È proprio lui, è proprio lui, guardatelo che passa
Angelo Baiguera, 1981
Guarda che bello e tenebroso e chissà che passato avrà
Gianfranco Lombardi è una furia. Sta per finire l’estate del 1978 ed il sogno dell’allenatore dell’Hurlingham di riavere per il terzo anno Ron De Vries, pivot-cow boy che nelle due stagioni precedenti aveva conquistato la salvezza praticamente da solo, si scontra con il gomito malandrino del biondo americano. Il medico sociale ha l’ingrato compito di “consigliare” Lombardi di rinunciare al suo pupillo, anche perché negli anni ’70 l’infortunio non è ancora contemplato come buona causa per sostituire uno straniero, ed ingaggiarlo per la stagione costituirebbe un rischio troppo alto se poi il buon Ronnie dovesse fermarsi. Lombardi sbuffa ed impreca in modo colorito da buon livornese, ma deve rassegnarsi. E così, dopo giorni passati a visionare attraverso una nuvola di fumo le incerte immagini di chilometri di pellicole Super 8 con le esibizioni di decine di improbabili candidati, i contatti americani del general manager Ettore Zalateo consigliano di provinare una specie di clone del vecchio centro, un certo Chuk Terry, che si presenta a Trieste con vistosi pantaloni a zampa, camicia variopinta in poliestere, Rayban, stivali ed una decina di valigie. Di americano, però, sul campo dimostra di avere solo il passaporto ed il look californiano: durante il primo allenamento Lombardi alza gli occhi al cielo, del quale evoca sonoramente più di un abitante, e lo rimette senza rimpianti su un aereo che lo riporterà velocemente a Los Angeles. C’è poco da girarci intorno, il Dado preferirebbe gestire sempre e solo americani bianchi (salvo rarissime e ben individuate eccezioni), e non ne ha mai fatto mistero con nessuno, in un tempo in cui il politically correct è un concetto ancora ben lontano dal vedere la luce. Ora, però, il tempo stringe. Mancano poche settimane all’inizio del campionato di A2, e lui si trova al punto di partenza, senza lo straccio di uno straniero. Un po’ per la fretta, un po’ assecondando le pressioni di un ormai esasperato Zalateo, accetta malvolentieri di ingaggiare due giocatori, un’ala ed un centro, di cui il DS ha ricevuto ottime referenze, anche se entrambi sono quanto di più lontano dal suo ideale di giocatore. Quando vede uscire il primo dal gate degli arrivi all’aeroporto di Ronchi, Zalateo rischia realmente il coccolone, anche perché da lì ad un’ora dovrà affrontare a Chiarbola un impaziente Lombardi. Si aspettava di accogliere un armadio di oltre due metri, si ritrova davanti un ragazzotto filiforme un po’ ingobbito e tossicchiante, apparentemente malaticcio, in giubottino scamosciato da hyppie ed occhiali scuri, che i due metri li tocca, forse, saltando. Chi lo dice al Dado, ora? Poco dopo, negli spogliatoi del palazzetto, alla prima occhiata furtiva Lombardi sarebbe tentato di rispedire a Ronchi sia l’americano che Zalateo, ma non ha scelta. Rich Laurel, a dire la verità, nella stagione precedente aveva anche giocato una decina di partite con i Milwaukee Bucks, ma non sembra proprio dotato del phisique du role da salvatore della patria. Peraltro, quella insistente tossetta si rivela essere solo una leggera bronchite buscata durante le lunghe ore passate ad ibernarsi nell’aria condizionata di aeroporti ed aerei della Pan Am: ed infatti supera brillantemente le visite mediche, facendo sfumare anche le ultime speranze di Lombardi. Quel mingherlino, mancino naturale, fin da subito, dalla prima apparizione al torneo open (nel senso che si tiene all’aperto) San Lorenzo a Servola, si dimostrerà imprendibile per qualunque avversario, si caricherà la responsabilità della squadra interamente sulle spalle a suon di trentelli ed in definitiva farà la fortuna del coach, che soprattutto grazie a lui entrerà nel gotha degli allenatori, dando l’abbrivio ad una carriera memorabile che lo porterá fino alla Hall Of Fame del basket italiano.
