Il cinesino di Arsene Wenger
Arsene Wenger usava piazzare un cinesino in posizioni di campo apparentemente insignificanti. Sembrava che lo piazzasse “esattamente lì”, al millimetro… Ovviamente, ai numerosi allenatori che seguivano i suoi allenamenti, ciò non è sfuggito… Alla sera, discorsi su discorsi, ipotesi su ipotesi, riflessioni su riflessioni… Gruppi di allenatori che amattiscono per spiegare il significato di quel singolo cinesino, messo lì, con estrema cura… Un giorno decidemmo di andare a chiederglielo. Si mise a ridere: “Quel cinesino non significa assolutamente nulla! E’ solo un modo per prendervi un pò in giro…”Il cinesino di Arsene Wenger è una metafora; rappresenta la curiosità, la voglia di guardare un pò tra le righe, sopra, sotto, di guardare al calcio da prospettive diverse insomma.
Capitolo Otto: “Einstein: Semplifichiamo, ma non troppo!!!”
Seguire o proporre modelli è il metodo più conosciuto e usato dalle nostre parti per …“vendere” qualità. Ci nascondiamo dietro a “modelli” da impiantare – più o meno artificialmente – in un tessuto sociale, culturale e sportivo profondamente diverso: il Milan con il suo modello, la Juve con il suo modello e chi più ne ha, più ne metta. In realtà, ci vendono la vernice Rosso Ferrari, per verniciare le nostre Fiat 500… L’analogia “sistema-modello” è la “misura” di quanto fedelmente un modello rappresenta il sistema che vuole replicare. É la caratteristica più importante che un modello deve avere. Grossolanamente, possiamo dire che più l’analogia sistema/modello è alta, migliore è l’efficacia del modello. Fin troppo facile capire che “costruire” un modello su giocatori d’elite (per es. del Milan, della Juve, dell’Ajax e via dicendo) e tentare di trapiantarlo su contesti tecnici e sociali profondamente differenti non può funzionare, poiché troppo diverso è il “substrato” sul quale si vuole impiantare il modello proposto. Per contro, senza scomodare più di tanto il buon Einstein, semplificare un modello più del dovuto, non fa altro che allontanarlo ancora di più da quello per il quale il modello è nato… In sostanza, “annacquare” i modelli non paga. Molto meglio costruirseli da soli, in base alle nostre conoscenze, competenze e aspettative, ma anche in base ai nostri limiti e alla nostre carenze e necessità. In fondo, questi siamo, e poi, la storia ha dimostrato che a Trieste, lo abbiamo già fatto, e anche con ottimi risultati! La nostra colpa, semmai, è di non crederci ancora…
Del modello prescelto ovviamente fanno parte anche i metodi di lavoro, non solo i contenuti o gli obiettivi. Si “ereditano” indirettamente (e involontariamente) le enfasi tipiche del contesto (sociale, culturale, economico, anche politico-ideologico etc) dove il modello è stato concepito. Nel caso di modelli “performanti” avremo dunque come base concettuale/metodologica i valori della concorrenza, della competizione, la percezione quasi spasmodica di sport inteso nel senso di “performance”, di risultato… Ne deriva un’eccessiva ed innaturale utilizzazione di metodi di lavoro specifici, più selettivi, dove la competizione (con vinti e vincitori) ne rappresenta la parte portante. La perplessità sta nel fatto che in tutti gli altri settori della formazione e dell’istruzione (scuola soprattutto, società sportive dilettantistiche etc) ci suggeriscono di andare in senso opposto: inclusione, solidarietà, condivisione… Come fare per trovare un equilibrio che soddisfi le molte anime dello sport?