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Fischi per fiaschi

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(Photo Credit: Sito ufficiale Pallacanestro Trieste)

PALLACANESTRO TRIESTE – FLATS SERVICE FORTITUDO BOLOGNA 65 – 84

Pallacanestro Trieste: Bossi 0, Filloy ne, Rolli ne, Reyes 13, Deangeli 1, Ruzzier 10, Camporeale ne, Campogrande 9, Candussi 10, Vildera 5, Ferrero 8, Brooks 9. Allenatore: J. Christian. Assistenti: M. Carretto, F. Nanni.

Flats Service Fortitudo Bologna: Giordano ne, Sergio 5, Aradori 19, Conti 0, Bolpin 5, Panni 1, Kuznetsov ne, Fantinelli 16, Freeman 23, Ogden 15, Morgillo 0. Allenatore: A. Caja. Assistenti: M. Angori, E. Mazzalupi.

Parziali: 8-21 / 15-27 / 21-19 / 21-17

Progressivi: 8-21 / 23-48 / 44-67 / 65-84

Arbitri: M. Rudellat, C. Cappello, S. Tarascio

Finisce come probabilmente non finiva da vent’anni a questa parte: allora il pubblico chiedeva a gran voce il ritorno di Cesare Pancotto ed a farne le spese fu Luca Banchi, pensa tu i casi della vita. Oggi al centro del ciclone c’è Jamion Christian, da più parti individuato come il maggiore colpevole di una prestazione, e più in generale di una prima parte di campionato, che definire preoccupante è un eufemismo. La sua squadra, contro la prima vera pretendente alla promozione, una Fortitudo in fiducia totale, si scioglie quasi subito, litigando ostinatamente con il canestro, peraltro cercato quasi esclusivamente con l’unica soluzione che in questo momento sembra essere nel suo arsenale: un tiro da tre che, però, ha smesso di entrare dopo venti minuti a Cento e si ostina a colpire qualunque parte dei sostegni del canestro, tranne il fondo della retina.

Attilio Caja affonda spietatamente il suo coltello caldo nel burro difensivo biancorosso: costruisce gli attacchi della sua squadra con il metronomo, approfittando a ripetizione dei numerosi mismatch che vedevano i piccoli triestini cercare di arginare nel pitturato lo strapotere fisico di Ogden e Freeman, lasciati conseguentemente liberi di trovare conclusioni ad altissima percentuale. Vedere nel secondo tempo Stefano Bossi a mani alzate cercare di contrastare a un metro dal canestro il lungo Freeman, rimanendo abbondanti venti centimetri sotto la palla, fa quasi tenerezza. Ma Bologna colpisce anche in contropiede, è precisa nell’approfittare del consueto ritardo nelle chiusure difensive sui tiratori da tre, punisce con chirurgica precisione ogni singolo errore difensivo triestino, pur senza mostrare alcunché di particolarmente spettacolare. Si permette anche il lusso di soccombere nella sfida a rimbalzo, lasciando ben 17 carambole offensive ai triestini, che però ne approfittano in meno della metà delle occasioni. La Fortitudo, però, il suo capolavoro lo costruisce in difesa, dove alterna sapientemente una uomo aggressiva ad una zona che la risibile percentuale dai 6.75 degli avversari non riesce nemmeno a scalfire. L’unico terminale offensivo fin qui credibile, Justin Reyes, è facile preda dei lunghi sotto canestro, non trova mai tiri semplici, viene malmenato quanto serve per scoraggiarne anche le consuete scorribande isolate e prive di organizzazione che avevano tenuto a galla la sua squadra in diverse situazioni in partite precedenti.

La Fortitudo è bravissima nel riuscire a fare quello che Trieste non è mai riuscita a mettere in atto, cioè uccidere la partita una volta preso un vantaggio rassicurante. A cavallo fra primo e secondo quarto si assiste ad un massacro che si traduce in un 21-2 tramortente che fa scavallare al gap quota 20 e consente agli uomini di Caja di controllare agevolmente nei rimanenti 25 minuti, senza mai alzare il piede dall’acceleratore (forse da quello della concentrazione nel garbage time finale, peraltro davanti ad avversari incapaci di approfittare anche del calo di tensione per limitare almeno i danni). Anzi, la Fortitudo si permette addirittura di perdere i due quarti finali, ma il suo vantaggio è talmente avvilente per Trieste e galvanizzante per Bologna che ad ogni timido tentativo di fiammata biancorosso corrisponde una zampata facile facile a rintuzzarne ogni velleità.

Ridurre l’analisi del massacro alla agghiacciante percentuale al tiro dalla distanza, come fatto dal coach in sala stampa, è dunque un esercizio largamente incompleto, a cominciare dal fatto che, una volta constatato che anche contro Bologna non era serata nemmeno costruendo tiri aperti ed in ritmo, il coach ha continuato a far giocare la sua squadra sempre, invariabilmente, cocciutamente allo stesso modo. Esistono alternative? E’ accettabile cominciare a crearle a fine ottobre? Sarebbe comunque troppo tardi? Come si può correre ai ripari, posto che il ricorso al mercato in questa categoria è difficilissimo e quasi mai risolutivo? Cambiare conduzione tecnica, come richiesto a gran voce dalla curva, avrebbe un senso dopo cinque partite con un roster selezionato ad immagine e somiglianza di Jamion Christian? Sono domande che probabilmente rimarranno senza risposta. L’impressione è che il club abbia investito risorse e credibilità nel coach americano e non cambierà direzione, e comunque, di certo, il GM e la proprietà non si spaventano per due sconfitte in cinque partite. A preoccupare, però, è l’apparente stordimento del coach davanti alla domanda che sempre più insistentemente gli viene posta, e cioè su cosa pensa che bisognerà cominciare a lavorare da domani per cambiare l’inerzia soprattutto mentale, e conseguentemente tecnica, della sua squadra. Latitano le idee sull’attuazione del famoso Piano B, limitato da un reparto lunghi che si riduce a due singoli uomini di cui uno impiegato appena 11 minuti (di cui almeno cinque nel garbage time finale) ed i falsi big man su cui si riponeva grande fiducia -Deangeli, Ferrero e Reyes- che dimostrano di non avere nelle loro corde, e probabilmente di non averlo mai avuto, il gioco in post basso. In compenso, tre playmaker sembrano davvero troppi: i quintetti nei quali curiosamente vengono tutti e tre impiegati contemporaneamente costringono almeno uno di loro, se non due, a giocare in un ruolo, quello di guardia, che gradiscono pochissimo.

In ultima analisi, un guazzabuglio difficilissimo da districare. La faccia apparentemente serena ma invece attonita, di Michael Arcieri in sala stampa, costretto a tradurre le consuete banalità prestampate del coach alle quali cerca sempre di aggiungere un po’ di analisi e razionalità, la dice lunga sulla preoccupazione che comincia a farsi strada nella sua mente.

Ora mancano 7 giorni ad una sfida delicatissima sul campo di Verona, una squadra che sembra altrettanto in difficoltà e che fatica a rialzarsi dal colpo infertole dalla retrocessione di maggio. Per Jamion Christian e la sua squadra non c’è più margine di errore, anche perché le squadre che dovevano vincere hanno cominciato a farlo con continuità e perdere troppo terreno in classifica potrebbe rivelarsi disastroso. Poi, dopo la seconda trasferta consecutiva a Piacenza, si tornerà a Trieste per il doppio derby. Quattro partite per invertire una rotta che sta conducendo la Pallacanestro Trieste a schiantarsi su un iceberg di dimensioni epiche.