Ci sono giocatori che più di altri hanno scatenato entusiasmo, trascinato la propria squadra a vittorie impensabili, riempito da soli palazzetti. E poi ci sono ragazzi che per motivi diversi, per le loro storie incredibili, per le vie tortuose che li hanno portati a Trieste o strappati alla città, per il loro modo unico di intendere la vita e la pallacanestro hanno acceso la fantasia dei tifosi, lasciando un segno indelebile nella lunga epopea del basket moderno cittadino. Sono tutti arrivati da lontano, tutti reduci da carriere stratosferiche o giovani promesse che verranno mantenute solo dopo aver lasciato San Giusto. Talvolta sono storie tragiche, altre volte esaltanti, raramente vincenti. Il lieto fine non fa necessariamente parte di questo racconto: ma il fil rouge che li lega tutti è il fatto di essere tatuati nella memoria collettiva di chi segue la pallacanestro alabardata.
È una storia pericolosa, che è passata di bocca in bocca…ma nessuno sa da dove cominciò…. E’ il suo compagno di squadra playmaker e cantautore Angelo Baiguera, nella sua “Cattive Notizie” a raccontare la burrascosa, travolgente, triste storia dei novantantaquattro giorni che Marvin Barnes passò a Trieste nel 1980. Da dove cominciò la sua parabola, però, è ben noto. Figlio di un padre alcolizzato e violento, le sue possibilità di riscatto nella periferia della Providence dei primi anni 60 sono ridotte a zero: ma Marvin ha un dono speciale, oltre che un fisico inarrestabile. E’ di gran lunga il più talentuoso giocatore di basket di tutte le high school del Rhode Island, e non ci mette molto a trascinare prima la sua scuola, poi il college, a trionfare nelle competizioni statali. A Providence è una celebrità, ma la sua fama cresce, e travalica il piccolo stato del Nord Est degli Stati Uniti. Viene notato dagli scout della ABA e della NBA. Chiunque lo conosca lo descrive come generoso e simpatico, ma il suo passato non lo abbandona, non può farlo. Assieme alla sua fama di gran giocatore cresce anche quella di ragazzaccio, le sue intemperanze, la sua propensione ad abusare di qualunque sostanza illegale, assieme al tentativo di rubare un autobus con alcuni compagni di scuola (indossando tutti la tuta della scuola con il nome stampato sul retro), gli fruttano ben presto il soprannome “Bad News“, che lo accompagnerà per tutta la vita. Durante un allenamento all’università un suo compagno lo colpisce involontariamente con una gomitata, rompendogli due denti. Lui lo aspetta fuori dall’arena e lo prende a colpi di chiave inglese, guadagnandosi la prima denuncia per aggressione. Ma Barnes è davvero scandalosamente forte, 205 centimetri di esplosività e tecnica che gli fruttano seconde e terze possibilità di redenzione. Larry Brown dirà di lui, a proposito dei suoi anni universitari: “Fin dal primo momento che l’ho visto ho capito che Marvin era speciale, forse uno dei miei giocatori preferiti. Oltre le sue evidenti abilità, aveva un incredibile istinto naturale per il gioco”. Nel suo ultimo anno di College ha un record di 22 punti e 19 rimbalzi di media, è uno dei prospetti più interessanti negli Stati Uniti, sembra un All Star predestinato. Viene scelto in NBA con la seconda chiamata assoluta da Philadelphia, preceduto solo da Bill Walton, che finirà a Boston. Ma lui rinuncia all’NBA per approdare in ABA agli Spirit Of San Luis, probabilmente la più celebre squadra professionistica di basket dell’epoca, che lo seppelliscono sotto 2 milioni e mezzo di dollari di ingaggio. L’ABA, a differenza della NBA, è già proiettata nello show time, ed infatti sottrae alla lega rivale spettatori e contratti televisivi: la gara delle schiacciate, il tiro da tre, gli spettacoli di metà partita, il pallone a spicchi rossi-blu-bianchi, difese non granitiche e frequenti giocate spettacolari sopra il ferro sono caratteristiche arrivate nella American Basketball Association con almeno 10 anni di anticipo rispetto alla lega rivale, e la rendono il palcoscenico ideale per il giovane Marvin, come lo è già per un certo Dr.J, Julius Erving. Barnes è senza sforzo apparente rookie dell’anno, viaggia in doppia doppia di media, le partite in cui segna più di 40 punti non si contano. Con i primi soldi veri guadagnati torna a Providence, entra nel miglior negozio di articoli sportivi, compra abbigliamento, attrezzatura, palloni, e va a distribuirli ai ragazzini del quartiere nero più povero. Ma cresce anche la sua follia fuori dal campo: l’abuso di cocaina e chissà che altro diventa abitudine, sparisce spesso dagli allenamenti e non si presenta alle partite senza lasciare tracce, riappare dopo giorni dall’altra parte della nazione. Nel 1976 ABA ed NBA si fondono, e Barnes finisce a Detroit, mettendosi immediatamente nei guai: viene arrestato per possesso di una pistola (scarica) all’aeroporto, e siccome è in libertà vigilata sconta cinque mesi di carcere. I Pistons lo tagliano, lui cambia tre o quattro squadre finendo a Boston, quella mitica di Red Auerbach, la squadra della la quale è da sempre tifoso. E’ un’occasione unica, quella da non fallire. Viene notato in diretta TV mentre sniffa cocaina durante una partita in panchina cercando, senza riuscirci, di coprirsi con un asciugamano. Gli abusi e le sregolatezze ovviamente non gli permettono di rendere per quello che il suo talento gli permetterebbe. L’NBA lo accartoccia e lo getta nel cestino, ha trent’anni ma la sua carriera fra i professionisti è finita.