Laurel sarà anche il catalizzatore della prima vera ondata di entusiasmo per il basket triestino, allora neroverde, con il curioso palazzetto di Chiarbola ancora privo della tribuna alle spalle delle panchine, riempito all’inverosimile ogni due settimane quasi solo per ammirare le sue esibizioni, le sue invenzioni, i suoi record, i suoi atteggiamenti istrionici, i mille modi nei quali riesce ad irretire ed umiliare i malcapitati di turno. A Trieste, quell’anno, irrompe la moda del basket, a dispetto della grande stagione che sta disputando la Triestina di Tagliavini, una cavalcata verso la Serie B che si interrompe proprio sul più bello con uno spareggio perso a Vicenza contro il Parma. Al palazzetto ci vanno i giovanissimi, che per conquistare pochi centimetri sui ripidi scaloni delle curve si accalcano davanti alle porte cinque ore prima della partita, ma anche i dandy della Trieste bene, i notai, i commercianti e gli avvocati, e le loro signore impazienti di esibire la pelliccia nuova sfilando davanti alle tribune gremite a partita già iniziata a favore delle ancora sgranate inquadrature di Telequattro. Rich Laurel, assieme a Nina, la fidanzata glamour portoricana che nel frattempo lo raggiunge in Italia, ci metterà pochissimo a diventare un personaggio anche fuori dal parquet, in una piccola città da bere, affamata di lustrini e bella vita nel periodo più florido e naïf della sua storia recente. Quando li vedi passeggiare sorridenti in Corso Italia, carichi delle borse delle migliori boutique cittadine delle quali diventano assidui frequentatori, ti pare di essere catapultato nella Detroit della Motown e di Starsky & Hutch. Laurel diventa spontaneamente la metafora di un ammaliante carrozzone che assomiglia ad una favola e che entra a far parte del costume della città. E lui pare nato per questo ruolo: una sua mitica apparizione televisiva a Pressing, trasmissione di Telequattro che ogni giovedì porta nelle case dei triestini l’atmosfera scanzonata e rumorosa del palazzetto di Chiarbola grazie soprattutto alle doti istrioniche da puro showman di Lombardi, riempie all’inverosimile il piccolo studio dell’emittente privata triestina in via Crispi con più di trecento spettatori entusiasti, inchiodando davanti alla TV una platea televisiva da far invidia alla RAI. A Natale Rich appare addirittura in un ristorante del centro di cui è cliente abituale nelle vesti di Babbo Natale e distribuisce doni agli esterrefatti quanto estasiati presenti.
Ma dietro l’apparenza che ne crea un mito duro da scalfire ancora oggi, Laurel non è certo il ragazzo che vorresti veder sposare tua figlia: non disdegna occasionali sniffate di coca, conduce un’esistenza intrisa di promiscuità, conseguenza, anche, dei tempi particolarmente disinibiti, tumultuosi e di grande cambiamento che Trieste sta vivendo a fine anni 70. Talvolta “condivide” Nina con qualche compagno di squadra senza peraltro farne un segreto né una ragion di stato, entrambi partecipano a feste i cui particolari rimangono ancora oggi ben custoditi. Insomma, un ragazzaccio non proprio adatto ai bambini ed alle famigliole che la domenica sgomitano per difendere i loro pochi centimetri quadrati all’interno del palazzetto per ammirarne le gesta, ma che tutto sommato di quello che il loro eroe combina lontano dai 28 metri di parquet se ne infischiano allegramente, perdonandogli qualunque comportamento non propriamente irreprensibile.
