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2. Mangiafuoco chi è, il suo nome è Conrad McRae

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Ci sono giocatori che più di altri hanno scatenato entusiasmo, trascinato la propria squadra a vittorie impensabili, riempito da soli palazzetti. E poi ci sono ragazzi che per motivi diversi, per le loro storie incredibili, per le vie tortuose che li hanno portati a Trieste o strappati alla città, per il loro modo unico di intendere la vita e la pallacanestro hanno acceso la fantasia dei tifosi, lasciando un segno indelebile nella lunga epopea del basket moderno cittadino. Sono tutti arrivati da lontano, tutti reduci da carriere stratosferiche o giovani promesse che verranno mantenute solo dopo aver lasciato San Giusto. Talvolta sono storie tragiche, altre volte esaltanti, raramente vincenti. Il lieto fine non fa necessariamente parte di questo racconto: ma il fil rouge che li lega tutti è il fatto di essere tatuati nella memoria collettiva di chi segue la pallacanestro alabardata.

E’ il 12 aprile del 1999, una luminosa mattina con un cielo terso di un blu quasi accecante, come solo le Montagne Rocciose sanno donare. Un aereo dalla Turchia è atterrato a Denver appena ventiquattro ore prima con un passeggero di 206 cm, e nel training center dei Nuggets, all’interno della McNichols Sports Arena, si sta svolgendo a cento allora un allenamento dedicato ai giocatori con contratto a gettone, pronti a subentrare in caso di necessità fra i dodici che stanno arrancando nella Western Conference. Il passeggero proveniente da Istanbul è un ragazzone sorridente, fisicamente tiratissimo, perfettamente a suo agio e pronto a giocarsi le chance di allungamento del contratto di 10 giorni appena firmato con la franchigia del Colorado. Sta rientrando a tutta velocità in difesa per bloccare un contropiede dei compagni-concorrenti. Il mondo, il suo mondo, diventa improvvisamente buio, cade, sembra in stato confusionale, ma si riprende quasi subito. Jimmy Gillen, preparatore atletico dei Nuggets, lo fa immediatamente portare all’ospedale per un controllo, che però non è risolutivo. Il giorno dopo Conrad McRae viene messo da Gillen su un tapis rouland per una prova sotto sforzo, ed il ragazzo sviene dopo poche falcate. Il ragazzo, però, non ha bisogno che gli venga riferita la diagnosi: suo padre è morto per un infarto provocato da aritmia ventricolare, un difetto cardiaco congenito ed ereditario. I medici di Denver consigliano, impongono, scongiurano McRae di smettere con la pallacanestro. Rinunciare ad un sogno in cambio della sopravvivenza. Non è un opzione per uno che ha fatto dell’NBA l’unica ragione di vita, l’obiettivo agognato, accarezzato, sfiorato ma mai conquistato. Il referto emesso dall’UCHealth University of Colorado Hospital sarà il suo segreto, suo e della sua amata Erika. Le ali di Icaro cominciano a sciogliersi quel maledetto giorno ai piedi delle Rocky Mountains.

