PALLACANESTRO TRIESTE – CARPEGNA PROSCIUTTO PESARO 74-100
Pallacanestro Trieste: Gaines 23, Pacher 8, Bossi 3, Davis 12, Spencer 4, Deangeli 5, Campogrande 3, Vildera 4, Bartley 12, Lever ne. All.: Legovich
Carpegna Prosciutto Pesaro: Kravic 20, Abdur-Rahkman 21, Visconti 0, Moretti 19, Tambone 14, Stazzonelli 0, Mazzola 4, Charalampopoulos ne, Totè 10, Cheatham 12, Defino ne. All.: Repesa
Parziali: 18-27 / 44-47 / 60-72
Arbitri: Mazzoni, Grigioni, Catani
E’ una Pallacanestro Trieste preoccupante quella che viene travolta in casa dalla Carpegna Prosciutto, ed è una preoccupazione che non va letta (solo) nei numeri, come giustamente affermato da coach Legovich al termine della debacle. Trieste fallisce proprio in quello che il suo coach evidenziava alla vigilia come sua caratteristica migliore, essenziale ed anzi vitale se si vorrà pensare realisticamente a salvarsi tamponando i più che evidenti limiti tecnici e fisici di un roster evidentemente figlio del risicato budget a disposizione: il gioco di squadra, la capacità di reagire senza scomporsi o abbattersi, il rifiuto di arrendersi per 40 minuti, l’intensità difensiva, la concentrazione. Se si eccettuano 6-7 minuti nel secondo quarto, quando la squadra è stata in effetti capace di recuperare quasi tutto lo svantaggio di 13 punti accumulato nel primo quarto, tutte queste caratteristiche sono rimaste latenti, timidamente emerse in qualche giocatore in modo peraltro discontinuo nell’arco dell’incontro (Gaines, Vildera, Davis), totalmente assenti in gran parte degli altri. Preoccupa anche l’atteggiamento di una squadra che battezza persa la partita quando manca una manciata di minuti al termine della terza frazione, al cospetto di un team rientrato dagli spogliatoi deciso ad uccidere l’incontro prima possibile e capace di riprendersi il vantaggio in doppia cifra in meno di un minuto. Trieste si limita, da quel momento, a svolgere un allenamento poco intenso in attacco (le 18 palle perse sono il termometro di scarsissima attenzione), rinviando l’applicazione della fase difensiva ad un’altra occasione. Pesaro, così, ne approfitta abbondantemente, si diverte, irride gli avversari in più occasioni, domina con la superiore qualità, a tratti disarmante, dei suoi italiani, in particolare di un Davide Moretti che sarà sicuro protagonista nella Nazionale prossima ventura. Preoccupa, più di tutto, il linguaggio del corpo che trasmette arrendevolezza e scoramento: non è neanche finita la prima giornata di campionato, se si abbassa la testa e si esce dal campo con le braccia lungo il corpo già ora, cosa succederà fra due mesi dopo il ciclo terribile che ora attende Trieste?
La cronaca è senza storia, con Pesaro a condurre dall’inizio alla fine, con gap in doppia cifra già nel primo quarto, ridotti a tre punti, e poi a uno, nel secondo quarto grazie soprattutto alle iniziative di Frank Gaines, per poi tornare a dilatarsi a dismisura nella seconda metà di partita, in un garbage time decisamente troppo lungo per una partita di Serie A.
I 100 punti incassati in casa sono la conseguenza di ormeggi abbandonati in anticipo, ma se si concedono 27-20-25-28 punti nei quattro quarti è indispensabile il bilanciamento con una produzione offensiva degna: Trieste, al contrario, tira con un discreto 54,5% da due, ma naufraga decisamente da tre rimanendo abbondantemente sotto il 30%, ed è imprecisa dalla linea dei tiri liberi dove non arriva addirittura al 65%. Del resto la produzione offensiva, i famosi “punti nelle mani” erano il cruccio principale già nella pre season (ed ancora prima, durante la costruzione del roster), e si sono dimostrati tali, puntualmente, alla prima di campionato. Questa squadra non è in grado di produrre punti, soprattutto perché non è ancora in grado di costruire tiri decenti in ritmo, ed anzi si affida alle conclusioni estemporanee, improvvisate, forzate o cervellotiche negli ultimi secondi dei 24 a disposizione. Del resto, la limitata profondità delle rotazioni a cui il coach può ricorrere non lo aiuta di certo: quando i due-tre giocatori in grado di detenere la chiave dell’iniziativa offensiva sono costretti a sedersi per rifiatare, i ricambi a disposizione, con la positiva eccezione di Vildera, non sono in grado nemmeno lontanamente di mantenere costante il rendimento della squadra. Legovich, ad esempio, utilizza Stefano Bossi per qualche minuto nel primo tempo, poi, davanti allo strapotere degli esterni pesaresi, lo tiene sempre in panchina nel secondo, anche in assenza di Davis, affidandosi a soluzioni alternative: il segnale, considerata l’importanza del ruolo, non è particolarmente incoraggiante, se si pensa che Stefano è l’unico ricambio arrivato per costruire il gioco.
C’è qualcosa da salvare dal disastroso vernissage stagionale? E’ necessario essere particolarmente benevoli per trovarlo. Certamente la capacità di Davis di far giocare i compagni, piacciono i suoi 8 assist nei 33 minuti di impiego. I 23 punti di Gaines in soli 25 minuti, frutto però di 19 tiri di cui ben 14 da tre (36% dai 6,25), conditi da 5 rimbalzi. La ruvida presenza di Vildera, una prestazione, la sua, che va analizzata oltre i numeri prodotti: il lungo veneto non si arrende, è generoso, limitato tecnicamente ma quello che gli si chiede è in grado di metterlo in pratica. Poco, realmente pochissimo, da tutti gli altri.
E’ auspicabile, ora, che la squadra riesca a resettare immediatamente e metabolizzare le scorie della tonante legnata ricevuta, magari facendone tesoro. Le partite che seguono richiedono un approccio ben diverso, che sicuramente non basterà da solo a vincerle, ma che rimane condizione indispensabile per pensare di non finirne stritolati. Pagato lo scotto dell’amaro esordio da head coach per Legovich, da capitano per Deangeli, nella agognata serie A per Pacher, è già l’ora di tornare, o meglio cominciare, ad essere audaci, come una Curva Nord rumorosa ed incoraggiante fino all’ultimo secondo. Senza una buona dose di audacia condita con coraggio e faccia tosta, del resto, è quasi inutile affrontare il viaggio in pullman fino a Bologna domenica prossima.