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Il Palaverde è biancorosso: in trasferta sono tre su tre

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(Photo Credit: profilo Facebook ufficiale Pallacanestro Trieste)

NUTRIBULLET TREVISO – PALLACANESTRO TRIESTE: 95-100

Nutribullet Treviso: Bowman 8, Harrison (k)16, Torresani 3, Mascolo 14, Martin n.e., Mazzola, Mezzanotte 2, Olisevicius 26, Paulicap n.e., Macura 9, Alston 17.

Allenatore: Francesco Vitucci. Assistenti: Alberto Morea, Mattia Consoli.

Pallacanestro Trieste: Ross 30, Uthoff 13, Brown 18, Ruzzier 9, Brooks 6, Deangeli (k), Johnson 10, Reyes 6, Valentine n.e., Bossi n.e., Candussi 5, Campogrande 3.

Allenatore: J. Christian. Assistenti: F. Taccetti, F. Nanni, N. Schlitzer.

Può un gruppo rock portare a termine un concerto mandando in visibilio il suo pubblico anche senza il chitarrista? A quanto pare, può. Trieste, per la quinta volta in cinque partite, scende in campo incompleta: Ross e Brooks, che dovevano essere in dubbio, alla fine si rivelano due fra i principali protagonisti della vendemmia di Prosecco, in compenso a rimanere – non del tutto inaspettatamente – seduto per 40 minuti (dopo aver svolto regolarmente il riscaldamento con i compagni) stavolta è Denzel Valentine. Ma, ancora una volta, il gruppo riesce ad assorbire il colpo e a non snaturare in alcun modo la sua filosofia di pallacanestro, fatta di grande velocità, infinite soluzioni offensive, solidità mentale e perfetto equilibrio fra individualità e lavoro di gruppo. Il rovescio della medaglia, probabilmente connaturato a questo tipo di basket, è costituito dalla marea di palle perse (22 in tutto, 9 solo dal top scorer Colbey Ross) che non consentono di uccidere la partita neanche con l’inerzia saldamente in mano, concedendo rapidi contropiede o conclusioni solitarie da oltre l’arco. Un aspetto che sta divenendo una pericolosa costante, una costante sulla quale si potrà senz’altro lavorare ma che difficilmente migliorerà in modo significativo nel corso della stagione proprio perché scarto di lavorazione di una pallacanestro giocata costantemente a 100 all’ora. Un’altra costante in questo primo scorcio di campionato è il predominio a rimbalzo, un predominio che Trieste non concentra esclusivamente nelle mani dei lunghi di ruolo ma distribuisce in modo uniforme nel roster, segno che la mentalità sia quella di gettarsi sempre e comunque a raccogliere i palloni sputati dal ferro: a Treviso finisce 29-13, un predominio schiacciante che non può evidentemente essere spiegato esclusivamente con l’assenza di Paulicap sotto canestro. A proposito di predominio nel pitturato: conforta la crescita costante di Jayce Johnson, sempre più consapevole e convinto, agonisticamente più feroce e dunque più credibile agli occhi dei compagni che ora lo coinvolgono maggiormente in attacco, innescandolo sul pick and roll o servendolo in movimento sul taglio in mezzo all’area. Cresce anche l’intensità del gioco di Reyes, ancora lontano da uno stato di forma ottimale ma visibilmente in grande progresso dal punto di vista fisico: per un giocatore che fa dell’esuberanza atletica il suo punto di forza, il recupero del ritmo partita è forse l’aspetto più importante, una volta recuperato quello la squadra di Christian disporrà di una addizione di lusso. Addizione quantomai fondamentale alla luce dello scarsissimo impiego, a dire la verità quasi nullo, del pacchetto degli italiani (Candussi e soprattutto Ruzzier esclusi), che rende ancora corte le rotazioni, specie in assenza di pedine americane fondamentali. 

