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Naufragio a Scafati: ora la salvezza diventa un rebus

Tempo di lettura: 6 minuti

GIVOVA SCAFATI – PALLACANESTRO TRIESTE: 93-85

Pallacanestro Trieste: Hudson 9, Bossi (ne), Davis 19, Spencer 6, Deangeli 0, Ruzzier 8, Campogrande (ne), Vildera 0, Bartley 26, Lever 5, Terry 12. Allenatore: Legovich. Assistenti: Maffezzoli, Vicenzutto.

Givova Scafati: Okoye 20, Hannah 5, Rossano 8, Thompson 14, Logan 20, Imade (ne), Mian 7, Krampelj 6, De Laurentiis 4, Imbrò 9, Tchintcharauli (ne), Stone (ne).

Parziali: 19-19 / 32-21 / 19-26 / 24-19
Progressivi: 19-19 / 51-40 / 69-66 / 93-85

Arbitri: Lanzarini S. – Borgioni D. – Gonella E.

All’andata, contro la Givova di Attilio Caja, furono sufficienti 10 minuti di basket “vero” nell’ultimo quarto, dopo 30 minuti di sofferenza, per accumulare faticosamente cinque lunghezze di vantaggio che portarono due punti in classifica. Contro la Scafati di Pino Sacripanti non possono bastare i sei minuti di lucida follia che in apertura di terzo quarto regalano un illusorio quanto incredibile 17-0 che ribalta l’inerzia dell’incontro e riportano Trieste in vantaggio addirittura di sei lunghezze. Prima e dopo, il nulla, o quasi. Trieste, a dire la verità, tira anche con percentuali decenti da due ed in linea con le sue medie da tre con un’ottima performance dalla lunetta, ma purtroppo per Marco Legovich ed i suoi uomini la pallacanestro si gioca su 28 metri e comprende pure la fase difensiva. Una fase difensiva che concede chilometri e secondi di vantaggio ai tiratori gialloblu, non a tiratori casuali, ma a quelli che anche i fanatici del ping pong avrebbero facilmente individuato alla vigilia come i due terminali designati: Logan (che dal canto suo è capace di infilare triple bendato e con la mano dell’avversario sul setto nasale, figurarsi piedi a terra) e Okoye vengono trovati puntualmente liberi sul perimetro tramite giochi tanto semplici quanto efficaci. I due vengono raggiunti nel banchetto da un Matteo Imbrò che, anche se in stagione non sta viaggiando sui livelli dei tempi di Treviso, se viene tirato per la canottiera ad unirsi alla vendemmia non può tirarsi indietro. Vendemmia alla quale si unisce addirittura un Krampelj arrivato in Campania da poche ore ma già ben inserito nei meccanismi di Sacripanti (evidentemente solo a Trieste i nuovi arrivati necessitano di mesi per ambientarsi ed essere metabolizzati dal gruppo) ed un Rossato capace di mandare a viole sia Davis che Bartley grazie a delle finte da Prima Divisione. Risultato, 51 punti subiti nel primo tempo, un -11 dopo venti minuti che pare una sentenza maturato senza quasi accorgersene, con Legovich ad arrancare clamorosamente nelle rotazioni alla disperata ricerca di un equilibrio irraggiungibile, un attacco isterico e poco efficace ed una difesa blanda e comunque puntualmente punita da un metro arbitrale particolarmente fiscale, sebbene per niente sbilanciato. Poi, in pochissimi minuti dopo il rientro dagli spogliatoi, con un quintetto finalmente stabile ed equilibrato, cinque americani contemporaneamente in campo e soprattutto un atteggiamento difensivo aggressivo ed organizzato che riesce a far precipitare le percentuali da due di Scafati sotto il 20% e ad evitare di subire se non altro le triple più aperte, Trieste si ritrova inaspettatamente, abbatte le certezze e l’entusiasmo degli avversari, realizza una ventina di punti in un amen e riapre completamente la partita. A due minuti dal termine della frazione, sul più sei, commette però il peccato mortale che le costa la partita: quello di smettere di essere umile, quello di pensare di poter disporre di avversari che considera ormai alla corda e che però sono capaci di riprendere imperterriti la loro marcia da oltre l’arco: due bombe e tre tiri liberi di seguito permettono agli uomini di Sacripanti di riprendersi l’inerzia del match, ed a quel punto Trieste spegne totalmente la luce. Legovich riprende a ruotare vorticosamente sbilanciando di nuovo il quintetto, del resto può fare poco quando dalla pattuglia italiana ottiene la bellezza di 13 punti con due NE -Bossi e Campogrande- ed uno -Vildera- in campo per neanche 60 secondi. Dal canto suo, Scafati riprende il discorso interrotto al 20′ disponendo a piacimento degli avversari nel quarto quarto, tornando ad approfittare di una intensità difensiva biancorossa che sembra sotto l’effetto di ansiolitici. Dispone a piacere dei tempi di gioco nella fase finale approfittando anche del fatto che Trieste, anche quando riesce a recuperare palla, spara a salve con soluzioni di tiro cervellotiche, fuori ritmo, apparentemente improvvisate e spesso frutto di frustrazione: è indicativo un intero minuto nel quale i biancorossi, attardati ma tutto sommato ancora in partita, falliscono quattro tiri di seguito praticamente nella stessa azione, andando poi a subire la bomba spezzagambe all’altro capo del campo. Il disastro è completato dalla volatilizzazione del vantaggio nel doppio confronto, obiettivo secondario che avrebbe comunque potuto essere parzialmente raggiunto a fil di sirena se una preghiera di Davis si fosse infilata anziché incocciare, come l’intera partita di Trieste, sul ferro campano pareggiando il +5 dell’andata.