Intanto, nell’agosto 1980, Dado Lombardi vorrebbe affiancare a Rich Laurel, per il primo anno in A1, il suo chiodo fisso Abdul Jeelani, ma non c’è verso di portarlo all’ombra di San Giusto, nemmeno con l’intercessione dello stesso Laurel, volato apposta a New York. Per un incrocio di coincidenze arriva invece la possibilità di ingaggiare la burrascosa superstar espulsa a calci dall’NBA, ma pur sempre un crack per i livelli del basket italiano. A Trieste la sua storia è ben nota, e le rassicurazioni del suo procuratore Percudani non riescono certo ad ammorbidirla, tanto noti sono il personaggio e le sue gesta. Del resto, a pochi chilometri di distanza, a Venezia, viene ingaggiato un altro personaggio che in quanto ad abusi di droga ed intemperanze in campo non ha nulla da invidiare a Barnes: Jerry Buss, nuovo proprietario dei Lakers di Jabbar e Magic Johnson, si era infatti sbarazzato di Spencer Haywood poco prima dell’inizio dei playoff, spingendolo ad intraprendere l’avventura in laguna, in A2, a fianco di Drazen Dalipagic. Lombardi decide dunque di correre il rischio: se la scommessa venisse vinta, si troverebbe fra le mani una specie di messia, uno che in Italia non si è mai visto, uno in grado di trascinare la modesta Hurlingham verso vette impensabili. Barnes si presenta in città affiancato da una moglie che è la sua antitesi: bassissima, sgraziata, poco appariscente, sembra una vittima designata, una specie di santa rassegnata a dover perdonare e raccogliere i cocci di un peccatore destinato con sicurezza al fallimento. Barnes, però, nelle prime uscite sembra veramente un alieno. Si presenta in piazza Marconi a Muggia in un torneo estivo, mostrando un campionario da far strabuzzare gli occhi ai presenti, che mai avevano assistito a tanta prepotenza cestistica. Pochi giorni dopo, contro Brescia nel torneo di Lignano, segna 22 punti in 9 minuti, conditi da una decina di rimbalzi, schiacciate, stoppate, ripetendosi anche contro Torino. Ma se il giocatore in campo non si può discutere, i suoi vizi fuori da esso non lo abbandonano, ed anzi lo accompagnano con entusiasmo al di qua dell’oceano. L’Hotel Al Cigno diventa teatro delle sue performance extra sportive, nelle quali coinvolge, e viene coinvolto, da decine di avvenenti ragazze e signore della Trieste bene. Le notti brave e gli abusi di qualunque genere di sostanza cominciano a limitarne le prestazioni sul parquet, che diventano sempre meno dominanti. La domenica in cui a Chiarbola si gioca Hurlingham-Pinti Inox Brescia, Bad News fa perdere le sue tracce: dopo una delle sue prodezze alberghiere, la sera prima, la festa finisce all’ospedale, e lui, temendone le conseguenze legali, pensa bene di sparire come faceva a Detroit, salvo poi presentarsi in spogliatoio durante il riscaldamento: inutile dirlo, nei 40 minuti in campo sembra un fantasma. La spirale è ormai inarrestabile, fino a quello che Trieste Sport definirà “Il pasticciaccio brutto di via Buonarroti”, uno scandalo annunciato, un’orgia a base di sesso e cocaina nella quale viene sorpreso assieme ai compagni di squadra Rich Laurel e Carlos Mina. Cinque o sei arresti di personaggi noti fra commercianti e professionisti, Marvin finisce per qualche ora in una cella nel carcere del Coroneo per falsa testimonianza, accusa che per un duro come lui è del tutto coerente.
Arriva l’espulsione immediata dall’Italia, i due compagni verranno invece processati e condannati a fine stagione. L’avventura della superstar a Trieste dura, dunque, poco più di tre mesi, il tempo di disputare appena sette partite di campionato e di mettersi irrimediabilmente nei guai. Lo scandalo tiene banco sui giornali per mesi, l’immagine familiare ed amichevole dell’Hurlingham, quella che ogni giovedì entra in tutte le case triestine attraverso Pressing (che su Telequattro fa più audience di Mike Bongiorno), ne viene irrimediabilmente smontata. L’anima nera di Barnes si riporta in America l’innocenza degli anni più meravigliosamente naïf della storia della Pallacanestro Trieste: non sarà mai più così.
Tornato negli Stati Uniti, fallito anche l’ultimo tentativo da giocatore in CBA a Detroit, poi a San Diego, la vita di Marvin Barnes precipita in una voragine sempre più profonda fatta di abuso e spaccio di droga, violenza, detenzione per tre anni in Texas in uno dei penitenziari più pericolosi d’America. Dalla cella nella prigione di San Diego chiede agli amici di prendersi cura della sua famiglia. “Che famiglia???” gli chiedono. Eppure, Marvin ha una moglie e tre figlie, che di lui non sanno praticamente nulla. Tornato a Providence, chi un tempo gli voleva bene cerca di rimetterlo in piedi. Per 22 volte cercherà di ripulirsi, per 22 volte fallirà. Una denuncia per adescamento di una minorenne, accusa probabilmente falsa, lo fa precipitare nuovamente nella spirale di depressione e droga che si rivelerà fatale: verrà trovato morto per overdose, a 62 anni, l’8 settembre 2014. Poco prima di lasciare Trieste, disse di sé stesso: “Ero giovane, arrogante e completamente fuori controllo. Non credevo sarei arrivato a compiere trent’anni. Il mio motto era Live fast, die young, volevo quello stile di vita.”
Angelo Baiguera, “Cattive Notizie”, dall’album “Angelo Baiguera”, 1981