Nella sua prima stagione triestina, in coppia con il muscolare ed indisciplinato centro Larry Boston (sul quale Lombardi, però, non ha nulla da eccepire specie dopo un incerto periodo iniziale), Laurel farà solo accarezzare per qualche settimana il sogno di agguantare una promozione che non è ancora matura. La sconfitta di un punto nel derby con la Mobiam Udine di Giampiero Savio, il 4 marzo 1979, allontana definitivamente le ambizioni di riaggancio del quartetto di testa. Ciò non impedisce a Laurel, però, di rendersi protagonista di prestazioni che, a quarant’anni di distanza, sfumano nel mito: a febbraio, contro la Sarila Rimini, realizza 50 punti, record che rimarrà imbattuto fino ai 51 di Dejan Bordiroga contro Reggio Calabria nel 1993. Rich, a differenza del talento serbo, i 50 li raggiunge però quando la linea da tre punti non è ancora stata portata in Italia dagli Stati Uniti…
“No problem, coach” diventa il leit motif del suo curioso rapporto simbiotico con l’allenatore. Lombardi è famoso per le sue sfuriate durante i time out specie nelle partite più combattute, perde spesso calma, lucidità ed il lume della ragione, e Rich The Switch non è certo esentato dai rimproveri. Ma quando c’è da recuperare uno scarto importante, quando la squadra avversaria sembra prevalere, quando c’è da marcare l’avversario più bravo, quando c’è da giocare l’ultima azione e tentare il tiro decisivo, dopo aver lasciato sfogare il coach, la frase è sempre quella: nessun problema, ci penso io.
La promozione è solo rimandata, e verrà centrata nel 1980 al termine di un appassionante testa a testa con la formidabile Canon Venezia. Durante l’estate del 1979, posto che ora Lombardi non rinuncerebbe a Laurel nemmeno sotto tortura, viene lasciato libero Larry Boston, soprattutto a causa delle sue intemperanze disciplinari. Certo nemmeno Rich è un monaco tutto casa e palestra, ma quando, al termine di una lunghissima sequenza di colpi di testa, la polizia telefona a Zalateo per avvertirlo che un suo giocatore era stato denunciato per aver urinato addosso ad un’anziana a Barcola, il futuro di Boston lontano da San Giusto è segnato. Per sostituirlo si tenta il colpaccio: si scommette, infatti, sulla tenuta atletica di un trentenne americano che viene segnalato ancora in buone condizioni, uno che aveva fatto la differenza sia in NBA che in ABA, oltre che a Udine tre anni prima. Jim McDaniels arriva a Trieste in agosto, e sembra veramente possedere i numeri per poter cambiare le sorti della stagione: in una amichevole al Carnera esibisce un clamoroso campionario fatto di schiacciate e stoppate, davanti alle quali il Dado si lustra gli occhi. Ma la scommessa sul suo stato fisico viene immediatamente persa: un’ernia al disco ne interrompe l’avventura triestina e la carriera, costringendo la società ad una affannosa ricerca, aggravata dall’eterna indecisione dell’allenatore. Alla fine la scelta, più imposta dall’esasperazione dei dirigenti che dalla convinzione dell’allenatore, cade su un onesto maniscalco della palla a spicchi, un rude boscaiolo che saprà rendersi utile più sul piano fisico che su quello tecnico: James Bradley.
Il campionato si rivela una marcia trionfale costellata di vittorie clamorose ed al cardiopalma (come quella di un punto a tempo scaduto alle “Piscine” di Treviso) intervallate da sporadici periodi di flessione. A Capodanno del 1980 in Galleria Protti, sede della rivendita dei biglietti per le partite, si danno appuntamento con sedie sdraio e coperte centinaia di reduci del veglione della sera prima, impazienti di accaparrarsi un biglietto per assistere allo scontro diretto con la Canon di Scott Lloyd guidata da Dido Guerrieri (che l’anno prima sedeva sulla panchina proprio della Mobiam, killer delle ambizioni per l’Hurlingham) in programma il 2 gennaio. Trieste vince 95-79 e prende definitivamente la via del decollo. Rich Laurel, sorretto dalle possenti spalle di James Bradley, è l’assoluto protagonista della partita, segna, domina, scatena il pandemonio: Lombardi, quasi ipnotizzato da tanta onnipotenza e dal delirio di Chiarbola, viene addirittura notato sedersi senza parlare per lunghissimi minuti, episodio inedito che non si ripeterà mai più.
