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Indipendence Day?

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Potrebbe essere vicino il “4 luglio autunnale” della Pallacanestro Trieste, il giorno in cui il sospirato closing dell’operazione che porterebbe un fondo americano ad acquisire tutto o parte il pacchetto societario, permetterebbe al club giuliano di inaugurare una nuova era ricca di suggestioni e speranze per il futuro. O forse no.

Le bocche sono (come sempre) cucite, ma il totale silenzio radio sembra quello che di solito precede qualcosa di grosso. I più attenti osservatori hanno captato segnali che descrivono come evidenti, a partire dalla inedita grande attenzione alle apparenze, dalla necessità di lucidare i gioielli di famiglia, primo fra tutti l’Allianz Dome e l’amore della città di Trieste per il basket. Attenzione però, già nel recente passato simili segnali ed indiscrezioni, filtrati attraverso la voglia di crederci dei cronisti, sono puntualmente caduti nell’oblio del nulla di fatto, pertanto è necessario mantenere il giusto equilibrio ed attendere comunicazioni ufficiali. D’altro canto, altre fonti solitamente attendibili vorrebbero il closing ancora di là da venire, confermando il forte interesse USA per la città di Trieste (dunque, non solo per la sua squadra di basket) ma con valutazioni ancora in corso ed un’operazione ancora quasi tutta da definire. Ciò che è innegabile, più che altro perché nessuno dalla società lo ha negato, è che le trattative proseguono, e che in questo momento costituiscono in pratica l’unica pista realmente perseguibile: questa, o le nubi si fanno nerissime.

Il giorno dopo una debacle sportiva al limite dell’imbarazzante, generata soprattutto –ma non solo– dall’evidente squilibrio tecnico fra un top team ed un roster evidentemente non ben assortito, figlio del risicato budget estivo e di più di un errore di valutazione, pare quasi grottesco chiamare a raccolta tutte le componenti del mondo cestistico triestino, dai tifosi alla stampa, dalla società alla squadra, dalle istituzioni ai malati di social. Una chiamata, però, necessaria se non indispensabile a remare tutti dalla stessa parte, alla vigilia di una vera e propria sliding door, quel classico momento che fra una decina d’anni tutti potranno individuare come lo snodo cruciale, nel bene o nel male, della storia del basket alabardato. Il messaggio del club, come al solito non esplicito ma forte e chiaro per chi lo vuole ascoltare, è quello che sia arrivato il momento di far innamorare i potenziali acquirenti americani di un progetto e di una città per la quale hanno storicamente avuto un debole, ed il compito di riuscirci è affidato un po’ a tutti. Certo, non c’è nulla di male nel lanciare una call to action di questo genere, anche in questo delicato momento, sebbene sarebbe auspicabile che a cominciare a dare l’esempio fosse proprio il club, magari aprendosi in modo più chiaro ed attraente scendendo definitivamente, una buona volta, dalla torre d’avorio nella quale si è arroccato negli ultimi anni, ad esempio (ma non solo) reiterando le promozioni in biglietteria. Infatti, se è vero, come è vero, che i gradoni desolatamente vuoti dell’Allianz Dome non possono certo costituire una calamita per eventuali investitori, e che farlo notare non può certo migliorare la promozione del prodotto, è anche lampante che ad essere oggetto di compravendita, alla fine, è il club, non i suoi tifosi: un buon packaging è attraente, ma è il contenuto della scatola, in ultima analisi, a fare la differenza.

La dimensione economica dell’operazione è ben lungi dall’essere noto, pertanto in questo momento è impossibile prevedere quali sviluppi tecnico-sportivi potrebbe rivestire l’ingresso dei nuovi soci. Di certo, anche volendo essere ottimisti e credendo nella conseguente possibilità di una mini rivoluzione in corsa in seno alla squadra, a questo punto della stagione il margine di errore si è praticamente azzerato, per cui la società dovrà muoversi con grandissima e chirurgica attenzione, anche perché riuscire nell’impresa di salvare la categoria al termine di questo campionato aprirebbe prospettive a che a quel punto potrebbero divenire apertamente ottimistiche.

In sintesi: abbandonare la nave proprio ora, quando innegabilmente ce sarebbe la più grande tentazione, potrebbe rivelarsi un errore di proporzioni difficilmente valutabili, e questo vale per tutti, tifosi in primis. Ma l’equipaggio dovrebbe pensare a cominciare a riparare la falla ben prima che arrivino i soccorsi, che potrebbero anche non giungere in tempo