Sono probabilmente più dei 300 dichiarati i tifosi triestini che seguono la squadra nella Marca, segnale piuttosto indicativo su che tipo di entusiasmo susciti questa squadra per la sua mentalità vincente, per la sua “cazzimma”, per lo spirito sempre in equilibrio fra combattimento e divertimento. L’accoglienza del Palaverde è, come di consueto, non particolarmente amichevole, sebbene gli slogan offensivi vintage, triti e ritriti, risultino particolarmente patetici e fuori dal tempo. La curva triestina, peraltro, risponde con una coreografia che celebra i sette decenni dal ritorno all’Italia, mettendo fine al confronto a distanza con un evidente KO tecnico. Ne consegue un clima da corrida sugli spalti ed anche in campo, in cui a risultare maggiormente penalizzati risultano proprio quelli che da questo derby avevano più da perdere: i giocatori di Treviso sono nervosissimi, arrivano addirittura ad insultarsi a vicenda, accolgono ogni errore, ogni fischio arbitrale, finanche ogni cambio non gradito come un’offesa personale, entrando in un loop autodistruttivo che alla fine ne causa il definitivo deragliamento. Ky Bowman e Deangelo Harrison, dieci falli in due, escono nel momento più importante con il punteggio teoricamente ancora in bilico, e da quel momento, a tre minuti dal termine, per Treviso si spegne definitivamente la luce, anche perchè Trieste inizia razionalmente a giocare con il cronometro, al netto di un paio di nefandezze (palle perse e rimesse dal fondo nelle mani degli avversari) che per fortuna risultano indolori. I biancorossi di Jamion Christian, in questo clima, riescono dal canto loro a metabolizzare la pressione ambientale trasformandola in energia positiva: rimangono freddi e concentrati, cercano di ragionare in ogni situazione, si distraggono troppo spesso in difesa -i primi due quarti con media di 28,5 punti incassati sono eccessivi anche in trasferta- ma tendenzialmente eseguono il piano partita in modo letale quando diventa indispensabile mantenere il sangue freddo. In assenza di Valentine manca il tocco di imprevedibilità e creatività all’attacco triestino, ma il roster di Trieste può vantare due giocatori che magari non offrono prestazioni appariscenti, quasi mai accumulano bottini di punti che li mette in evidenza al primo colpo d’occhio, ma che invece valgono quanto l’oro zecchino: Jarrod Uthoff non lascia passare un incontro senza sorprendere chiunque lo veda giocare sul fatto che non sia stato notato prima dai top team europei. E’ l’unico che mantiene aggressività costante in difesa (altre due stoppate per lui, oltretutto piazzate nel finale), soffre l’inverosimile solo quando coach Christian rinuncia ai due numeri 5 per affidarsi solo a lui e Brooks per presidiare il pitturato (almeno stavolta il reparto lunghi avversario deve rinunciare al centro titolare, assente per infortunio), ma piazza due bombe in rapida sequenza capaci di abbattere le certezze di Treviso proprio quando la squadra di casa, nel terzo quarto, stava accumulando un vantaggio non ancora decisivo ma capace di innescare pericolosamente il Palaverde come una polveriera. Uthoff somma tante piccole cose eseguite alla perfezione nei 32 minuti in campo, una somma che alla fine recita 23 di valutazione, la più alta dell’intera squadra. L’altro elemento imprescindibile è un Jeff Brooks alla quarta partita consecutiva senza errori dal campo, capace di imbrigliare definitivamente l’unico terminale offensivo trevigiano in grado di mantenere costante il suo rendimento, quell’Osvaldas Olisevicius che fino alla “cura Brooks” imperversava da ogni parte del campo. Il peso dell’assenza di Brooks domenica scorsa contro Reggio Emilia appare in tutta la sua evidenza al Palaverde: con lui in campo, il saldo plus/minus (cioè il risultato della “mini partita” giocata nei 24 minuti spesi sul parquet dall’ex Reyer) recita +15.

La partita vive di strappi e contro strappi, con Treviso che si illude ed illude il proprio pubblico con il solito inizio arrembante, nel quale accumula meritatamente un vantaggio che viaggia verso la doppia cifra (senza raggiungerla), prima che Trieste si scuota dal torpore e ricucia in un lampo il gap. Da lì in poi, alla fine del primo quarto, la partita diventa spettacolare per lo spettatore neutrale, con gli attacchi che prevalgono nettamente sulle difese e vantaggi alternati ma mai, nemmeno illusoriamente, rassicuranti. Ma è anche una sfida a chi mantiene più a lungo i nervi saldi, e come detto Treviso non ha la razionalità e la calma nel suo DNA: del resto i cavalli di razza come Bowman e, soprattutto un agitatissimo Harrison possono magari far vincere partite grazie a giocate dal tasso tecnico incalcolabile, ma sono difficilmente imbrigliabili in un disegno generale che cerchi di asservire le loro prestazioni al bene della squadra anziché risultare fine a sé stesso. Dal canto loro, Colbey Ross e Markel Brown sono l’esatta antitesi: poker face a tratti irridente, concentrati e letali, calmi come un cobra prima di morderti. Ad iniettare saggezza ci pensano anche Brooks e Uthoff, il risultato, nonostante i ben 95 punti incassati, ne è la diretta conseguenza. Si finisce con Jamion Christian osannato ed abbracciato (proprio fisicamente) dalla curva. Ci è voluto tempo, tanta resistenza, tanta pazienza reciproca, tantissima capacità e voglia di capirsi, tanta resilienza, per usare un termine caro a lui ed a Mike Arcieri, ma alla fine l’onestà intellettuale del coach è divenuta il suo tratto più apprezzato dalla piazza, che ora lo ha definitivamente adottato, e questa è una grande vittoria del club che va oltre la vittoria sul campo.

Il sabato della LBA non si è limitato al derby del Palaverde: Tortona si impone sul difficilissimo campo di Trapani (dando ulteriore valore alla vittoria di Trieste proprio a Casale due settimane fa), Milano, dopo i disastri di Eurolega, torna a vincere in campionato imponendo l’ennesimo stop ad una Napoli ancora ferma al palo, la Virtus vince a Cremona come da pronostico, e Brescia vince a Reggio Emilia confermandosi, assieme a Trento, la squadra forse più continua nel primo scorcio di stagione.

Domenica prossima si torna al PalaTrieste per affrontare una sfida contro Varese che assume molteplici motivi di interesse: Mike Arcieri contro un passato di non facile interpretazione (specie nel suo epilogo), tre protagonisti della stagione “degli immarcabili” ora sulla sponda triestina, il grande dubbio sulla legittimità di una salvezza “regalata” ai lombardi in cui a fare le spese fu proprio la squadra guidata dall’attuale assistente allenatore della OpenJobMetis Marco Legovich. Una Varese che arriverà profondamente rivista, con il ritorno in corsa di Jaron Johnson e dell’ex Trieste Skylar Spencer (che nella famigerata stagione giocavano sui lati opposti della barricata). In compenso, quasi certamente, Varese rinuncerà a Nico Mannion. Ma, indipendentemente da quelli che saranno gli avversari, Trieste giocherà la sua partita, con l’unica incognita sulla possibilità o meno di scendere in campo, per la priva volta dal 31 agosto, finalmente al completo.