendosi vantaggi nel punteggio che poi, specialmente al PalaTrieste, diventano impossibili da ricucire se non con l’aiuto delle (sempre meno consuete) controfiammate biancorosse. E, soprattutto, tende a divertirsi e divertire il pubblico, con buona pace dei cultori del tradizionale gioco alto basso con il pivot-totem che a culate arriva a distanza di gancetto.
Questa squadra piace, piace tantissimo a tutti -a Trieste come altrove, al netto dei tradizionali campanilismi- proprio perchè dà sempre l’impressione di divertirsi. Al di là delle prestazioni dei singoli, al di là dei tabellini, al di là delle alchimie tattiche, l’intero gruppo trasmette serenità e leggerezza, coesione e consapevolezza, motivazione ed intensità, ma anche atteggiamenti sornioni e scanzonati, inconsapevolmente ruffiani e capaci di accattivarsi l’entusiasmo dei 5700 costantemente abbarbicati sugli scaloni del PalaTrieste. Brooks, dopo l’esperienza in laguna, sembra una belva liberata dalla gabbia, aizza le ovazioni, guida i cori. Oddio, dà pure enorme sostanza alla sua prestazione, proprio quando, dopo il canestro da sdraiato realizzato a Milano, sembrava aver già mostrato tutto il suo repertorio: contro Tortona difende, stoppa, recupera palloni, prende rimbalzi, fa l’allenatore in campo. Piace anche la nuova versione di Denzel Valentine, da qualche partita diventato “saggio” (per quanto la sua imprevedibile pazzia cestistica residua gli permetta di esserlo). Il chitarrista barbuto -oggettivamente più avvezzo all’autotune che agli assoli di chitarra- si è tramutato in un uomo squadra, dispensatore di assist alternati a penetrazioni tecnicamente inarginabili dalla quasi totalità dei difensori in LBA. Si affida a conclusioni da tre da otto metri nel suo stile solo quando viene messo in ritmo o quando fiuta che l’inerzia della partita lo richieda: potrà anche sbagliarli, ma sono tiri quasi sempre ben presi. Quando poi aggiungi un Colbey Ross da 35 di valutazione, letteralmente imprendibile nell’ultimo quarto quando abbatte moralmente una Tortona protesa allo sforzo supremo per cercare di rientrare, ribattendo colpo su colpo, tripla su tripla, penetrazione su penetrazione, palla recuperata su palla recuperata, la bandiera bianca da parte della squadra piemontese viene sventolata a qualcosa come tre-quattro minuti dalla fine. Del resto, con Strautins uscito a braccia dopo un infortunio al ginocchio che purtroppo sembra piuttosto grave, e Gorham uscito per 5 falli, privata dei due uomini più convinti più che efficaci, la luce per gli ospiti non può che spegnersi inesorabilmente. Nei minuti nei quali Ross rifiata per prepararsi ai minuti decisivi, Michele Ruzzier non lo fa certo rimpiangere, con uno stile di impostazione delle azioni sostanzialmente diverso dal play americano ma in grado di fare girare la squadra con i giri perfetti dimostrando grande capacità di leggere il momentum della partita. Deve convincersi di poter essere anche un grande attaccante, partendo in questo dalla perfetta esecuzioni delle due uniche azioni nelle quali ha tentato una conclusione, un tiro da tre ed una penetrazione battendo nell’uno contro uno il diretto avversario arrivando al sottomano alzato per evitare la stoppata.
Sotto canestro, come previsto, Kamagate riesce ad intimidire un Jayce Johnson che viene limitato dal lungo francese più nella testa che nel rendimento. Quando riceve palla vicino al ferro il centro californiano cerca conclusioni sghembe e tecnicamente inguardabili, sbagliando tiri banali per un 2,14 come lui più per il timore di venire brutalizzato che per reale difetto tecnico. Con il passare dei minuti, e con Kamagate fatto sedere a lungo in panchina da De Raffaele che ne valuta insufficiente il rendimento, Johnson diventa più convinto ed autoritario, trova qualche conclusione da sotto, è abbastanza preciso dalla linea dei tiri liberi e, soprattutto, domina a rimbalzo, catturando ben 11 palloni sotto il tabellone. Con il solo Biligha in campo da arginare nel pitturato, in effetti, Jamion Christian può anche permettersi il lusso di finire la partita senza centri, schierando un quintetto piccolo e velocissimo.