Pochi giorni dopo, il 27 gennaio, va in scena a Trieste l’ennesimo capitolo del derby infinito con la Mobiam Udine. La delusione per la sconfitta della stagione precedente, accentuata da quella di dieci punti maturata al Carnera all’andata, brucia ancora molto ai tifosi triestini, che attendono la partita con frenesia. Ricky Gallon, centrone americano della squadra guidata dal professor Flavio Pressacco, il giovedì prima del derby avvicina a Trieste il connazionale Rich Laurel. Gli promette 500 dollari se durante l’incontro si potesse “distrarre” un po’, magari mancando qualche canestro per lui elementare, in modo da permettere alla formazione friulana di salvarsi anticipatamente. La prestazione insolitamente ed eufemisticamente “poco intensa” di Rich non può che insospettire i dirigenti neroverdi. Durante l’intervallo, nel dubbio, Zalateo gli promette un premio di duemila dollari in caso di vittoria. Morale: dopo venti minuti nei quali realizza due punti, nel secondo tempo ne mette trentasei. Trieste vince 77-76, Laurel incassa in una domenica 2000 dollari, più i 500 che aveva già ricevuto da Gallon. Gira voce che il furibondo pivot di Tampa aspetti Rich fuori dallo spogliatoio per avere la sua vendetta, che però, almeno per la cronaca, non ottiene né quella sera nè in futuro.
L’ultima partita contro Vigevano, in calendario il 24 febbraio, dopo due trasferte in cui sono arrivate altrettante sconfitte di un nulla con l’Honky Fabriano e la Mercury Bologna, è quella decisiva: in caso arrivasse una vittoria, l’Hurlingham sarebbe irraggiungibile per Venezia ed otterrebbe la prima promozione in A1 della sua storia. Durante la settimana che precede la fatidica domenica la paranoia la fa da padrona: si parla di premi vittoria per i giocatori lombardi, mentre Laurel, dati i precedenti, viene tallonato giorno e notte dai dirigenti triestini, nel timore che qualcuno da Venezia possa tentare di comprare la sua prestazione. Laurel, però, ormai si identifica con Trieste, si abbevera dell’adorazione di schiere di ragazzi che lo acclamano come la superstar che è, non fallirebbe mai di proposito l’appuntamento con la storia, un appuntamento che viene atteso per settimane in modo febbrile da un’intera città. Un’ora abbondante prima della partita esce sul parquet ad annusare l’atmosfera, ad assorbire la contagiosa energia dei 4000 che già ricoprono ogni superficie disponibile in palestra. Si guarda intorno, sorride, sa già come andrà a finire. A metterci lo zampino, piuttosto, è la sorte: durante la partita, lanciato in contropiede, si fa male ad un ginocchio, si accascia a terra facendo perdere anni di vita a coach e tifosi. Si rialza, decide di continuare più grazie all’adrenalina che al ginocchio, ma non è fisicamente in grado di esibirsi ai suoi livelli. Però non dispera. Giocando praticamente su una gamba sola si diverte ad innescare i compagni, specialmente il connazionale Bradley che, di conseguenza, contro i lombardi gioca probabilmente la sua miglior partita in neroverde. E’ l’apoteosi, la Mecap nel secondo tempo cede di schianto e non sembra in grado di tentare di recuperare, del resto l’ambiente è simile ad una polveriera innescata. Solo quando si rende conto che la promozione è in cassaforte, Lombardi richiama in panchina la sua superstar, a raccogliere la standing ovation più lunga che lo sghembo palazzotto ponzianino abbia mai tributato. L’Hurlingham ed il suo re conquistano l’Olimpo assieme alla Pagnossin Gorizia di Roscoe Poindexter (che supera Laurel come miglior marcatore del campionato) ed il Bancoroma.