Corey Davis contro David Logan

Preoccupa, questa Trieste sfilacciata ed a tratti inutilmente altezzosa, squilibrata ed ancora alla ricerca di una identità perduta con le partenze di Pacher e Gaines ed il contemporaneo arrivo di due giocatori il cui livello tecnico sarà pure medio-alto, ma che che evidentemente non rispondono nemmeno lontanamente all’identikit del giocatore più adatto a subentrare per elevare il rendimento complessivo anziché minarlo. Non c’è più il tempo per ripensarli in ruoli per loro non naturali (ammesso e non concesso che siano disponibili a sacrificarsi), ma impiegati così come nelle ultime due partite servono veramente a poco. Emanuel Terry anche a Scafati è sacrificato da 4 sempre in compagnia di Spencer, condividendone e dimezzandone, però, spaziature e conclusioni. Rimane da solo sul parquet da 5 non più di 30 secondi, i 30 secondi migliori della sua partita, nei quali può difendere sotto il ferro anziché andare ad avventurarsi in aiuti sul perimetro risultati quasi sempre in ritardo o frustrati da giocatori più piccoli e più abili nell’uno contro uno, oppure (come Okoye) troppo veloci nel catch and shoot da tre. Hudson è una guardia, farlo giocare da tre è già un azzardo (sperare che diventi l’ala tiratrice che Trieste avrebbe avuto l’occasione di ingaggiare dopo la partenza di Gaines è pura utopia, dal momento che oltretutto predilige le penetrazioni ai tiri da fuori), mentre gli sprazzi da 4 sono un suicidio tecnico. Per l’amor del cielo, Terry finisce in doppia doppia e Hudson disputa la sua onesta partita senza picchi ma anche senza particolari errori, sebbene entrambi non possano sottrarsi al banco degli imputati per il livello della difesa. Discorso a parte per Bartley: il miglior marcatore del campionato ne mette 26 anche a Scafati, in sua assenza si sarebbe indubbiamente rischiato l’imbarcata. Ma in questa fase della stagione il giocatore pare più preoccupato di “truccare” le sue statistiche in funzione dei contratti futuri più che dall’utilità e della presa di responsabilità da vero leader della squadra. Come successo anche contro Reggio Emilia, ai fuochi d’artificio, alle conclusioni da ogni parte del campo sparsi nei primi tre quarti di gioco, fa da contraltare un quarto finale nel quale sparisce letteralmente dal campo. Sicuramente complice della situazione è il raddoppio sistematico della difesa campana su di lui (raddoppio che peraltro non viene sfruttato dai compagni), ma probabilmente anche il fatto che preferisca magari non essere il match winner ma esibire un tabellino brillante, piuttosto che finire sulle cronache della partita come colui che ha sbagliato il tiro della vittoria.

La regia di Davis (5 palle perse ma anche 9 assist, 19 punti con il 71% da due e 20 di valutazione) è lucida esclusivamente nei 7 minuti di follia nel terzo quarto, per il resto si unisce a Ruzzier (-20 il plus/minus con lui in campo) in una regia sconclusionata e poco logica, frettolosa più che frenetica, solo a sprazzi propensa a coinvolgere ed innescare i compagni.

Ora, pur conservando quattro punti sulle penultime in attesa del resto della giornata di campionato, è evidente che la salvezza di Trieste passerà necessariamente dai risultati dagli altri campi. Alla vigilia di un mese di aprile terrificante, pur rimanendo matematicamente proprietaria del suo destino, la squadra di Legovich non potrà prescindere dallo sperare in buone notizie dai match che d’ora in poi vedranno protagoniste le sue avversarie dirette. Dopo aver fragorosamente fallito gli esami Brescia, Reggio Emilia e Scafati, ora Trieste dovrà affrontare in casa la Virtus, andare in trasferta a Trento, tornare all’Allianz Dome contro Varese, viaggiare consecutivamente a Sassari e Pesaro, per culminare il 30 di aprile nell’ultimo scontro diretto in programma, quello contro Verona, e finire la stagione su un campo sul quale in cinque anni non si è mai nemmeno avvicinata ad una parvenza di speranza di poter vincere, a Brindisi. Se la quota salvezza si è probabilmente abbassata, la lotta d’ora in poi si fa spietata e nessuno può sperare di raggiungere l’obiettivo se non tornando quel gruppo umile ma combattivo, scarso ma efficace che ha portato i biancorossi a conquistare nove vittorie.