Sorridente, sicuro di sé, con le idee già piuttosto chiare sul suo ruolo ed il suo compito, ma anche delle difficoltà che lo aspettano e del modo di confrontarsi con esse, un aspetto atletico che gli attribuisce 10 anni di meno rispetto ai 41 della carta d’identità. E’ il primo contatto “dal vivo” per il nuovo allenatore della Pallacanestro Trieste con la stampa locale, accompagnato nell’occasione dal GM Mike Arcieri, che ha raccontato il processo che ha portato alla scelta del coach americano per affrontare una delle stagioni più difficili e delicate della storia recente del club.
Arcieri e Christian si erano conosciuti per caso otto mesi fa tramite un amico comune e la partecipazione ad una puntata del podcast “Last Call”, ed avevano chiacchierato di filosofia cestistica, metodologie di allenamento, di valori sportivi ed etica di lavoro. Quando poi il manager italo americano si è trovato a dover fare la difficile scelta su chi far sedere in panchina nella prossima stagione il pensiero è tornato a quell’incontro, e fra decine di candidati e moltissimi colloqui la scelta è caduta proprio sul coach virginiano. A colpire Arcieri, oltre alla profonda conoscenza tecnica del gioco, è stato soprattutto l’aspetto umano, la capacità di entrare in empatia con le persone, di metterle al primo posto non solo dentro al campo da gioco, oltre alla sua passione per la pallacanestro: come per la scelta dei giocatori, è stato proprio l’aspetto umano il vero motore che ha portato GM e proprietà a puntare l’attenzione su di lui.
“Sono molto contento di essere qui – queste le prime parole di coach Christian – e sento la responsabilità del ruolo in questo posto carico di storia. Sento la responsabilità di essere il leader di questi giocatori e sono pronto a questa sfida. Adoro questo gruppo di giocatori e quanto loro in primis vogliano bene ai loro tifosi. Sono tutti pronti a questa sfida, cosa che ci darà soddisfazione lungo il percorso. Per noi tutti si tratta di una grande opportunità di crescita, soprattutto nell’integrare diverse idee, stili di gioco, approcci al lavoro. Sono contento perché dopo soli pochi giorni di allenamento anche i ragazzi stanno facendo proprie queste idee, si vede già una chimica tra di loro. La A2 è un campionato estremamente difficile, conterà la nostra capacità di resilienza e di affrontare insieme le difficoltà per uscirne più forti, di arrivare agli appuntamenti importanti con una condizione fisica e tecnica in crescita. La squadra lo ha capito, sa perfettamente che siamo tutti coinvolti in questo processo. Lavoreremo singolarmente con i giocatori affinché per ognuno di loro possiamo capire come portarlo al massimo della condizione. Consiglio a tutti i nostri tifosi di abbonarsi perché sono sicuro che quest’anno ci sarà da divertirsi”. Su Eli Brooks “Eli ha 24 anni, ma per maturità e QI cestistico ne dimostra trenta. Sa fare un po’ di tutto, sa correre in contropiede ma anche gestire i ritmi, gli piace attaccare il ferro ma anche far giocare i compagni. Mi piace che i veterani della squadra, da Ferrero a Filloy lo abbiano preso sotto la loro ala protettrice, lo accompagnano passo per passo nel processo di integrazione, e poi i ragazzi lo portano fuori anche dopo l’allenamento, gli fanno conoscere la città. Non avrà alcun problema”.
“Made in USA” la metodologia di lavoro del coach: “Se ho imparato qualcosa per vincere in questi dieci anni da head coach, è essere bravo a delegare. Per questo abbiamo scelto due ottimi collaboratori con una profonda conoscenza del campionato. Ognuno di loro, e ci aggiungo anche i preparatori atletici, ha la sua area di responsabilità, lavoreranno individualmente con i giocatori, troveranno soluzioni tecniche in preparazione delle partite. Il mio compito è più di indirizzo, di sintesi di tutto questo lavoro che viene declinato in campo come all’uscita di un imbuto, di leadership, di formazione di chimica di gruppo“. In ultima analisi, un approccio simile, al netto delle profonde differenze di cultura cestistica, a quello proposto negli undici anni di panchina da Eugenio Dalmasson.
Chiosa finale, da parte di Arcieri, su quello che a Trieste è stato il dubbio più grosso sulla scelta dei giocatori: le condizioni del ginocchio di Justin Reyes. Il GM rassicura tutti: “Con Justin ci siamo sentiti ogni due giorni da giugno ad oggi. Ho sentito il team medico che lo ha seguito negli Stati Uniti per il processo di recupero e fisioterapia, ricevendo rassicurazioni e garanzie sul suo completo e totale recupero. Mi sto rapportando con frequenza anche con il GM ed il medico della nazionale di Portorico, tutti concordano sul fatto che Justin sia in perfetta forma. Vedendolo giocare, anche se ha tirato poco perché non gli passano mai la palla, ho rivisto il giocatore che avevo ammirato in G-League e Summer League e che mi aveva convinto a portarlo a Varese. Salta, va in contropiede, può giocare in quattro ruoli, anche da cinque se serve. E’ un giocatore totale“