Conrad McRae in Europa è già una sorta di celebrità, uno dei top player girovaghi dotato del  magico dono di entrare immediatamente in empatia con il pubblico ad ogni latitudine. Il vecchio continente è la sua dimensione: dopo i 4 anni in NCAA a Syracuse, non viene scelto al draft dell’NBA e si trasferisce direttamente ad Istanbul, al Fenerbache, dove inizia a dare spettacolo con i suoi viaggi mezzo metro sopra il ferro con schiacciate che da questa parte dell’oceano non si erano ancora mai viste se non in TV. L’anno successivo è in Francia, al Pau-Orthez, ed ovviamente partecipa allo slam dunk contest durante l’All Star Game di Uleb Cup che nel 1995 si disputa a Valencia. Per la schiacciata decisiva si inventa una performance degna della competizione americana appena andata in scena a Phoenix. Mette tre persone in fila in area, appicca il fuoco ad un pallone, salta in testa ai tre a gambe divaricate e deposita il pallone infuocato entrando con la mano dentro il ferro. Standing ovation, pubblico in estasi. I tifosi di Pau impazziscono ed iniziano da subito a chiamarlo Strombolì, che altri non è che il Mangiafuoco di Pinocchio nella versione d’Oltralpe. Mangiafuoco continua a viaggiare, torna in Turchia e vince campionato e Coppa Korac con l’Efes Pilsen. In Italia, nel 1996-97, devasta i tabelloni del palazzo di Casalecchio di Reno, sfiorando lo scudetto con la maglia della Fortitudo Bologna al fianco di Carlton Myers e Roberto Casoli. Ma, nonostante il fatto che i ragazzi della Fossa rimangano costantemente privi di voce al termine di ogni sua esibizione, la dirigenza felsinea decreta che “sa solo schiacciare”. E dunque, per vincere lo scudetto, ingaggia al suo posto per la stagione successiva uno che, tutto sommato, il gesto atletico dell’affondata non lo disdegna affatto: Dominique Wilkins. McRae continua a viaggiare, l’anno dopo è a Salonicco, quello successivo torna ad Istanbul a rivestire la maglia gialla e blu del Fenerbache che aveva già indossato agli esordi da professionista.

A Trieste, nell’estate 1999, ci si gode ancora il profumo della promozione arrivata poche settimane prima al termine di un’avvincente serie contro Livorno. Scongiurato il pericolo di fallimento con la fine dell’era americana di Frank Garza, ed il titolo che per qualche giorno viene offerto ad altre quattro città, come nuovo presidente viene nominato Federico Pacorini, che riesce a convincere il manager Massimo Zanzi ad abbinare alla maglia il nome dell’innovativa azienda che aveva fondato solo qualche anno prima: la Telit nel 1999 è il principale produttore di telefonini in Italia. Bisogna costruire una squadra che possa come minimo salvarsi, e per farlo viene chiamato un giovane allenatore emergente, alla prima stagione in Serie A1 ma dotato di un buonissimo curriculum in A2. Luca Banchi proviene proprio dalla Bini Livorno, la squadra che la Lineltex aveva battuto nella finale promozione. Il nuovo coach vuole iniziare con giocatori di cui si fida, e consiglia la società di andare a saccheggiare la sua ex squadra toscana: arrivano il gioiellino Samuele Podestà, che sotto canestro è una scommessa più per la giovane età che per le sue grandi qualità, ed il croato di Zenica Ivica Maric, play guardia che per tutti, dalla sua prima stagione triestina due anni prima, è “Ivo Ivo”. Della squadra della promozione rimangono Nello Laezza e Srdjan Jovanovic, da Varese via Atene si trasferisce il futuro capitano biancorosso Roberto Casoli. Da Cantù arriva il trentasettenne Ron Rowan. Sono tutti buoni giocatori, qualcuno è amatissimo dai tifosi, ma è necessaria ancora una trovata per mantenere alto l’entusiasmo del pubblico, che da quest’anno deve riempire un nuovo palazzone nel quale il vetusto quanto glorioso Chiarbola entrerebbe due volte.

