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La solitudine dei Numeri Uno

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L’Italietta, ormai, è questa roba qui. Rassegnamoci o soccombiamo: la facilità irrisoria con la quale chiunque, dal presidente dell’Accademia della Crusca all’indigeno antropofago delle isole Andamane, dallo scienziato del CERN al laureato all’università della vita, dal letterato all’analfabeta funzionale, dal filosofo a colui che ha difficoltà a distinguere le lettere dai numeri della password sul cellulare, ha accesso alla possibilità di vomitare sui social le proprie frustrazioni, la propria rabbia, talvolta la propria arguta intelligenza, più spesso la propria profonda ignoranza, costituisce la più moderna e dirompente forma di democrazia dall’invenzione del vocabolo stesso nell’antica Grecia quattromila anni fa.

Democrazia che, negli anni successivi alla pandemia, ha sdoganato, rendendole regole del vivere comune, la dimostrazione della propria inettitudine come un valore da esibire, la maleducazione e l’ingiuria come diritto di opinione, la semplice esistenza sui social di un argomento o di un’opinione come prova di verità assoluta. Siamo passati attraverso il complottiamo più irrazionale, la ribellione all’informazione main stream, le fake news elevate a libro di testo. Più recentemente, emerge purtroppo un più elevato e fastidioso livello di sottocultura: l’abbattimento sistematico dell’eccellenza, l’attacco acefalo a qualsiasi persona o istituzione che per meriti propri, bellezza fisica, bravura nel suo campo, capacità innovativa si eleva per proprio merito sopra la pigra mediocrità sulla quale vegeta gran parte del popolo dei social. Mediocrità che, impedendo per definizione di splendere di luce propria, implica necessariamente il patetico tentativo di screditare i meriti del prossimo, demolendo irrazionalmente e senza alcuna base di conoscenza reale risultati e qualità di chi, invece, tramite la luce propria ha acquisito benessere, fama e ricchezza.

La bufera social scatenatasi, e tuttora in corso, su Jannik Sinner per la fastidiosa vicenda che lo ha visto protagonista ma lo ha visto anche uscire totalmente pulito e scagionato da una accusa potenzialmente infamante, ne è un limpido esempio. Oggi, in Italia, non puoi diventare numero 1 a suon di vittorie: devi per forza aver barato, pompato illegalmente, rubato, corrotto, minacciato, approfittato di posizioni privilegiate. Non puoi esserci arrivato semplicemente vincendo il 90% degli incontri giocati negli ultimi due anni. Quello non conta.

Che alcuni suoi modesti avversari lo attacchino o cerchino di sfruttare mediaticamente la vicenda cavalcando il doping è anche prevedibile e fa parte del gioco, specialmente se, pur dotati di potenziali quanto teoriche capacità tecniche, si vedono surclassare sistematicamente sul campo dal rosso giovanotto altoatesino. Che Nole Djokovic, proprio lui, il Che Guevara in Lacoste che sarà pure la C.A.P.R.A. (*) nel suo campo ma non ha mai brillato per empatia, reclami pari trattamento per tutti i tennisti in casi analoghi dopo la pantomima e le falsità vomitate da lui, dal suo staff e dai disperati organizzatori del torneo per poter partecipare illegalmente agli Australian Open un paio di anni fa (ce ne siamo occupati qui) divenendo istantaneamente idolo di nazionalisti e profittatori di ogni risma, fa già ridere di suo. Che un tal Nick Kyrgios, tennista australiano che della capra esibisce una particolare parte anatomica proprio a causa di Sinner, vomiti tutta la sua frustrazione simil adolescenziale più per essersi visto privato della bionda accompagnatrice che per non poter nemmeno competere ad armi pari sul campo, fa anche tenerezza. Che la stampa, specie anglosassone, che soprattutto in ambito sportivo mal digerisce da sempre i successi del Bel Paese, parli di doping anche davanti ad un giocatore che a vista pesa 28 chili sudato e che dalle supposte bombe anabolizzanti da due microgrammi non avrebbe comunque tratto alcun beneficio, non costituisce certo una novità, e tutto sommato fa anch’esso parte del gioco. L’unico aspetto della vicenda sul quale è possibile dibattere è il trattamento inflessibile ed inutilmente violento imposto in passato ad altri sportivi in casi analoghi, che poi, analogamente al caso Sinner, si sono rivelati bolle di sapone con grave danno sportivo e di immagine causato agli sfortunati coinvolti, privi dei mezzi economici a disposizione del numero uno italiano. Ma anche qui vi è una evidente inversione dei fattori: se si è sbagliato in passato, non è che per equità sia necessario continuare a sbagliare oggi. La vita, come la storia, può anche tendere al miglioramento. Una volta Giovanni Falcone disse “che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così

Ma ora siamo ad un livello superiore. Che Sinner si trovi sotto il fuoco amico di suoi connazionali che spesso non sanno distinguere il Roland Garros dal pate de fois gras, ma su Facebook (non su Principi Del Foro o Giustizia Oggi… su Facebook!) reclamano maggiori particolari sul caso insinuando provette scambiate, trattamenti privilegiati all’urlo di “se fosse successo a Djokovic….”, insabbiamenti, favoritismi, dichiarandosi poco convinti della sentenza alla fine di un processo durato millemila udienze in quattro mesi, che si è avvalso dell’apporto di periti indipendenti, con una sentenza emessa da tre giudici imparziali è quanto di più abietto, triste ed avvilente che il già avvilente palcoscenico social sta esibendo negli ultimi anni, ma anche il più coerente e prevedibile sottoprodotto (liquame?) che l’ignoranza certificata in forma semi intellegibile sui social sia in grado di generare. Che poi, anche se fossero pubblicati gli interi verbali delle udienze, i risultati delle analisi o il dispositivo della sentenza, in quanti saremmo in grado di emetterne un parere almeno lontanamente coerente? Il punto è: bisogna lasciar fare ad ognuno il proprio lavoro, e fidarsi del giudizio di chi ne sa più di noi. In caso contrario, tacere al fine, più che altro, di evitare di confermare il nostro status di capra, stavolta in senso letterale. E, magari, proviamo per una volta a gioire dell’eccellenza altrui: studiamo, leggiamo, alleniamoci, laureiamoci, sperimentiamo, viaggiamo, conosciamo, fidiamoci di chi lo ha fatto prima di noi. Non sia mai che, magari, domani qualcuno possa accorgersi di quanto bravi siamo diventati senza basarsi sui nostri latrati social.

(*) C.A.P.R.A.=libera traduzione dall’inglese G.O.A.T., Greatest Of All Times