Il rientro di Jarrod Uthoff fa comprendere quanto Ice Man sia mancato nella partita di Milano in tantissimi piccoli particolari che, sommati, lo rendono pressoché indispensabile. Molto al di là del bottino di punti, ben oltre la pericolosità da oltre l’arco, l’uomo di Iowa fa sempre la cosa giusta al momento giusto: interrompe l’inerzia della squadra avversaria stoppando l’uomo migliore (Strautins) lanciato verso la schiacciata. Difende uscendo sull’arco per impedire il tiro da tre dei piccoli così come è credibile quando si trova fisicamente in difficoltà nei mismatch sotto canestro. Recupera palloni, prende rimbalzi, devia palloni quel tanto che basta per impedire una ricezione ed un rilascio facili ai tiratori. Un giocatore totale che già da ora sarebbe necessario fare di tutto per cercare di trattenere a lungo sotto San Giusto, dal momento che le sirene europee (quelle dell’Europa che conta) probabilmente stanno già suonando un bel concerto intorno al suo agente. Ed infine il solito, concreto, Markel Brown, che trascorre una serata in pantofole, finalmente sotto i 30 minuti di impiego, evento per lui più unico che raro in una stagione nella quale ha dovuto fare spesso gli straordinari. Una prestazione, la sua, apparentemente silente ma che non va valutata secondo quanto espresso da un tabellino finale non particolarmente esaltante: la costanza nell’applicazione in difesa su Vital, Khuse, Weems e Strautins, alla lunga, ne abbatte certezze e rendimento.
Si fa presto a dire “magari averne sempre di questi problemi” quando si pensa al momento della decisione su chi escludere domenica prossima per lasciar spazio all’esordio di McDermott. Interrompere il percorso di crescita di Reyes quando inizia a dare frutti concreti appare una scelta difficile, così come evitare il rischio di malumori richiederà tutta l’abilità di comunicatore e motivatore universalmente riconosciute a Jamion Christian. Mike Arcieri assicura che è un rischio molto ben calcolato e che la decisione di firmare un giocatore in più non sarebbe stata presa nel caso in cui ci fosse stato il minimo dubbio di poter spaccare lo spogliatoio. Uno spogliatoio che, invece, viene descritto come più unito e motivato che mai, alla vigilia della trasferta sul campo della capolista e dell’attesissimo quarto di finale contro Trapani, una sfida fra “neopromosse” dall’esito niente affatto scontato.
In classifica anche Tortona soccombe nel doppio confronto con Trieste, e si trova anche due punti più sotto. Reggio Emilia, invece, strapazza Cremona in casa nell’altro anticipo e affianca ora i biancorossi e Milano a 22 punti, in attesa del derby lombardo più sentito, quello contro una Varese ben decisa a risollevarsi dopo la scoppola da -41 subita in casa domenica scorsa. Trieste sarà spettatrice molto interessata anche della sfida di Bologna fra Virtus e Reyer: in caso di vittoria della squadra di casa, il nono posto si allontanerebbe a 6 punti di distanza. Tutta da seguire, infine, la sfida al vertice fra Trento e Trapani: chi perde rimarrà solo quattro punti più sopra alla squadra triestina.
Il programma della 18a giornata
Reggio Emilia-Cremona 78-51
Trieste-Tortona 86-72
Napoli-Brescia
Scafati-Sassari
Pistoia-Treviso
Milano-Varese
Trento-Trapani
Virtus Bologna-Venezia
La classifica:
1.TRAPANI 26 (17)
2.BRESCIA 26 (17)
3.TRENTO 26 (17)
4.VIRTUS BOLOGNA 24 (17)
5.MILANO 22 (17)
6.TRIESTE 22 (18)
7.REGGIO EMILIA 22 (18)
8.TORTONA 20 (18)
9.VENEZIA 16 (17)
10.TREVISO 14 (17)
11.SASSARI 14 (17)
12.VARESE 12 (17)
13.PISTOIA 8 (17)
14.SCAFATI 8 (17)
15.CREMONA 8 (18)
16.NAPOLI 8 (17)