Ci vuole uno showman, il colpo ad effetto, il catalizzatore, il terminale offensivo che possa essere innescato da Ivo Ivo. A metà giugno la ricerca sembra finita: viene ingaggiato Mike Batiste, un muscolare rookie californiano che sembra proprio l’uomo giusto. In effetti Batiste dà spettacolo nelle prime uscite durante la preparazione, ma il suo ginocchio cede di schianto a Ferragosto. Alla Telit si riapre la caccia: il profilo di Mangiafuoco arriva improvvisamente sul tavolo della società a fine mese. Costa parecchio, ma lo sponsor è disposto ad allargare le maglie del budget. E poi, il trentacinquenne Banchi, alla prima esperienza su una panchina importante, riuscirà a gestire un cavallo di razza di tal specie? Nessuno ne è particolarmente convinto, ma l’idea di portare lo showtime all’interno di un Palarubini di per sé stesso spettacolare, e che verrà inaugurato a metà ottobre, convince un po’ tutti. McRae è allettato anche dal fatto di ritrovare a Trieste il vecchio compagno Roberto Casoli, con il quale aveva legato a Bologna, ed un Syracuse Alumni come Ron Rowan, che aveva giocato per la sua stessa università qualche anno prima di lui: accetta subito l’offerta, fa le valigie dopo una breve vacanza a casa a Manhattan e sbarca in tutta fretta a Ronchi assieme ad Erika. Supera brillantemente le visite mediche, anche perché il problema che affligge il suo cuore può essere evidenziato solo con esami specifici e mirati, e lui si guarda benissimo dal parlarne. Alla prima uscita casalinga della squadra il 5 settembre contro i croati del Maximir, Chiarbola è già tutto esaurito: curiosità, elettricità pura, eccitazione fra i tifosi, che corrono in massa ad abbonarsi. La città se ne innamora all’istante. Non è difficile vederlo passeggiare in centro, con il suo piumino argento metallizzato su jeans neri e sneakers bianche Air Jordan. Lui dispensa sorrisi a tutti, si ferma a chiacchierare, anche perché parla un discreto italiano, non si sottrae ai riflettori come un consumato divo di Hollywood. E’ di una simpatia straripante anche dentro il campo, anche se lì prevale la sua ferocia animalesca nell’attaccare il ferro. “Sa solo schiacciare” dicevano. Forse sì, ma lo fa in modo sublime, originale, violento, spettacolare. Porta a Trieste la 360°, la reverse, la tomahawk, l’alleyup e tutte le combinazioni fra queste. Quando decolla è pura gioia, poesia atletica in movimento. Non salta, letteralmente vola e poi esulta. Esulta in modo trascinante, in un modo che fa vibrare i nuovissimi listoni lignei che ricoprono il nuovo palazzo di via Flavia. Il 16 marzo del 2000 si gioca in Via Flavia contro la Viola Reggio Calabria. Punteggio pari a un secondo dal termine, rimessa in attacco per Trieste. Laezza alza un alleyup direttamente dalla linea laterale, McRae decolla dalla lunetta, raccoglie il pallone a tre metri e mezzo di altezza e squassa il ferro appendendosi dopo aver schiacciato. Trieste avrebbe vinto, gli arbitri, vai a sapere perché, annullano il canestro. Trieste vincerà comunque di uno dopo il supplementare, ma il gesto atletico al quarantesimo rimane uno dei più incredibili a cui i tifosi del Palarubini abbiano mai assistito. E’ una bella stagione, in cui una classifica tranquilla permette di privilegiare il divertimento, anche perché Rowan e Maric sono le sue spalle ideali. Durante le feste di Natale Mangiafuoco si inginocchia davanti alla bella Erika con il fatidico solitario con diamante fra le mani: “Will you marry me?”. Per forza che lo sposerà: il matrimonio è fissato ad agosto, subito dopo i test match ad Orlando che dall’anno successivo sarebbero diventati la NBA Summer League. Ma siamo ancora in Italia, è una bellissima primavera. La Telit ha conquistato i playoff ed ha inaspettatamente eliminato agli ottavi la Virtus Roma di Mike Iuzzolino, Henry Williams e Sandro De Pol. Il 27 aprile 2000 si disputa al Palaverde gara tre dei quarti di finale contro Treviso: Trieste, sotto due a zero nella serie, recupera McRae dopo che l’americano aveva chiesto ed ottenuto un permesso per poter partecipare ai funerali del padre. La Benetton vince nettamente, la Telit si ferma lì. Sarà l’ultima partita di Mangiafuoco.

A luglio Conrad vola ad Orlando, dove i Magic lo hanno invitato al loro training camp. Negli Stati Uniti il suo segreto non è più tale, perché l’episodio di Denver di un anno prima aveva avuto una certa eco nell’ambiente: i Magic, ad ogni buon conto, gli fanno firmare una liberatoria che sa di presagio, ma lui non indietreggia di un centimetro. E’ il solito Mangiafuoco, esplode in una schiacciata devastante, atterra, cammina verso la sua metà campo. Improvvisamente il suo mondo torna buio. Icaro, stavolta, è caduto per sempre.

Come nasce Mangiafuoco: la gara delle schiacciate del 1994 (dal minuto 11:19)