Laurel viene confermato a furor di popolo anche per l’esordio in A1. Nell’agosto del 1980 Lombardi ed il suo vice Franco Pozzecco si incontrano con lui allo Sheraton di Manhattan per una missione in stile servizi segreti: Rich, nel corso di un incontro “casuale”, deve cercare di convincere il suo amico Gary Cole, al secolo Abdul Jeelani, centro dei Portland Trail Blazers e da sempre oggetto del desiderio del coach, a sposare la causa triestina lasciando il freddo Oregon. Lombardi e Pozzecco avevano tentato di “pedinare” Jeelani attraverso mezza America, in una sorta di road movie holliwoodiano, senza però riuscire nemmeno a parlarci, figurarsi a convincerlo a vestire di neroverde. L’ultima speranza la ripongono in quel misterioso incontro notturno a Broadway con Rich Laurel. La missione fallisce. Il destino, al posto di Jeelani, gli metterà vicino il fascino maledetto di Marvin Barnes, che si rivelerà per lui un’attrazione irresistibile e velenosa. Occhi tristi e rassegnati al proprio destino quelli della stella cadente, furbi e guizzanti quelli dell’eroe locale, ma i due saranno accomunati da una improbabile quanto irresistibile forza che li porterà, insieme, all’autodistruzione. La terza stagione di Laurel a Trieste, la prima per la città nella massima serie, è una stagione tribolata, difficile sia in campo che, soprattutto, sulle colonne di cronaca del Piccolo. Certo, a Chiarbola arrivano la Turisanda Varese di Dino Meneghin, la Billy Milano di Mike D’Antoni e la Squibb Cantù di Riva e Marzorati che quell’anno avrebbe vinto tutto, ma il palazzetto triestino è quasi sempre terreno di conquista, con qualche clamorosa eccezione, come la vittoria di Natale 65-63 contro la Synudine Bologna di Villalta e McMillian che arriva grazie al buzzer beater proprio di Laurel che per poco non demolisce la volta del palazzetto.
Il vero dramma, però, sta maturando fuori dal parquet di Ponziana. L’opulenta Trieste, il provinciale jet set cittadino nel quale Laurel viene esibito come un trofeo assieme ai suoi più esotici compagni di squadra, lo fagocita in un turbine di feste, sesso, donne, droga e rock and roll. Ad essere coinvolta in quel turbine è l’élite cittadina, ed in particolare alcune delle signore impellicciate che adoravano sfilare a Chiarbola. I vizi privati della superstar, dell’idolo, dell’eroe senza macchia e senza paura non sono contemplati, specie se incocciano con la furia vendicativa delle persone sbagliate. L’inevitabile scandalo a base di cocaina lo travolge assieme a Barnes e Carlos Mina. Non lo porterà in carcere (a differenza di quanto accade a Bad News, che viene quasi subito espulso dall’Italia), ma gli costerà un foglio di via che, di fatto, sancirà il tramonto della sua stella e, con esso, l’amaro epilogo della sua esaltante vicenda in riva all’Adriatico e nel Belpaese. Ironia della sorte, il PM che rappresenta l’accusa e che con la morte nel cuore ne propone la condanna è Roberto Staffa, notoriamente grande tifoso ed abbonato neroverde. L’avventura in campo termina intanto con l’immediata ed inevitabile retrocessione, la quale non impedirà a Laurel di finire comunque secondo nella classifica marcatori dietro solo al grande tiratore varesino Bob Morse. Il giorno dopo l’ultima partita di campionato a Pesaro, Laurel lascia la “sua” Trieste, Nina lo aveva già fatto agli albori del clamore dello scandalo, portando via con sé lo struggente fascino dell’epopea del Leone Neroverde. Continuerà a girovagare per mezza Europa, prima nel Principato di Monaco, poi in Belgio, dove concluderà la carriera. Nell’estate successiva all’espulsione dall’Italia, torna furtivamente in città con la sua Monaco, per giocare un’amichevole a Chiarbola. Non ci riuscirà, il foglio di via lo costringe a fuggire nottetempo dall’albergo Riviera di Muggia, ma per rivederlo in campo anche solo per qualche minuto, a metà agosto, erano accorse al palazzetto 3500 persone.
Trieste gli ha rubato il cuore, come lui lo ha rubato alla città, specie dopo che gli anni hanno anacquato, lavandole, le coscienze di tutti: la considera un po’ casa sua, e quando Alberto Tonut lo incontra per caso in un paesino belga trent’anni dopo, non ci metterà molto a convincerlo a tornare in città per un evento benefico. Da allora, Rich ama passare a Trieste lunghi periodi, e non è difficile incontrarlo per strada o in qualche palestra a caccia di giovani talenti.
(Photo credit: Fabio Ramani)