VIRTUS SEGAFREDO BOLOGNA – PALLACANESTRO TRIESTE 85-80
Virtus Segafredo Bologna: Mannion 18, Belinelli 13, Bako 6, Ruzzier ne, Jaiteh 6, Hackett 8, Menalo ne, Mickey 7, Camara 2, Weems 6, Ojeleye 7, Cordinier 12. All.: Scariolo
Pallacanestro Trieste: Gaines 20, Pacher 5, Bossi 3, Davis 22, Spencer 4, Deangeli 0, Ius ne, Campogrande 2, Vildera 2, Bartley 22. All.: Legovich
Parziali: 26-17 / 47-39 / 63-61
Alla fine va come doveva andare, come qualunque bookmaker sano di mente aveva previsto con settimane di anticipo, a maggior ragione dopo la raccapricciante disfatta dei biancorossi contro Pesaro di appena 7 giorni prima. Le assenze di Teodosic, Shengelia, Abbas, Pajola e Lundberg non avevano illuso nessuno, non aggiungendo né togliendo alcunché alla evidente disparità di mezzi residui in campo. Ma vedere Sergio Scariolo scrutare nervosamente il cubone del Paladozza ad un paio di minuti dal termine con i suoi a +4 ed una partita ancora lontanissima dall’essere decisa, è una scena alla quale decisamente in pochi si sarebbero aspettati di assistere. Quella fra la Segafredo Virtus Bologna e la Pallacanestro Trieste è una partita vera, che vive di fiammate da una parte e dall’altra, retta da equilibri di squadra che non potrebbero essere più diversi fra le due contendenti: coralità assoluta sui due lati del campo per le V Nere, i tre piccoli tenori a mettersi a turno la squadra sulle spalle per i biancorossi. Per uscire con i due punti dal fortino felsineo, alla luce della clamorosa disparità tecnica e fisica in campo, sarebbero stati indispensabili tre elementi: primo, il recupero della mentalità combattiva, della motivazione, della concentrazione, della convinzione nei propri mezzi, della capacità di reazione, in una parola: una decisa inversione di atteggiamento e di approccio alla partita rispetto all’esordio casalingo. Secondo, statistiche ben al di sopra dei propri standard, con un’impennata delle percentuali al tiro, specie dalla distanza (finirà con il 43% da tre ed il 54% da due), la prevalenza nella lotta a rimbalzo (finirà clamorosamente con un 36 a 30 per Trieste), la distribuzione delle responsabilità, la limitazione delle palle perse in modo banale (saranno ben 18 alla fine, sulle quali pesano le 9 di Gaines nel secondo quarto), l’efficacia dello sforzo difensivo con continui aiuti e raddoppi sul perimetro e grande spirito di sacrificio sotto canestro. Terzo, un granello di sabbia nel meccanismo perfetto degli avversari, un po’ di decocentrazione, un po’ di stanchezza, un po’ di snobismo nell’affrontare un’avversaria ritenuta non all’altezza. I primi due, in effetti verificatasi (anche senza la necessaria continuità, ma con quella si sarebbe raggiunta la perfezione) non sono riusciti a far materializzare un sogno che ad un certo punto, sul +5 nella quarta frazione pareva illusoriamente a portata di mano. Non ci sono riusciti perché è mancato il terzo elemento, almeno in parte: quella del Paladozza è stata una partita che la Virtus si è illusa di poter uccidere facilmente, specie quando, grazie ad un paio di poderose spallate nel primo e nel terzo quarto, era riuscita a mettere insieme vantaggi in doppia cifra. Ma proprio quando, grazie all’improvvisa impennata di rendimento di Frank Gaines, le stava sbadatamente sfuggendo di mano, l’ha ripresa grazie ai suoi grandi assi nella manica, primo fra tutti un Marco Belinelli che nel momento di massima difficoltà estrae un paio di conigli dal cilindro e li infila nella retina dai 6,25 rimettendo definitivamente nel verso giusto (per la sua squadra) inerzia e risultato. La Virtus, però, non è solo Belinelli: difende intensamente, nella fase finale chiude le vie di penetrazione a Bartley e Davis che fino a metà terzo quarto avevano allegramente banchettato attaccando il ferro anche contro le torri felsinee, fa la faccia cattiva in attacco, specie con un Cordinier che si rivela esiziale quando approfitta di un paio di ingenuità di Spencer. Ed alla fine, tanto basta per tenere a bada i ribelli in un finale che vede Trieste, stremata, fallire le azioni che avrebbero potuto riaprire per l’ennesima volta l’incontro. Ci si mettono anche gli arbitri, con alcune chiamate figlie dell’ambiente, specialmente un canestro concesso nel finale alla squadra di Scariolo con il tiro arrivato, però, almeno mezzo secondo dopo l’accensione dei led di fine azione.
Trieste, come ampiamente previsto quando fu presentato il roster, vive soprattutto sulla vena dei tre piccoli americani. Le tre guardie biancorosse si spartiscono le responsabilità nell’arco della partita, con Bartley in doppia cifra già dopo pochi minuti, autore di 11 dei primi 13 punti di Trieste. Davis esplode nella fase centrale del match, a cavallo fra secondo e terzo quarto, durante i quali colpisce con esiziale precisione da tre ed in penetrazione. Nel frattempo, Frank Gaines si esibisce in una fra le peggiori prestazioni di un americano in maglia biancorossa: 9 palle perse, 1 punto realizzato frutto di innumerevoli errori al tiro da ogni posizione, -7 di valutazione. Poi, verso la fine del terzo quarto, l’ex virtussino decide che può bastare. Realizza 13 punti di fila, colpisce da ogni parte del campo, il canestro per lui diventa una vasca da bagno. Realizza 20 punti in 10 minuti, diventando protagonista della fuga sul +5 a 7 minuti dalla fine. Alla sirena finale Trieste realizza 80 punti, di cui ben 64 escono dalle mani dei tre piccoli. Dagli altri, di conseguenza, la produzione offensiva è quasi nulla, anche se le statistiche, mai come stavolta, non spiegano tutto: Deangeli, a zero punti, è presente in difesa, dà e riceve sportellate in un ruolo non suo, nel quale è spesso il più piccolo e leggero in campo, ma ciò non lo fa certo arretrare di un millimetro. Pacher ha bisogno di scrollarsi di dosso la paura in attacco, dove è dotato di buoni numeri tecnici, ma in difesa si batte riuscendo ad attrarre fuori dal pitturato i lunghi avversari liberando così autostrade per i suoi compagni in area. Spencer sembra più integrato in attacco, mentre in difesa è un solista, spesso fuori posizione: rimane, però, un intimidatore verticale, capace di infliggere 4 stoppate e catturare 9 rimbalzi, conditi però da un paio di ingenuità su Cordinier che concedono allo scaltro francese alcuni giochi da tre punti. Lo stesso Vildera, ruvido e limitato tecnicamente, fa quello che gli si chiede e ci si aspetta da lui, e lo fa egregiamente. Ed infine Stefano Bossi, che non può competere nel confronto diretto con Hackett, il quale lo attacca in ogni modo battendolo sistematicamente nell’uno contro uno, ma che potrà mettere nel suo personale album dei ricordi la tripla realizzata da nove metri con la mano del treccioluto playmaker pesarese in faccia, nel momento di massima esaltazione triestina. L’unico che ha ancora bisogno di sbloccarsi è un Luca Campogrande che tira poco e non realizza nemmeno un canestro, viene spesso brutalizzato in difesa, ma che dovrà necessariamente elevare i suo rendimento dal momento che è il titolare nonché unico elemento nel suo ruolo di cui Legovich può disporre nel roster.
In ultima analisi, una sconfitta prevista, che avrebbe potuto trasformarsi in un miracolo, ma che restituisce un briciolo di ottimismo nel futuro dopo la pesante settimana trascorsa da squadra ed ambiente. Contro la Reyer ci vorrà un altro miracolo, forse anche più clamoroso. Ma, se non altro, la squadra che rimetterà piede sul pullman in Piazzale Azzarita per tornare a Trieste non parte battuta a priori.
Intanto, il campionato non riserva particolari sorprese: a rimanere a zero dopo due partite sono, oltre a Trieste, Treviso, Napoli e Scafati. Saranno presumibilmente queste le squadre sulle quali la squadra di Legovich dovrà fare la corsa per salvarsi.
(Photo credit: pagina Facebook Ufficiale Virtus Segafredo Bologna)